Altamura Mariangela – “Figlio di nessuno”

…a cura di Elisa Zoppei

 

Figlio di nessuno di Mariangela Altamura

 Mariangela

Nata a Terlizzi, in provincia di Bari, nel 1993, Mariangela Altamura, una giovane poco più che ventenne, è cresciuta a Verona dove vive attualmente con la famiglia, ma studia Scienze naturali all’Università di Parma. Precocemente inclinata alla scrittura, una vera a propria vocazione, ha recentemente dato alle stampe il suo primo romanzoFiglio di nessuno, giudicato, da chi l’ha letto, un esordio letterario promettente di futuri successi. Ha fatto una bella sorpresa a tutti. Parenti e amici lo hanno accolto pieni di curiosità e ammirazione. Le abbiamo dedicato l'”incontro con l’autore” nel Salotto a Casa di Elisa, organizzato ai primi di giugno dal nostro dinamico Blogger Graziano Cobelli, ed è stata l’occasione per noi e altre persone di conoscere più da vicino una nuova scrittrice dalla fluente vena narrativa. Ci ha parlato di sé con grande semplicità e spontaneità, del suo amore per gli animali, e della sua passione per la scrittura. Ci ha confidato che per lei scrivere è un rigenerarsi continuo, e pare che l’intreccio del suo romanzo le sia uscito quasi indipendentemente dal progetto iniziale, come seguendo il filo di una storia che si andava facendo in un certo senso per conto suo. In questo e in tanti altri particolari emersi nel corso della conversazione si riconosce l’autentica stoffa dello scrittore. Nella sua ricerca ad esempio di uno stile appropriato per rendere la narrazione congruente alle atmosfere interiori emotive, o all’incalzare degli eventi, o all’ambientazione paesaggistica dei medesimi; nel mulinare incessante della sua fantasia per architettare nuove situazioni e far stare il lettore con il fiato sospeso in attesa di ciò che deve succedere alla pagina dopo. Credo, cara Mariangela siano questi gli elementi fondamentali che ti condurranno verso un luminoso avvenire di scrittrice. Rimanendo in attesa della seconda parte delle avventure di Shon,  noi te lo auguriamo.

Figlio di nessuno

Leggendo il romanzo Figlio di nessuno, (Ed. Book Sprint, 2012), mi ha colpito la forma strutturale personalizzata, dovuta a una scelta ardimentosa di tecniche narrative e grafico stilistiche diversificate da parte dell’autrice, mirate a caratterizzare i vari momenti della storia dove l’io narrante si alterna alla terza persona, e per l’io pensante l’uso del carattere corsivo. Inoltre ho favorevolmente colto l’aver introdotto il dramma del protagonista Shon dal Prologo, in cui viene presentata con accenti angosciosi la tragedia che lo colpisce, quando a sette anni si trova costretto ad assistere alla straziante scena della morte dei suoi genitori divorati dalle fiamme di un incendio. Al bambino che esce miracolosamente salvo, non resta che vedere il mondo attraverso lacrime inarrestabili e la vita gli appare come un lungo terribile incubo. Man mano che nel folto del bosco dove si è rifugiato le ore passano, egli prende coscienza della sua solitudine e del vuoto che lo attende. Avvolto nel suo dolore non trova più nemmeno la forza per dirlo, chiudendolo dentro di sé raggelato in una muta disperazione. Qualcuno, un cacciatore dal cuore buono che incontra nel bosco, lo aiuterà a trovare un luogo dove ripararsi affidandolo alle cure di un orfanatrofio. Qui rimarrà qualche tempo senza mutare mai il suo sguardo triste, freddo e impenetrabile chiuso in un muro di incomunicabilità fra sé e gli altri. Le istitutrici lo reputano dotato di grande intelligenza per la facilità con cui apprende e la diligenza con cui esegue i compiti, ma non sanno spiegarsi i suoi disegni inquietanti pieni di animali feroci e foreste oscure, e si tengono a distanza intimorite dal suo sguardo di ghiaccio. La direttrice mal sopporta questo ragazzino che non parla mai, che non gioca con gli altri compagni, che reagisce con calci e pugni quando è provocato. Gli infligge le usuali sferzate, segregandolo in una soffitta a pane e acqua in compagnia dei topi. Alla sofferenza del cuore si aggiunge così la sofferenza del corpo sanguinante per le nerbate ricevute. Finalmente dopo due anni di questa vita gli si apre uno spiraglio di luce. A nove anni trova una famiglia agiata e amorevole che lo adotta e lo porta a vivere a Blue Hill, città nella contea di Hancock, in una villetta circondata da un grande giardino con aiuole fiorite. Comincia per lui una nuova stagione: avrà una cameretta sua, la protezione e l’affetto di due cari genitori. Andrà a scuola dove si distinguerà per i brillanti risultati. Però ecco che in un giorno di pioggia mentre è alla guida del grosso fuoristrada nero dei genitori adottivi, investe una ragazza in bicicletta, lasciandola tramortita e contusa sull’asfalto. È diventato alto, bello, atletico ma i suoi occhi azzurri sono ancora fissi e glaciali. Passa oltre incurante dell’incidente, ma non sa che nei nuovi capitoli, Arya, la ragazza investita e giustamente infuriata, non gli darà tregua: darà voce alla “loro” storia narrandola in prima persona, in un intrecciarsi di eventi sensazionali e sorprendenti, che tengono il lettore col fiato sospeso fino all’epilogo finale dove ogni tessera ricompone il puzzle di una storia  ancora piena di possibili svolte.

Un romanzo dal volto giovane, ravvivato da dialoghi incalzanti e monologhi interiori che mettono in luce le problematiche presenti nel rapporto fra genitori e figli ed esaltano la sincerità e la lealtà nelle relazioni di amicizia fra coetanei.

Un romanzo ricco di risvolti intriganti che si fa leggere con partecipato interesse, per cui trascinati dal fervore sorvoliamo sui peccatucci grammaticali (sviste, inesattezze …) magari sfuggiti al correttore editoriale.

Ma è soprattutto un romanzo che narra l’Amore quando nasce timidamente e piano piano matura nel tempo facendosi reciproco dono: non l‘Amore d’altri tempi ma l’Amore di sempre e per sempre. Quello che ti cambia la vita.

Buona lettura. Vs. Elisa

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