L’Alpino: “Vivace dibattito a proposito di scarponi”… – 35

…a cura di Ilario Péraro

 

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VIVACE DIBATTITO A PROPOSITO DI SCARPONI

(tratto dalla pubblicazione Storia dell’Associazione Nazionale Alpini)

Scarpone

Il 15 agosto 1931 venne pubblicato su “L’Alpino” un articolo dal titolo “A rapporto dal Comandante” a firma dell’avv. Guiglia della Sezione di Genova con il quale si criticava l’abuso del termine “scarpone” per indicare l’alpino e si chiedeva un dibattito pubblico.

Il comandante Manaresi (il presidente dell’associazione) si dichiarò d’accordo sulla necessità di interpellare i soci per dirimere la questione: il “subalterno di servizio” questa volta non ha tutti i torti: a furia di identificarsi nei chiodi delle nostre scarpe, finiamo per fare della scarpa grossa l’emblema dell’alpino, e nel dimenticare quel “cervello fino” che è la vera specialità della ditta!

La proposta di mettere al bando il vocabolo “scarpone” perché improprio, volgare, sconveniente ecc… e perché atto a suscitare equivoci fra gli estranei, trovò accoglienza dei soci tutt’altro che favorevoli: la grande maggioranza dei soci (un’ottantina di interventi) si mostrò decisamente e tenacemente favorevole al famoso soprannome.

Questo vocabolo trovò ardenti difensori tra valentissimi cultori delle belle lettere: Ubaldo Riva, autore di Scarponate, libro che rivelò un validissimo scrittore d’argomento alpino, Eugenio Sebastiani, autore di un vigoroso e originale volume Portantina che porti quel morto e il prof. Rubini, valoroso e brillante letterato pubblicista.

L’origine del termine “scarpone” per indicare gli alpini risale agli albori della loro storia, come ha potuto a suo tempo precisare il vecio Giuseppe Pascoli della classe 1875: ”Nell’inverno del 1897 fu destinato a Padova il battaglione “Gemona” del 7° reggimento,… i padovani sentendo parlare nel dialetto friulano, così diverso dal molle e aggraziato dialetto padovano, e meravigliati dal frastuono che facevano gli scarponi ferrati sui marciapiedi cittadini… esclamavano: “xe qua i scarponi”.

Il Valenti ricorda l’impressione prodotta sui milanesi quando il battaglione sfilava completo, preceduto dal plotone zappatori, composto da cento colossi carichi di attrezzi diversi e la cui statura si avvicinava ai due metri. “Tutta quella massa di uomini sfilava per le vie della città percuotendo il suolo da farlo tremare coi tacchi ferrati e di un sol colpo, provocando talvolta scintille dall’urto sul lastricato, in modo che sovente ci giungeva all’orecchio l’esclamazione: “Che scarpun!”

Chiamati a rapporto, gli accademici alpini hanno detto la loro e la polemica si è chiusa da sé: i proibizionisti sono stati affrontati da serrate avverse falangi e, pur eletti di qualità, infinitamente inferiori di numero, hanno iniziato un ripiegamento strategico: non poteva essere diversamente.

“Siamo scarponi fatti bene con scarpe grosse e chiodate e con fine cervello: rimaniamo tali, e se qualcuno, che non ha il piede adatto e il cervello nostro, si vuol mettere nelle nostre scarpe, potremo incutergli a suon di pedate il giusto rispetto.

Continuiamo quindi ad usare la buona e semplice parola “scarpone”. Questo l’avviso del comandante, che non aspira certo all’infallibilità papale.

Ilario Péraro

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