L’Alpino: “LE SCARPE AL SOLE, cronache di gaie e tristi avventure di alpini, di muli e di vino”… – 41

…a cura di Ilario Péraro

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Racconto tratto dal libro “LE SCARPE AL SOLE, cronache di gaie e tristi avventure di alpini, di muli e di vino” dello scrittore Paolo Monelli (Fiorano Modenese, 15 luglio 1891 – Roma, 19 novembre 1984).

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Locandina del film        Le scarpe al sole

Poiché la mia compagnia è la più povera d’uomini, il maggiore me la rimpolpa con tutti i condannati che mandano al battaglione con pena sospesa. Oggi me n’arriva uno che viene dal battaglione Feltre, bel tipo, vecchio del novantuno, sciatore scelto, ciarlone e confidenziale. Il suo delitto? Diserzione all’interno: in lingua povera, gli avevano promessa una licenza se andava di pattuglia in un certo posto, in quel certo posto c’è andato, la licenza non è venuta, se l’è presa da sé.

Inutile persuaderlo che ha fatto male. Guarda con occhi chiari, dice: «Gaveve dirito a la licensa, sior capitano, me la son tolta da par mi».

Dirgli che è un atto da cattivo soldato?

«Mi, sacramento, che son sempre sta el primo in tute le pattulie che gavemo fat al Feltre col Caìmi quand che se gera drento par la Valsugana?»

Ma quattro anni gli ha buscati lo stesso. L’ho preso senza spaventarmene, come ho preso gli altri, condannati più o meno per gli stessi reati: sono scappati a trovar la moglie “che la gera drio a far zaino a tera”, a partorire, cioè; hanno detto, da sborniati, aeroplano ai carabinieri; non son tornati subito allo scadere della licenza, perché, come Dall’Ost raccontava l’anno scorso alla forcella Regana quando era il barbiere della 265, “ gaveve quela vecia de me mare da trovarghe na casa, che l’è vero che mi pare è mort e cussita son content che son mi el capo de fameja, ma con quela slandrona de me cugnada no la se pol vedar, e cussita go doest meter pase fra quele fémene prima de vegner via, e son sta dal sior sindaco per farne slongar la licensa e lù gnente, e so sta dal sior maresciallo dei carabinieri e lù gnente e alora me la son slonga da par mi”. E finita la lunga cicalata un attimo di meditazione, poi Dall’Ost aggiunge: «Ma, sior tenente, se lu gaveva bisogno de mi bastava che lu el me mandasse un telegramma de vegner subito e mi vegneva subito».

Ora, in questi casi, se nessuno lo veniva a sapere, il maggiore gli faceva quattro urlacci, un calcio sotto la schiena, tutto era finito. Ma li hanno sorpresi in treno, o alla tappa, hanno avuta la denuncia dei carabinieri, sono stati condannati.

Sì, son cattivi soldati, indisciplinati. Ma che volete fargli quando il giorno della prova son lì pronti a dar via la pelle con bella semplicità? Il sergente Pianezze del Cismon, nel luglio del 1916 mette su sei o sette esploratori malcontenti — anche qui, licenza promessa e non veduta — e scappan tutti a casa, Lamon e Arsiè e Fonzaso (ci fu prima la storia d’una cassetta di bottiglie della mensa d’un battaglione di fanteria messa nella loro baracca insieme con altri fanti e un servizio di sentinella; quei manigoldi di soppiatto vuotarono la cassetta, misero al posto delle bottiglie dei bossoli da 75 la richiusero, nessuno se ne accorse). Stanno a casa tre, quattro, cinque giorni, ritonan su badiali e sorridenti. Pianezze perde i galloni, ma chiede — e ottiene — di restar con gli esploratori. Al Cauriòl il 19 ottobre è magnifico, una ferita alla fronte non l’ha fermato, ha trascinato avanti i compagni come fosse ancora sergente, è rientrato a notte dal combattimento, acceso, stravolto, un velo di sangue sul volto. …

Ed io, con questi condannati, con questi brutti soldati, rimpolpo la compagnia di fegatacci sani.

Il superiore è venuto a visitar la mia linea e m’ha messo agli arresti. Amen.

Ilario Péraro 

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