L’Alpino: “ITALO BALBO ALPINO I^ p.” – 28
…a cura di Ilario Péraro
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Articolo di Paolo Montina su ”Alpin jo, mame” (Sono alpino mamma) della Sez. Udine
rivista di MAGGIO-AGOSTO 2009
“ITALO BALBO ALPINO I^ p.”
Ultimo di cinque tra fratelli e sorelle, Italo Balbo nacque a Quartesana (Ferrara) il 6 giugno 1896 da Camillo (cl. 1855) e Malvina Zuffi (cl. 1860); prima di lui vi furono Cesare, morto a cinque anni; Fausto, nato nel 1885 e morto nel 1912; Edmondo, nato nel 1887; Maria ed infine Italo. Entrambi i genitori erano maestri di scuola e questo dovette senza dubbio influire sulla sua futura formazione giornalistica, anche se l’apprendimento negli studi non poteva dirsi eccelso: preferiva leggere e scrivere su cose che con la scuola avevano poco a che vedere.
Del resto, i suoi primi anni di gioventù furono improntati all’insegna della protesta contro lo stato monarchico e le sue politiche. Di idee mazziniano-repubblicane, contestò aspramente l’intervento italiano del 1911 in Libia, salvo poi diventarne governatore una ventina d’anni più tardi.
Con la passione per il giornalismo nel sangue, fu collaboratore e fondatore di vari fogli locali, che però ebbero quasi tutti vita effimera. In compenso, emerge nelle ricorrenti manifestazioni di piazza di quel periodo, lo spirito battagliero e di capo-popolo del nostro uomo. E con queste premesse, arriviamo al 1914, all’inizio della prima guerra mondiale. In questo periodo Balbo ebbe modo di conoscere Benito Mussolini, futuro capo del Governo, ma anche l’eroe irredentista Cesare Battisti, conosciuto a Ferrara, assieme ad altri personaggi che ritroviamo nella storia d’Italia d’allora.
Allo scoppio della guerra, Balbo abbandonò gli studi, arruolandosi nel maggio del 1915 come volontario e fu inizialmente assegnato al servizio motociclistico nella Guardia costiera; nel luglio del 1915 però venne trasferito in un corpo volontario ciclisti e verso la fine dell’anno rimandato a casa, senza aver sparato un colpo. Per alleviare le delusioni, riprese gli studi ma con scarsi risultati, tanto che agli esami venne bocciato.
Nel settembre del 1916 fu chiamato alle armi con la sua classe ed inviato alla Scuola Militare di Modena come allievo ufficiale e nell’aprile dell’anno seguente – con il grado di “aspirante” – trasferito al battaglione “Val Fella”, dell’8° Alpini, dislocato in val Raccolana. Nel mese di ottobre però, da sottotenente, chiese di essere trasferito in aviazione, dove il mito di Francesco Baracca, – del quale pare la famiglia di Balbo fosse parente – faceva proseliti giorno dopo giorno; era da pochi giorni a Torino, quando, come un fulmine a ciel sereno arrivarono le disastrose notizie sulla ritirata di Caporetto, dove anche il suo “Val Fella”, ritiratosi dalla Val Raccolana, era stato travolto e catturato dagli austriaci nel vallone di Forno, verso Clauzetto. Accantonata quindi, per causa di forza maggiore, l’aspirazione al volo, verso il 10 di novembre Balbo rientrò al reparto, ma dal momento che il “Val Fella” era stato radiato dalle unità combattenti (sarà ufficialmente sciolto il 9 dicembre) il 16 novembre venne assegnato al Btg. “M. Antelao” del 7° Alpini, che verso la fine dell’anno si trovava attestato nella zona del monte Altissimo.
Nel luglio del 1917, l’“Antelao” proveniente dalla zona delle Tofane, era stato trasferito a Nimis per un periodo di addestramento ed in seguito impiegato sul fronte dell’Isonzo. Sempre con l’“Antelao”, Balbo trascorse la primavera del 1918 e quando il battaglione passò nelle retrovie, egli rimase in linea passando nel “Pieve di Cadore” – comandato dal maggiore Luigi Sibille – dove gli venne affidato il comando del reparto di arditi del battaglione. E qui, per il nostro eroe, iniziava la vera guerra.
Anche nei battaglioni alpini vi erano reparti di arditi, sull’esempio dei reparti con le “fiamme nere”, anche se i nostri portavano le “fiamme verdi” ed avevano lo stesso armamento dei reparti normali. Il battesimo del fuoco lo ebbe nell’estate di quell’anno, come ci ricorda G. B. Guerri in “Italo Balbo” (Mi. 1984) «…Nel luglio-agosto 1918 Balbo condusse sull’Altissimo tali e tante imprese notturne (una, contro forze nemiche enormemente superiori, fu citata anche nel bollettino del comando supremo) da meritare la sua prima medaglia d’argento: “Comandante di un plotone di arditi, dimostrò sempre grande coraggio personale e brillanti qualità di soldato e di comandante. Spesso per assolvere il proprio mandato s’impegnò anche contro un nemico superiore in forze, attaccandolo con tale impeto da rendere necessario l’intervento delle nostre mitragliatrici ed anche delle nostre artiglierie per disimpegnarlo”». Prosegue il Guerri ricordando che: «…Subito dopo il “Pieve di Cadore” tornò nelle retrovie, ma partecipò all’offensiva finale del Grappa e il 27 ottobre lanciò un violentissimo attacco sul monte Valderoa. In testa a tutti Balbo che, dice la motivazione della seconda medaglia d’argento, “Segnava la via luminosa del dovere ai reparti del proprio battaglione nell’attacco di una posizione nemica, strenuamente difesa dalle mitragliatrici, riuscendo primo tra tutti a porre il piede nella trincea nemica”. Non contento, lanciò il plotone in ondate successive, continuamente avanzando, finché si ritrovo solo, in mezzo al nemico e ai propri soldati morti. Si salvò fingendosi anch’egli morto per tutto il giorno e riattraversando le linee di notte. Tre giorni dopo eccolo di nuovo all’assalto, per la seconda fase di una battaglia che costò al battaglione la metà degli organici: 500 uomini.
Questa volta però la battaglia viene vinta definitivamente e il reparto di Balbo cattura 40 prigionieri, 2 mitragliatrici e due cannoni da trincea.
È la terza medaglia, anche se solo di bronzo: forse una punizione perché aveva disubbidito all’ordine del comando di fermarsi sulle posizioni e aveva continuato a inseguire le retroguardie nemiche in fuga da Feltre. Fu il primo italiano a mettere piede nella città, dove una lapide ricorda ancora Balbo e i suoi uomini…». È indubbio che questi episodi, seppur limitati alle ultime fasi della guerra, ci dimostrano che quando c’era da impegnarsi in prima persona, Balbo non si tirava di certo indietro e lo dimostrerà anche negli anni seguenti, come ben sappiamo; il suo carattere irruento e di trascinatore lo porterà spesso a scontrarsi anche con i suoi superiori, che comunque gli riconobbero fin da allora chiare doti di trascinatore.
art. su ”Alpin jo, mame” (Sono alpino mamma) della Sez. Udine rivista di Maggio-Agosto 2009
Ilario Péraro – (28 I^ p. continua)