L’Alpino: “Scemo di guerra… – 24/8
…a cura di Ilario Péraro
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Scemo di guerra
Racconto liberamente ispirato alla figura di don Primo Discacciati,
cappellano militare all’Ospedaletto di Storo dal 1915 al 1918.
ERANO PARTITI DA STORO ALL’ALBA
Giovedì 21 giugno 1917
(…continuazione)
VENEZIANI GRAN SIGNORI – PADOVANI GRAN DOTTORI …
Sussurrava piano piano adesso, a occhi chiusi, cantilenando quelle parole senza senso e muovendo il busto avanti e indietro…
«Io mi chiamo don Primo» disse allora il cappellano con tono gentile, «e vengo da Storo, in Trentino, ma sono nato a Lazzate, vicino a Milano. E quello in piedi accanto alla porta si chiama Alcide e lui invece a Storo ci è nato. È il mio aiutante… e lei come si chiama?»
Il Babbolin aprì lentamente gli occhi e si girò a guardare don Primo: erano occhi vuoti e acquosi, i suoi, occhi da malato febbricitante. Le labbra rotte e secche chiedevano acqua da bere…
«Passami il boccale» ordinò il prete rivolto ad Alcide.
Il prigioniero bevve avido urtando coi denti l’orlo della brocca, con due cascatelle d’acqua ai lati della bocca che bagnarono la camicia.
«Ha fame, don Sergio? Vuole qualcosa da mangiare?»
Interruppe l’ultimo sorso, il prigioniero, e dalla bocca aperta uscì l’acqua bevuta da poco. Tossì leggero, col braccio si asciugò le labbra e riprese a cantilenare.
- Andemo a la guera
col s-ciopo par tera
col s-ciopo par man
pim pum pam…
PIM PUM PAM
PIM PUM PAM
Andemo a la guera
«Alcide, va a farti dare un pezzo di pane, forza. E fa svelto!»
Rimasti soli, il condannato smise si cantilenare e si girò a guardare don Primo negli occhi una seconda volta. Non era più, il suo, uno sguardo malato e perso: in fondo agli occhi c’era un barlume di vita cosciente, combattuta però tra il desiderio di aprirsi finalmente con qualcuno di fidato e il rinchiudersi nel proprio mondo di finzione. Alla fine il giovane prete decise di scommettere sulla fiducia.
«Mi chiamo Sergio» sussurrò a fatica con gli occhi che cercavano di restare aperti; «don Sergio Babbolin… nato ventisei anni fa a Saccolongo, vicino a Padova… ordinato prete poche settimane prima dell’entrata in guerra dell’Italia e spedito a Cadoneghe, anche vicino a Padova, a far esperienza in parrocchia, ma senza cura d’anime… Ecco perché alla leva obbligatoria del ’15, quando mi presentai con la cartolina precetto, mi accettarono subito e fui spedito al fronte, sul Pasubio. Terribile il Pasubio: bombe, gas velenosi, austriaci, morti… Non ricordo altro, di me. No gh’è altro da saver…»
Arrivò Alcide con un grosso tozzo di pane scuro. Don Primo ne staccò un pezzo e lo mise in mano a Sergio. Nel silenzio di tomba della prigione, il pover’uomo avvicinò il pane alle labbra e ne sospirò il profumo…
- Din don doman l’è festa
se magna la minestra
la minestra no me piase
se magna pan e brase
le brase i è tropo nere
se magna pan e pere
le pere i è massa bianche
se magna pan e panca
la panca l’è massa dura…
«Allora facciamo così» disse il cappellano, accarezzando la guancia del Babbolin: «le lasciamo qui il pane e la brocca dell’acqua. Se ha fame, saprà smorzarla. Noi intanto ci siamo presentati: io sono don Primo, lei è don Sergio e lui è Alcide. La lasciamo in pace per oggi: ci vediamo domattina, va bene? E faremo una lunga chiacchierata… buonanotte, don Sergio!»
Il prigioniero aprì a fatica gli occhi, poi la bocca e riprese la sua cantilena dondolante:
- Fioca, fioca Pero se ‘nzuca
i cagni i baioca casca el bocal
le done le cria Pero ‘l se fa mal
e i omeni i scapa via… casca ‘na fassina
Ghe jera ‘na volta Pero se ‘sassina
Pero se volta casca ‘na zoca
casca ‘na zuca Pero ‘l se copa
Ilario Péraro – (8 continua)