L’Alpino: “ALPINO: CAPACITÀ LEGALE LITRI QUATTRO”… – 37

…a cura di Ilario Péraro

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ALPINO: CAPACITÀ LEGALE LITRI QUATTRO

Nessuno sa che la capacità dello stomaco di un Alpino che si rispetti, è stata sancita legalmente dal Pretore di Edolo, con tanto di sentenza, munta dei regolari crismi di legge.

Fu nel 1917ed è certo che gli Alpini del mio battaglione Edolo fama di buoni bevitori l’hanno sempre goduta, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Noi bergamaschi non siamo gente acquatica, per quanto ci sia una canzone dei miei tempi “beati voi di Bergamo che siete qui vicino alle acque saluberrime del santo Pellegrino” … santo che noi raccomandiamo alla devozione di tutti, che così non ha bisogno della nostra.

Nel 1915 l’Edolo era nella sua valle a fare le prime fucilate con i “tognini” e c’era a quei beati tempi, della gente che farneticava di entrare a Vienna, fanfara in testa, in un anno al massimo, perché l’Austria scricchiolava di già, ma si trattava di quelli che leggevano il bollettino al caffè e puntavano le bandierine colorate sulla carta geografica. Un vinaio di Edolo, che è ancora vivo ed allora non ne faccio il nome, per tema che qualche concorrente glielo soffiasse, venne al comando di battaglione e fece la proposta di fornire allo spaccio ed alle mense del battaglione tutto il vino occorrete, ad un prezzo di affezione, pur che il battaglione si impegnasse a prendere tutto il fabbisogno liquido da lui, bene inteso fin che restava nella zona.

La proposta non era da buttare via e poiché tanto valeva farsi avvelenare da lui o da un altro, con tanto di carta bollata, si fecero gli accordi precisi e chiari, tanto più che l’aiutante maggiore del battaglione era Vertova, avvocato e notaio.

Una bellezza! Vino ottimo, con pochi soldi! Ogni volta che il battaglione scendeva a riposo in val Sozzine, boia di una valle senza sole e con spifferi di freddo da congelare i paracarri, vi era modo di scaldarsi le ossa e cacciar fuori l’umido e tutto il freddo preso nelle tane di Lagoscuro e della Pajer.

E che cantina! La voce corse che da quei dell’Edolo si beveva bene e con poco e tutti ci presero a ronzare intorno, come mosconi e vespe al tempo della vendemmia.

Terribili del 159° battaglione, tutto bergamaschi e il bello era che potevi vedere il padre bere col figlio, lo zio con nipote, artiglieri di tutte le batterie, persino la fanteria che stava su al passo veniva ad abbeverarsi da noi, senza poi contare tutte le mense ufficiali che avevano chiesto di prelevare il loro vino dalla nostra cantina.

Il vinaio si fregava le mani: mai vista una bazza simile, carrette andavano e venivano, soldi alla mano, uno sull’altro: ed anche il cappellano che teneva i conti dello spaccio era contento, perché ogni fine mese si poteva fare un rancio fuori ordinanza per tutto il battaglione, coi proventi della cantina.

Successe però che la guerra non finì alla fine del 1915 e nemmeno alla fine del 1916 e che il battaglione Edolo era sempre in Valcamonica anche nel 1917 e non aveva nessuna voglia di cambiare zona.

Il vinaio doveva seguitare a riempire le botti, sempre al prezzo stabilito nel giugno del 1915 ed il consumo era quasi triplicato, perché la clientela dell’Edolo era sempre più numerosa e fedele.

Tentare di cambiare tipo di vino non era nemmeno da provare, perché in fatto di vino, gli Alpini hanno in bocca peggio di un gabinetto chimico e si sarebbero subito accorti del trucco, per cui il vinaio si fece precedere da un paio di casse-omaggio di vino di Sassella e venne al comando di battaglione a reclamare.

Non era più possibile mantenere il prezzo e poi non poteva certo seguitare a fornire tanto vino, un mezzo laghetto al mese!

Un battaglione di Alpini, sia pure l’Edolo non poteva certo avere la gola di carta assorbente per bere tutto quel po’ po’ di roba…

Il maggiore Zamboni gli fece una bella ghignata sul muso e lo ringraziò del Sassella che era stato bevuto in suo onore, poi tirò fuori il contratto.

Carta canta e Alpino beve: era o no il battaglione in valle? Non eravamo stati noi a cercarlo, ma era stato lui a chiedere l’onore di essere il fornitore esclusivo del battaglione, firmando il contratto: noi pagavamo a Cesare e lui seguitasse a fornire vino buono e via dalla testa la mala idea di emulare il miracolo del Signore e battezzare il vino!

Noi non ci tenevamo a vederlo ripetere ai danni nostri…

Al vinaio gli venne un colpo e se ne andò bestemmiando come un ariano, giurando per la barba del protettore di tutti gli osti, che è poi Noè gran patriarca, che avrebbe fatta causa al battaglione per rompere il contratto.

Filò diritto da un avvocato e così al maggiore Zamboni giunse tanto di citazione con la quale gli si ingiungeva di comparire davanti al Pretore di Edolo, per ivi sentir giudicare rotto il contratto, oltre tutte le altre balle delle quali si infiora la giustizia, quando fa le sue sentenze.

Il Pretore era il buon Tognoli, pancia e faccia da pacifico canonico, buon amico di tutti noi, ma che certo non poteva esimersi dal prendere in considerazione anche le ragioni del vinaio, esposte su mezzo metro di carta bollata.

Si giunge al famoso giorno del giudizio di Salomone e il maggiore Zamboni sventolò il contratto come una bandiera, ma il vinaio oppose che un conto era mantenere il vino ad un battaglione, si e no di mille uomini muli compresi ed un altro abbeverare mezza divisione, perché, conti alla mano, gli fu facile dimostrare che, solo nei primi tre mesi del 1917, aveva mandato su tanto e tanto vino che, se lo avessero bevuto tutto gli alpini dell’Edolo, ne avrebbero dovuto bere nove litri al giorno, misura un po’ troppo forte, a meno che non avessero le budella foderate di spugna.

Qui incominciò la giostra di belle parole dei due avvocati, quello del vinaio e il nostro.

Parla tu, che parlo io, si giunse a mezzogiorno che di balle se ne erano sentite tante ed ancora non si vedeva una via di intesa: a noi premeva la rendita della cantina, al vinaio non finire fallito per amore del battaglione Edolo.

Il nostro avvocato fece una dotta dissertazione sugli eccezionali bisogni che il fisico ha ad altezze di tremila metri e passa, con temperature da gelare il naso agli orsi polari e che richiedono al motore umano sforzi tali che devono essere compensati da rifornimenti oltre le misure normali, proclamò che sempre gli Alpini del battaglione Edolo erano stati famosi per la loro robustezza e che, litro più litro meno, ben difficile era poter stabilire la giusta misura del fabbisogno in … lubrificante: si poteva, così, tanto per fare una cifra, definire per otto litri al giorno, e per ogni Alpino presente il vino che doveva fornire, rimanendo immutato il prezzo, perché non vi era nessun motivo di cambiarlo.

Al vinaio gli vennero i sudori freddi, ma ecco sorgere il suo avvocato a rimbeccare scandalizzato che, con otto litri di vino al giorno, vi era da fulminare un elefante e simili enormità non era nemmeno possibile concepirle: l’alcool è veleno conclamato da tutti i medici, sia in pianura che in montagna e giù a citare una fila di gente morta a cent’anni per il solo fatto che di vino non ne aveva nemmeno sentito l’odore, sani come pesci e nella pienezza di ogni facoltà mentale e fisica.

Due litri dovevano essere e ce n’era d’avanzo e questa era concessione grande, perché non si potesse dire che il suo patrocinato rifiutava di far onore ai suoi impegni.

Tira e molla, grida e discuti, si finì ad accordarsi su quattro litri a testa al giorno e così venne stesa regolare sentenza, copia della quale deve esistere nelle scartoffie del battaglione.

Ilario Péraro

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