L’Alpino: “Alpini friulani fucilati come disertori, ma in realtà quei ragazzi erano eroi”… – 20

…a cura di Ilario Péraro

Alpini 2

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Alpini friulani fucilati come disertori,
ma in realtà quei ragazzi erano eroi.
Silvio Gaetano Ortis


Erano lassù, i ragazzi della 109.ma Compagnia. Quota 2000, sulle montagne di casa. Pochi parlavano l’italiano, ma tutti conoscevano bene il Cellon, la montagna lì davanti, l’immensa schiena nuda e scoperta sulla cui cima, a quota 2200, stavano le mitragliatrici austriache, a guardia del passo di Monte Croce Carnico. Nei loro paesi, lì sotto, pochi parlavano l’italiano e molti lavoravano in Austria. Quando dissero loro che l’Austria era il nemico, non capirono. Tuttavia alla patria obbedivano: Ortis s’era già meritato due medaglie al valore. Ma quando al plotone giunse l’ordine di attaccare le postazioni austriache in pieno giorno, uscendo allo scoperto per un lento e difficile tragitto sotto il tiro delle mitragliatrici, Ortis si fece portavoce dei suoi ragazzi e pronunciò il suo Signornò. Era un suicidio, Ortis lo ripeté al capitano: bastava attendere la notte, spiegò, e le nebbie che in quelle sere salivano ad abbracciare la montagna avrebbero protetto gli attaccanti.
Ma il capitano non parlava furlàn. Lui veniva dalla Calabria e si chiamava Cioffi. E il suo mito era il Cadorna, il grande macellaio. E così Ortis e gli altri alpini furono tradotti giù, in paese, e fucilati «per dare l’esempio». La cima del Cellon fu espugnata da un’altra compagnia, ma l’attacco avvenne di notte, protetti dalle nebbie, proprio come suggerivano i disertori fucilati.

Sono passati cent’anni: l’alpino Ortis Silvio Gaetano, da Paluzza (UD), venne fucilato proprio lì, dietro al piccolo cimitero, dopo un processo sommario celebrato nella chiesetta, dalla quale il parroco, sfidando i militari, aveva portato via il Santissimo.

I quattro fucilati

Con lui caddero nella polvere di quel 1° luglio 1916 Corradazzi Giovanni Battista, da Forni di Sopra (UD), Matiz Basilio, da Timau (UD), e Massaro Angelo, da Maniago (PN). Tutti alpini dell’8° Reggimento, 109.ma Compagnia. Tutti condannati a morte per rivolta e diserzione. E al disonore per l’eternità: decenni dopo, ai discendenti è respinta la domanda di assunzione nei corpi statali, e quando, in anni recenti, la famiglia chiede di poter seppellire degnamente i resti di Silvio, le autorità militari proibiscono che suonino le campane e vietano la cerimonia ai non familiari. Ma quando il feretro si avvicina alla chiesa, ancora una volta un parroco di montagna sfida l’ordine ingiusto: tre rintocchi di campana accolgono come si deve la bara di Ortis.
Nel marzo 1990 il pronipote dell’alpino Ortis inoltrò alla Corte militare d’appello istanza di riabilitazione del suo parente, fucilato 74 anni prima, allegando documenti raccolti in un lavoro ventennale. La risposta, da Roma, fu sublime: «Istanza inammissibile, manca la firma dell’interessato». Ci riprovò il ministro della Difesa, ma la giustizia militare, 94 anni dopo i fatti, bastonò anche il ministro: «Le testimonianze non sono verbalizzate dall’autorità giudiziaria». I protagonisti devono risorgere dai morti per firmare il verbale.
Ma in Carnia sono testardi come i muli degli alpini. A Cercivento s’è costituito un comitato per la riabilitazione di Ortis e degli altri alpini.

Ilario Péraro

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