4 DAL GUARDARE ALL’OSSERVARE, NELLO SPAZIO E NEL TEMPO: “Quando “San Massimo all’Adige” era… nell’Adige (preistorico)”

…a cura di Giorgio Chelidonio

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Fig. 1: Dettaglio della “Carta dell’Almagià” (AA.VV., 2014: Verona e il suo territorio nel Quattrocento. Studi sulla carta dell’Almagià. A cura di S. Lodi e G.M: Varanini, Cierre Edizioni, Caselle di Sommacampagna (VR).

“Quando “San Massimo all’Adige” era… nell’Adige (preistorico)”

Guardare un paesaggio non implica solo processi neuro-visivi ma anche chiavi di lettura culturali. Se non sono molti quelli che, abitualmente, osservano-interpretano nel paesaggio quotidiano le forme e le tracce antropiche (edifici, ponti, strade ma anche vigneti, pascoli etc.), ancor meno sono quelli che praticano una lettura geologica del paesaggio. Eppure, questa costituisce il “paesaggio del tempo profondo” e le sue mutazioni che hanno prodotto le tessere più antiche di ogni mosaico ambientale. Senza spingersi subito verso tempi geologici, è possibile addentrarsi nella dimensione storica del paesaggio attraverso i toponimi: ve ne propongo un esempio cittadino veronese: non ricordo quando ho sentito parlare per la prima volta di “San Massimo all’Adige”, un toponimo davvero difficile da identificare in base al culto del santo in questione. Infatti, sono venerati ben 15 santi con questo nome(1), fra martiri e vescovi. Fra questi, però, c’è un S. Massimo vescovo di Verona (nel IV secolo), sebbene che non risulti citato nel cosiddetto “Velo di Classe”, che elenca la sequenza dei vescovi veronesi fino al secolo VIII.
Pare, comunque, probabile che gli fosse dedicata una chiesa riportata nella cosiddetta “Carta dell’Almagià (seconda metà del XV secolo): in questa mappa la chiesa suddetta è indicata accanto alla Porta de S. Màsimo (fig. 1). Quest’ultima era aperta nelle mura scaligere, non venne raffigurata in asse con l’attuale Corso Milano, il cui tracciato risulta deducibile dal toponimo “Croxe Bianca”, ma con un’altra strada diritta sulla quale è segnata una certa “Cà di Cauri”.
Ad Ovest della città esiste ancora una località “Cà dei Cavri”(2) ma, diversamente dalla suddetta mappa veneziana, tale toponimo è situato sul tracciato dell’attuale Corso Milano/Strada Bresciana.
Nel 1459 la chiesa di S. Massimo divenne parrocchia, ma nel 1518 i Veneziani, rientrati in possesso di Verona dopo la guerra perduta contro la Lega di Cambrai(3), la fecero abbattere: avendo avviato la nuova bastionatura della città, decisero di spianare ogni costruzione che si trovasse entro un miglio tutto intorno alla cinta urbana.
Di quello spianamento militare sopravvive, cinque secoli dopo, il toponimo Spianà (che occupa una grande bassura)(4), mentre la vecchia chiesa di S. Massimo e l’abitato allora circostante fu spostato sul terrazzo fluvio-glaciale soprastante (75-80 metri slm circa, sul cui margine orientale corre – dal 1878 – la linea ferroviaria Milano-Venezia). Quanto al suffisso toponomastico “all’Adige” fu introdotto, nel 1808, dall’amministrazione napoleonica quando riunì, come ripartizione municipale, le contrade di San Massimo, Croce Bianca e Chievo.
Quella aggiunta perifluviale fu forse dovuta all’aver incluso quest’ultima contrada storica: detta in dialetto “el Cèo”, deriva il suo nome dalla sua posizione morfologica. Infatti, nel tardo-latino, clivus ha valenza di ciglio ripido e risulta citato in un documento del 1193: “terris que sunt supra clive Verone”(5).
Questa la storia toponomastica del quartiere di San Massimo, troppo spesso citato senza chiedersene le origini. Ben più complesso è il geo-paesaggio della porzione di pianura paleo-atesina su cui venne trasferito l’abitato di San Massimo: una semplice osservazione della “Carta geologica del territorio del Comune di Verona” (De Zanche, Sorbini, Spagna, 1977)(6), prezioso strumento di conoscenza tuttora semisconosciuto ai veronesi, ci mostra che questo quartiere è affacciato sul bordo di una antica scarpata fluviale (con andamento N/S e successiva ansa curvilinea verso Est) che sale dalle quote di 58-61 metri s.l.m. di Via San Marco ai 83-85 metri s.l.m. di Via Lugagnano. Questa morfologia rappresenta il margine S/W della riva destra dell’Adige tardo-preistorico, che divagava su un alveo ampio circa 4 km, misurandolo nel tratto posto fra il margine orientale di San Massimo e il Ponte Pietra. Questo riferimento può sembrare strano: in realtà la paleo-riva sinistra è sepolta fra le case che occupano il primo tratto di Via Marsala, in Valdonega(7).
Con una breve descrizione divulgativa di questa antica porzione di pianura, articolata in vari terrazzamenti fluvio-glaciali, si può distinguere:

1) la “spianata di San Zeno” dove le ghiaie atesine risultano ricoperte da uno strato di limi, di origine sia fluvio-glaciale che eolica (i cosiddetti löess, polveri diffuse dai venti durante le fasi climatiche aride glaciali), spesso anche 3 metri;

2) la porzione di “alta pianura”, posta fra San Massimo e Via Lugagnano, nella cui stratigrafia i primi 50 cm. circa dovrebbero corrispondere a terreni argillo-sabbiosi bruno-rossastri contenenti ciottoli atesini (rocce metamorfiche, es. porfidi) alterati e associati alla dissoluzione quasi completa di quelli carbonatici (rocce sedimentarie, es. calcari).

Per quanto riguarda l’età di questi due principali elementi morfologici del paesaggio locale, alcune osservazioni effettuate in più punti della Spianà (zona di Via Albere), successivamente alla pubblicazione della suddetta carta geologica, ne suggeriscono una formazione dovuta a sedimentazioni alluvionali post-glaciali successive al III millennio a.C.: questa ipotesi di datazione dell’ampio paleo-alveo scavato dall’Adige tardo-preistorico, la cui corrente aveva invaso le porzioni meridionali dei fondovalle lessinei, è legata ai depositi ghiaiosi e sabbiosi rilevati al centro della bassa Val Pantena (es. a San Felice Extra, a quote di circa 60 metri s.l.m.).  La carta geologica del Comune di Verona non ha dettagliato in profondità questi sedimenti fluvio-glaciali, ma si stima che siano comunque posteriori a 14.500 anni fa circa, data in cui il fondovalle atesino era già libero dai ghiacci, come documentano le tracce di  frequentazione antropica del Riparo Soman (situato in riva sinistra, poco a monte della Chiusa di Ceraino, a circa 200 metri slm)(8).
Risulta intuitivamente comprensibile che lo scioglimento (rapido in termini geologici) dei ghiacciai del Garda e dell’Adige (quest’ultimo raggiungeva sopra Trento i 1500 metri di spessore) possa aver deposto il grande conoide ghiaioso a sud di Rivoli, e che si raccorda con le morene gardesane nell’alta pianura (nel nostro caso fra San Massimo, Lugagnano e i primi rilievi, morenici di Sona). In questa porzione dell’alta pianura atesina, il limitato spessore di alterazione dei sedimenti può essere riferito alla pedogenesi, la dissoluzione bio-chimica dei calcari derivata da acidi umici prodotti da coperture forestali più o meno intense e/o prolungate. Questo fenomeno  avvenne durante la fase climatica temperata/caldo-umida detta “Atlantico” (o “optimum climatico”, fra 6200 e 4700 anni fa circa), che permise la massima espansione sia del querceto misto che del limite forestale oltre i 2000 metri di quota.

Links

1) http://www.santiebeati.it/dettaglio/55050  

2) dove nel XVII secolo venne trovato uno speciale “spiedo” bronzeo (IV secolo a.C.) con su incisa una lunga iscrizione votiva in lingua retica. https://www.univie.ac.at/raetica/wiki/VR-3_spit

3) http://www.treccani.it/enciclopedia/lega-di-cambrai/

4) Villa P., 2014: Spianà delle Mura di Verona (identità veronese), in https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Spian%C3%A0_delle_Mura_di_Verona_(identit%C3%A0_veronese)_di_Paolo_Villa.pdf?fbclid=IwAR1cNH6Hc2p4bmHgar7p6qFZe7yXKLyfxNQYO1CuIxyfcKDJt4APTtRYcMU (accesso 9.3.2020).

5) Rapelli G., 1996: Prontuario toponomastico del comune di Verona, Edizioni “La Grafica”, Vago di Lavagno (VR).

6) De Zanche V., Sorbini L., Spagna V., 1977: Geologia del territorio del Comune di Verona, Memorie Museo Civico Storia Naturale Verona, II° serie, Sez. Scienze della Terra, n.1, Verona.

7) Lanzingher M., 1988: Il riparo Soman presso Ceraino, fra Tardiglaciale e Olocene, Annuario Storico della Valpolicella, pp. 5-16, Fumane (VR).

8) In realtà non si conoscono dettagli stratigrafici per il quartiere di Valdonega. Un’occasione perduta furono gli scavi di fondazione (primi anni ’80 del XX secolo) della chiesa di San Benedetto: in quell’occasione fu solo possibile osservare, ma in modo del tutto superficiale, una sequenza, spessa e stratificata, di sedimenti colluviati dall’erosione dei versanti collinari circostanti. Nel vicino quartiere di S. Giovanni in Valle, sulla base di testimonianze raccolte, si stima che sedimenti sabbiosi-ghiaiosi atesini siano sepolti fra 75-70 metri slm di quota lungo la strada che, da Vicolo Pozzo sale alla Casa Madre dei Comboniani. Pare, perciò possibile indicare che gli strati della riva sinistra dell’Adige tardo-preistorico possano essere sepolti, ad una quota equivalente, indicativamente all’altezza di via Pilo, una traversa di Via Marsala.

Verona 20.04.2020

Giorgio Chelidonio – (4 continua…) 

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