25. PREISTORIA? SCIENZA DEL DUBBIO. “Fuoco per …armi da fuoco”

…a cura di Giorgio Chelidonio

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Accendino da tavolo a pietra focaia (noto con il nome inglese “flintlock tinder pistol”) in uso all’inizio del XIX secolo. https://caseantiques.com/item/lot-17-flintlock-tinder-pistol-lighter/

Fuoco per …armi da fuoco

Nelle tradizioni, specie nei riti che scandivano le stagioni, il fuoco come simbolo purificatore ha avuto ruoli ricorrenti, importanti e soprattutto condivisi dalle comunità: è sufficiente citare i “fuochi solstiziali” di San Giovanni Battista” (24 giugno) o quelli di Sant’Antonio abate (17 gennaio): entrambi vengono tuttora accesi in varie località italiane e non, anche se la loro valenza originaria va progressivamente sfumando in sagre popolari ma sempre più caratterizzate da un eventismo folklorico-consumistico. Vista, però, la loro antichità sarà più coerente accomunarne l’analisi ai “miti del fuoco”, in una prossima scheda.
Riallacciandoci, invece, alla storia recente (quella scandita in pochi secoli, dal XX al XIV) si può recuperare memoria, andando a ritroso nel tempo, degli artigianati delle pietre focaie e in particolare di quello veronese, partendo dal 1817(1). Risale, infatti, a quell’anno una lettera spedita dal grossista veronese di pietre focaie al governo austriaco, che in quell’anno da poco occupava i territori della ex-Serenissima: se le commissioni asburgiche di pietre focaie, un artigianato così attivo durante l’occupazione napoleonica, non fossero riprese ben 500 operai sarebbero diventati disoccupati. Questa lettera ci fa comprendere:
– le dimensioni di questo artigianato veneto, che sfruttava gli affioramenti di selce della Lessinia e del Monte Baldo meridionale (quello settentrionale, sopra Avio, già nel XVIII secolo era “Tirolo meridionale”, cioè territorio austriaco);
– che quel grossista era solo il collettore delle pietre focaie prodotte da molte decine di singoli artigiani la cui attività era sparpagliata nei Monti Lessini, fra grotte, ripari e persino al margine di case coloniche.  Infatti, i resti di centinaia di “officine da pietre focaie” sono stati finora rilevati: diffusi dalle aree collinari (es. Mezzane) a quelle d’alpeggio (es. Malga Brol, a Boscochiesanuova)(2), in corrispondenza agli affioramenti geologici delle diverse qualità di selce (quella del Cretaceo, ma anche quella dell’Oolite), scandiscono le tracce di un artigianato probabilmente esercitato come part-time stagionale. Quei rustici artigiani erano localmente detti “folendàri”, perché “folénda” era il nome dato (solo in Lessinia) alla selce: questa denominazione risale almeno alla fine del XVI secolo, come attesta un rogito notarile che precisa come un terreno vicino ad Arzarè fosse detto “alli folendàri”(3). Tuttora, però, l’etimo di questa parola non è stato chiarito: pare verosimile che, trattandosi di un termine dialettale di radice non “cimbra”, esso possa derivare delle qualità di una roccia, la selce, ottimale come pietra focaia per acciarino: quindi, da un “pièra folénda”, per definirla particolarmente adatta a produrre fuoco (“fogolénda”? un gerundivo latino tardo medievale?)(4).
Il documento più antico oggi noto è una “carta di dote”(5) conservata a Camposilvano e datata alla prima metà del XVIII secolo: perché non prima? Lacune della ricerca archivistica a parte, lo sviluppo cronologico di questo artigianato pare connesso alla progressiva diffusione delle armi da fuoco dotate di “acciarino alla moderna”. Questo meccanismo accensivo venne inventato in Francia nei primi decenni del XVII secolo, ma fu applicato alle armi d’ordinanza (quelle prodotte su scala industriale per armare eserciti nazionali)(6) solo a partire dai primi del secolo successivo: sembra che la Serenissima sia stata la prima a dotare le proprie fanterie, dalla fine del XVII secolo, di “archibugi a pietra” “con le sùste fuori”.
Prima di questo storico passaggio tecno-evolutivo, le armi da fuoco, le cui date europee più antiche vanno dal 1250 (per la polvere da sparo) al 1326 (la più antica bombarda inglese), erano dotate di due tipi di meccanismi accensivi:

Pistola “a ruota” prodotta, nel 1540 circa, da Peter Peck, armaiolo di Monaco (Baviera) per l’imperatore Carlo V – https://www.metmuseum.org/art/collection/search/22387

– quello “a ruota”(9), funzionante tramite una molla che innescava scintille facendo sfregare velocemente un blocchetto di pirite contro un “ruotino”.  Era un aggeggio complesso e delicato, che perciò non divenne mai arma d’ordinanza, ma restò dotazione solo dei cavalieri nobili(10);
– quello “a miccia”(11), diventato come arma di archibugieri e o moschettieri(12), ma d’utilizzo comunque problematico, perché implicava stare sul campo di battaglia con una lunga miccia accesa alle sue due estremità (con il rischio di spegnimento in caso di pioggia).
Possiamo, dunque collocare fra la metà del XVII secolo (in Francia) e gli inizi del XVIII secolo (ad esempio in Inghilterra) l’artigianato europeo delle pietre focaie, il cui utilizzo accensivo manuale era, però, ben più antico: ce lo ricorda la parola dantesca “focìle”(13) che nel linguaggio toscano del XIV secolo voleva dire acciarino. Ma questa è la prossima tappa del mio narrare la storia del fuoco a ritroso nel tempo antropico.

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Verona, 5 Marzo 2018
Giorgio Chelidonio

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