32. PREISTORIA? SCIENZA DEL DUBBIO. “Fuochi raccolti: dalla terra e dal cielo”
…a cura di Giorgio Chelidonio
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Fuochi raccolti: dalla terra e dal cielo
Gran parte delle mitologie etniche danno “spiegazioni”, spesso divergenti, sull’origine del fuoco, spesso distinguendolo in “fuoco selvatico” e “fuoco addomesticato”.
Nella religione induista, ad esempio, Agni è il dio del fuoco domestico(1) mentre Indra è la divinità del tuono e del fulmine, dunque di un “fuoco selvatico” nel senso di non controllabile dalla volontà umana. Non può essere certo questa la sede in cui addentrarsi nella vastissima e complessa dimensione articolata fra etnografia e storia delle religioni. Limitiamoci, dunque ad alcuni dei principali rimandi bibliografici che possono introdurci a questo tema, sia in chiave internazionale che italiana: esemplificando, nel primo caso con gli scritti di James Frazer(2) e quelli di Paul Sébillot(3), mentre nel secondo la versione calendariale di Alfredo Cattabiani, che spazia fra miti e riti(4). In questa prima riflessione sui “fuochi raccolti, tratterò quelli creduti di origine ctonia(5), cioè sotterranea, del fuoco: la mia leggenda preferita è la seguente, diffusa in Sardegna già alla fine del XIX secolo(6). Vi si narra dell’arrivo in quell’isola di Sant’Antonio Abate come portatore del fuoco. Ritengo che sia un esempio rappresentativo, come religiosità popolare, di come un mito arcaico possa via, via trasfigurarsi sia nel tempo che nei territori in cui si è diffuso.
Per riassumerla, immaginatevi una Sardegna infreddolita perché i suoi abitanti non possedevano il fuoco, una evidente fantasia costruita per far da base al racconto visti i diffusi utilizzi, pastorali e gastronomici, del fuoco in questa isola/continente. Dovete però immaginarvela anche senza maiali perché la leggenda (quasi una favola) narra che il santo abate arrivò su una barchetta in compagnia di alcuni maialini. Sbarcato e impietositosi della misera condizioni dei sardi, il santo decise di mettervi rimedio “bussando” con il suo bastone (uno dei suoi simboli) ad una roccia che, miracolosamente, si aprì spalancando una porta sull’inferno: entrato con i maialini, questi si misero a correre fra i diavoli creando scompiglio. Mentre i demoni erano così distratti, Sant’Antonio appoggiò, non visto, la punta del suo bastone al fuoco infernale e, solo allora, radunò i suoi vivacissimi animaletti ed uscì. L’estremità del bastone non si era incendiata, cosa che i diavoli avrebbero notato, ma vi si era raccolta una brace: il santo fece roteare il suo “bastone a Tau”(7) distribuendo così le scintille alla popolazione, che venne così, finalmente, in possesso del fuoco.
Quella che può apparentemente sembrare quasi una “fiaba” può essere, però, analizzata per comprenderne le radici. Ecco alcune osservazioni:
– l’origine accensiva del fuoco domesticato è così antica da essere trattata solo in miti arcaici, come quello di Prometeo che rubò il fuoco agli dei dell’Olimpo greco non in forma di fiamma o di torcia accesa ma di brace nascosta in una canna;
– la modalità è del tutto simile a quella della leggenda sarda perché il bastone che vi si narra era uno stelo secco di férula(8), una specie di finocchio selvatico (diffuso in area mediterranea) il cui midollo microfibroso è adatto a conservare la brace a lenta combustione, rendendola quindi trasportabile;
– pare assai probabile che anche la “canna” di Prometeo fosse una férula, confermando che questo fosse, almeno nei diversi millenni in cui questo mito si è consolidato e diffuso nel mondo greco-egeo, uno dei sistemi comuni di trasportare il fuoco.
Il trasporto di fuoco in forma di braci risulta storicamente ben noto anche nel Veneto: farsi prestare “dò senìse” (due braci) dai vicini era pratica diffusa nella montagna veronese fino agli anni ’50 del XX secolo, magari usando come contenitore una “scaldìna” di rame o di terracotta.
Ricordo perfettamente (anche se allora vivevo in città) che, con arnesi simili, si intiepidivano le lenzuola ponendoli però, prudentemente, entro una struttura di legno e latta (detta “préo”)(9).
Del resto, il rinvenimento di Ötzi (la mummia glaciale conservata al Museo Archeologico di Bolzano)(10) ci ha rivelato che oltre 5000 anni fa si trasportavano braci avvolte in foglie d’acero fresche, contenute in cestelli di corteccia di betulla(11).
Questi gli elementi “mito-tecnici” che sottostanno alla leggenda sarda, ma perché Prometeo si è trasfigurato, dopo oltre 2 millenni, in Sant’Antonio abate, a sua volta mutato, nella devozione popolare, “Sant’Antonio del fuoco”(12). Per quali strade era avvenuta questa mutazione culturale? Proviamo a riepilogarne la storia evolutiva di questa figura:
– nato a Coma in Egitto nel 251 d.C., Antonio passò, a vent’anni circa, a condurre una vita ascetica, vivendo in solitudine eremitica fra il 286 e il 306 d.C. Secondo il suo biografo, San Atanasio vescovo di Alessandria che ne scrisse nel 357 d.C. circa, risalgono a quegli anni le “tentazioni diaboliche”, quelle che mille anni dopo ne resero famosa la figura in molti dipinti datati agli inizi del XVI secolo. Eccezionale e famoso, tra questi, il trittico di Jeronimus Bosch, oggi conservato al museo Nazionale di Arte Antica a Lisbona(13).
Antonio, successivamente, si spostò in altri luoghi ancor più eremitici e per poi fondare, nella Tebaide(14), infine, una delle prime comunità monastiche, dove morì, ultracentenario nel 356 d.C.
La storia della sua venerazione popolare si nutrì di una raccolta, fatta dai suoi discepoli, di “detti” e “lettere”; in una di queste sta forse la prima connessione con il fuoco “Chiedete con cuore sincero quel grande Spirito di fuoco che io stesso ho ricevuto, ed esso vi sarà dato»(15).
Quando nel 561 d.C. venne scoperta la sua sepoltura, iniziò una lunga peregrinazione di quelle reliquie: da Alessandria d’Egitto fino a Costantinopoli, per poi arrivare, nell’XI secolo, in Francia, dove a Motte-Saint-Didier(16) fu costruita una chiesa in suo onore. Là, già esisteva un priorato benedettino e nel 1095 vi sorse anche una comunità laicale dedita a finalità “ospitaliere”, che fu subito approvata da papa Urbano II. Nel 1297 Papa Bonifacio VIII le conferì lo status di “Ordine di canonici regolari”(17), e, in seguito, fu detta degli “Antoniani di Vienne”, dal nome della città più vicina. Inoltre, la figura di Sant’Antonio abate fu “rilanciata” da un testo agiografico-simbolico denominato “Legenda aurea” (18), scritto (fra il 1260 e il 1298) da un frate domenicano, Jacopo da Varagine, e divenuto ben presto un “best seller”(19) interpretativo dell’iconografia cristiana medievale in Occidentale.
Su queste basi “ospitaliere” si originò la connessione del santo con i maialini: gli Antoniani, infatti, erano particolarmente dediti alla cura dell’ergotismo(20), una intossicazione alimentare (dovuta a funghi su cereali e loro farine) che allora provocava vere e proprie ondate epidemiche; in quel tempo l’ergotismo era detto “ignis sacer” (fuoco sacro o “fuoco di Sant’Antonio”, dal nome della confraternita suddetta).
L’intenso bruciore che tale malattia causava veniva lenito con unzioni di grasso di maiale, e forse anche per questo agli Antoniani venne concesso il privilegio di allevare maiali a spese della comunità, facendoli circolare liberamente. Dopo che, dal XVII secolo, la natura dell’ergotismo fu scoperta e debellata, la denominazione di “fuoco di Sant’Antonio” passò, all’herpes zoster(21), verosimilmente solo per somiglianze nei sintomi epiteliali.
L’associazione, iconografica e medicamentosa, fra Sant’Antonio Abate e la figura del maialino (spesso raffigurato come se lo seguisse) innescò un’ulteriore trasfigurazione nella religiosità popolare: se il santo protegge i maiali perché non dovrebbe essere salvifico anche con gli altri animali utili per le attività agricole? Fu così che, con l’avvio della stampa e delle immagini sacre “tascabili” (i cosiddetti “santini”)(22), il “santo del fuoco” divenne patrono degli animali “da cortile”. Peraltro, in una miniatura del 1410(23) (fig. 1) il santo abate era già raffigurato come “patrono degli animali utili all’agricoltura”, ma fu dalla seconda metà del XIX secolo che questa versione iconografica divenne onnipresente … nelle stalle (fig.2).
Links
1) Schleberger E., 1999: Le divinità indiane. Aspetto, manifestazioni e simboli. Manuale di iconografia induista, Edizioni Mediterranee, Roma. + VV., 1997: Miti dell’induismo, a cura di W.D. O’Flaherty, Garzanti Editore.
2) Frazer J.G., 1993: Miti sull’origine del fuoco, Xenia …
3) Sèbillot P., 1990: Riti pre-cristiani nel folklore europeo, Xenia …
4) Cattabiani A., 2003: Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Arnoldo Mondadori Editore, Milano.
5) http://www.treccani.it/vocabolario/ctonio/
6) VV., 1893: Rivista delle tradizioni popolari italiane – Anno, 1, fascicolo 3, pp.173-176.
7) https://it.wikipedia.org/wiki/Pastorale_(liturgia)
8) http://www.museosalina.it/le-specie-di-piante.html?start=1 + https://it.wikipedia.org/wiki/Ferula_(religione)#Ferula_comune + https://it.wikipedia.org/wiki/Ferula_communis#Usi
9) https://it.wikipedia.org/wiki/Scaldaletto
10) http://www.bolzano.net/it/museo-archeologico-alto-adige.html
12) https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_abate#Biografia
13) https://it.wikipedia.org/wiki/Trittico_delle_Tentazioni_di_sant%27Antonio
14) https://it.wikipedia.org/wiki/Tebaide_(Egitto)
15) http://www.santiebeati.it/dettaglio/22300
16) https://it.wikipedia.org/wiki/Saint-Antoine-l%27Abbaye > il nome del luogo divenne presto Saint Antoine-l’Abbaye.
17) https://it.wikipedia.org/wiki/Canonici_regolari_di_Sant%27Antonio_di_Vienne#Origini
18) https://it.wikipedia.org/wiki/Legenda_Aurea
19) http://www.disal.it/Resource/LegoffBiografieSanti.pdf
20) http://www.mondimedievali.net/medicina/altomedioevo25.htm
21) https://it.wikipedia.org/wiki/Herpes_zoster
22) https://www.storiaememoriadibologna.it/santini-1219-opera
23) https://www.foliamagazine.it/santantonio/
Verona, 22 Ottobre 2018
Giorgio Chelidonio