2021 ANNO DANTESCO – “Il sommo poeta Durante (Dante) Alighieri” – contributi degli Editori de “ilcondominionews.it”

…a cura di Giorgio Chelidonio

Aforismi penna

2021 ANNO DANTESCO – Ricorrenza a 700 anni dalla morte

Fógo (e “battifógo” ?): notarelle sulla parlata veronese del XIII-XIV secolo

Pare probabile che Dante Alighieri, come ogni altro veronese coevo, trovasse così “banale” l’uso accensivo quotidiano dell’acciarino da citarne solo simbolicamente il nome toscano: “focìle”(1), ma con quale nome l’avrebbe chiesto, in caso di necessità, ad un membro della corte scaligera o ad un qualsiasi veronese? La domanda può sembrare retorica, perché Dante, come ogni suo contemporaneo, verosimilmente ne portava sempre uno con sé o quanto meno ne aveva facile disponibilità. Ma il quesito porta a chiedersi se interloquisse in latino (la parlata fiorentina non doveva essere molto famigliare ai veronesi dei primi decenni del Trecento) oppure se esistesse una specie di lingua franca (es. quella della cosiddetta letteratura franco-veneta?)(2).
Non è certo questa la sede per trattare adeguatamente le origini del primo volgare veronese, né io ne ho la competenza minima per farlo. Mi limito quindi ad usare i pochi testi che ho disponibili, premettendo una breve sintesi sui documenti che citerò.
Ad esempio (Sancassani, 1960), quelli comunali:
– il “Liber Communis” del 1184, tempo precedente alla edificazione stessa (1993) del palazzo
comunale;
– il “Liber iuris civilis urbis Veronae” del 1128, ossia il primo Statuto del Comune di Verona, in cui
al capitolo CLXVI risulta usata per la prima volta la parola “archivio”;
– il secondo statuto, del 1276, dove al cap. LXXIII si legge la parola “segrestìa” (per
segreteria);
– il cosiddetto “statuto di Cangrande”, del 1328.
Bisogna, però, aggiungere che la povertà di documenti deriva anche da episodi di distruzione, ad esempio:
– nel 1354, durante l’insurrezione di Fregnano contro Cangrande II, gli archivi scaligeri subirono un incendio (omnes scripture cartarum cuiscumque conditionis);
– nel 1387, durante il passaggio del potere cittadino ai Visconti, i palazzi scaligeri furono saccheggiati.
Ciò detto, per quanto mi è dato di conoscere il testo scritto più antico in volgare veronese è il “De Babilonia infernali”(3): scritto da Giacomino da Verona(4), un frate francescano vissuto nella seconda metà del XIII secolo, che sicuramente conosceva il latino ma che, assai probabilmente, usava il “dialetto” nelle prediche in chiesa per comunicare con i fedeli, a testimonianza che il volgare veronese era già ampiamente radicato nella parlata cittadina negli anni in cui Dante Alighieri fece tappa (1316-1318) nella nostra città.
Nel “De Babilonia” la parola “fógo” è presente 17 volte, mai con valenza accensiva ma con qualche riferimento ad abitudini domestiche: ad esempio, cita “calúçen”, cioè gli strati carboniosi che si depositano sulle pareti interne del camino, una parola (calúsene) ancora ben viva nella parlata del mio nonno materno. Dunque, non diversamente da Dante, considera “acciarino, pietra focaia ed esca” un tema troppo comune per definirlo, lasciandoci privi di come si chiamavano questi materiali del volgare veronese del XIII secolo. Peraltro, facendo questa ricerca mi è sorto il dubbio che nella Venezia medievale l’acciarino venisse chiamato “battifógo”, parola che, come cognome veneziano (XVII-XVIII secolo) riaffiora fra le righe di alcuni siti Internet.
A titolo d’esempio del linguaggio popolare veronese del XIII secolo, riporto alcune strofe del “De Babilonia infernali”:

Staganto en quel tormento, sovra ge ven un cógo,
çoè Balçabù, de li peçor del logo,
ke lo meto a rostir, com’un bel porco, al fógo,
en un gran spe’ de fer per farlo tosto cósro
.  (117-120)

Né ’l meior né ’l peçor eo no ve ’l so decerno,
ké tuti sun dïavoli e ministri d’inferno:
altresì ben l’istà com’ igi fa l’inverno
igi tormenta l’omo en quel fógo eterno.
(196-200)

E po’ prendo aqua e sal e calúçen e vin
e fel e fort aseo e tosego e venin
e sì ne faso un solso ke tant e bon e fin…
(121-124)
A lo re de l’inferno per gran don lo traméto,
et el lo guarda dentro e molto cría al messo:
“E’ no ge ne daria” ço diso “un figo seco,
ké la carno è crua e ’l sángo è bel e fresco
(125-128)

Delle pietre focaie veronesi, però, troviamo traccia in un documento del 1165, in cui si cita il toponimo “Salinis” (deducibile come “pietre focaie”) sito in un’area dei Monti Lessini (San Mauro di Saline) ricca in affioramenti di selce: sono ricordate in un documento di fine XIX secolo come pietre “assalìne” cioè per acciarino(5).
Concludo queste mia riflessione “para-dantesca” citando altri due interessanti fonti linguistiche:
– “Le dieci tavole dei proverbi”, una raccolta pubblicata per la prima volta nel 1535: ritenuta
rappresentativa, in prevalenza, della parlata veneziana (a cura di M. Cortelazzo, 1995). La parola “fuoco” vi è presente in forma di “fuògo” (3 volte), foco (1 volta) e fuoco (1 volta);
– la netta diversità dei termini “focài” nella parlata “cimbra” dei Tredici Comuni, nella quale si
usava “vaur” per fuoco (simile al “bôar” parlato nei Sette Comuni e al “feuer” tedesco, ), “skripfa
stòan
” (traducibile con “pietra che si strofina”) per pietra focaia e “skripfaze” per acciarino.
Per quanto sia interessante questa divagazione “cimbra”, mi pare, però improbabile che Dante abbia avuto occasione di parlare (al mercato, in Piazza Erbe?) con “coloni cimbri”, che si erano stabiliti a Roverè solo 3 decenni prima.
Infine, mi limito a citare il ponderoso volume di N. Bertoletti che dettaglia minuziosamente i testi di documenti veronesi scritti fra il XIII e il XIV secolo, chiedendomi: mi basterà la vita per “spulciarne” le 576 pagine, fitte di annotazioni e glossario?
Per ora mi accontento di campionarne un paio di frasi, scelte fra quelle che più “mi suonano” vicine alla parlata veronese di Fra’ Giacomino:
– “…una peça de terra araora çasanto en la curto de Nogara en casalo de Ferrara e po’ esro undexo campi intro frumento e segala…” (1268 – pag. 284).

Bibliografia

  • Le dieci tavole dei proverbi”, 1995, a cura di M. Cortelazzo, Neri Pozza Editore.
  • Bertoletti N., 2005: Testi veronesi dell’età scaligera, Esedra Editrice, Padova.
  • Martello Martalar U., 1974: Dizionario della lingua cimbra dei Sette Comuni vicentini, Istituto di Ricerca “A. Dal Pezzo”, Roana (VI).
  • Cappelletti G., 1956: Il linguaggio dei Tredici Comuni Veronesi, Edizioni di Vita Veronese.

Links

PS > trovo traccia in Internet (https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_della_Scala) dell’esistenza di un archivio scaligero: quello di Federico della Scala, signore della “Contea della Valpolicella” e cugino di Cangrande I, che lo nominò podestà di Verona nel 1312. Pare che il suo archivio, purtroppo inedito, sia stato ereditato da una famiglia di nobili alto-atesini e tuttora conservato (da loro eredi ?) a Grusbach (oggi detta Hrušovany nad Jevišovkou) nella Repubblica Ceca (Sancassani, 1960).

Verona, 20.12.2021

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L’immagine è rielaborata da:
https://www.oltrelascena.it/pronto-intervento-poetico/dante-fuoco/

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