Pubblicazione del libro – “San Briccio. Il paese tra presente, passato e futuro: non solo storia locale.”… di Giuseppe Corrà e Renzo Zerbato… segnalazione a cura di Aldo Ridolfi… – 95

…a cura di Aldo Ridolfi

LAVAGNO (VR)

“San Briccio. Il paese tra presente, passato e futuro: non solo storia locale”.

Nel libro di Giuseppe Corrà e Renzo Zerbato, San Briccio. Il paese tra presente, passato e futuro, fresco, fresco di stampa, si materializza davanti ai nostri occhi di lettori un brano di storia locale tanto più importante quanto più la memoria si fa precaria, incerta, nebulosa e soprattutto tecnologica, che significa, quest’ultima, salvata da qualche altra parte e non dentro di noi. Fondamentalmente il saggio ripercorre la vicenda della costruzione della nuova chiesa, in seguito alla costruzione del forte. Ma c’è dell’altro. Ci sono i parroci e i fedeli, i militari e gli architetti, i nobili e i braccianti. Ci sono i documenti: le note di spesa, i disegni, i prospetti, i capitolati. Tutti uniti in un unico affresco capace di restituire, assieme a quella storica, la dinamica umana, esistenziale, relazionale, esperienziale. Sì, perché i numeri, le tabelle, i documenti, le relazioni diventano immediatamente, nel lettore attento  e sensibile, parte integrante della nostra – di adesso e non di fine Ottocento – esistenza.
Corrà e Zerbato già avevano pubblicato nel 2012 All’ombra del forte. San Briccio: fatti, storie e racconti, facendo così del colle di San Briccio un loro particolare interesse, quasi che un Genius loci attraesse irresistibilmente le loro attenzioni, anzi, meglio, i loro cuori.  E dunque, in un certo senso, occupandosi così concretamente di uomini e luoghi, provano ad entrare, da storici, nel perimetro dei poeti: non diceva, a ragione, Hodelin che “Poeticamente abita l’uomo la terra?”.
Ritornare sul colle (dopo le numerose incursioni precedenti la cui sintesi qui non è possibile), scandagliare gli ultimi decenni dell’Ottocento, mettere ordine all’arrivo dei militari per la costruzione del forte, riferire lo sforzo di don Manzatti nelle trattative con i militari, compilare la rassegna delle opere preziose conservate nella nuova chiesa, ricordare nomi e cognomi di sambriccesi altrimenti sconosciuti diventa un ordinatissimo crogiolo ad un tempo di dati e di stati d’animo. E da quello sconquasso del territorio nasce la nuova chiesa di San Briccio. E dunque la lettura tutta in positivo di quella “crisi” offertaci da don Samuele Zanchi nell’ “Introduzione” diventa non solo legittima ma anche “necessaria”.
Nello studio di Corrà e Zerbato vengono considerate le particolari situazioni sociali emergenti a latere della costruzione della chiesa. Il ruolo delle fabbricerie, degli espropri, delle gare d’appalto, perfino i dialoghi, divertenti ma non solo, tra Mattio e Giacomo. Un’altra questione è quella della carenza d’acqua, anche potabile, risorsa essenziale per le attività cantieristiche ma soprattutto per i bisogni quotidiani della popolazione. Essa poteva provenire o dal laghetto posto in centro paese, o da Turano o dalla sorgente di Palù mediate carri-botte. Ma ogni storia locale può sfondare in qualsiasi momento in storia generale o, secondo altra terminologia, in storia “totale”. Ecco allora che i lavori della chiesa si prestano per riflessioni che oltrepassano il perimetro di San Briccio per investire una dimensione più ampia. A fine Ottocento era possibile «allontanare immediatamente gli operai non graditi alla Commissione parrocchiale» (p. 52). Sarà necessario, ci avvertono gli Autori, far passare quasi novant’anni per avere una tutela giuridica in questa senso: la legge 300 del 20 maggio 1970. E allora la diacronia della storia diventa criterio capace di orientare nei secoli.
Arrivano, gli autori, a sorprenderci quando affermano: «Proviamo ad immaginare di essere stati presenti in quel mercoledì 23 marzo 1885», il giorno dell’inaugurazione del nuovo edificio sacro. Ci sorprendono perché l’immaginazione non sempre trova diritto di cittadinanza nella storia, eppure quelle pagine vivissime sono tra le più belle del libro. Ci appare infatti una chiesa che cresce un poco alla volta, sotto gli occhi dei parrocchiani e non nell’indifferenza verso qualcosa che viene da “fuori”: così andavano le cose, così partecipava la cittadinanza quando non c’era Internet.
Un’ultima annotazione: lo storico lavora sull’edito ma soprattutto sull’inedito. In questa prospettiva, fondativa per il lavoro dello storico, si sono mossi anche Corrà e Zerbato, lo dimostra la miriade di documenti pubblicati soprattutto nella terza parte del volume: “Copia dei documenti conservati nell’archivio parrocchiale”. Ed essi stessi ci  confermano in questa nostra convinzione, con le loro parole che ci offrono la traccia del loro metodo: «Pur cercando nell’archivio non abbiamo trovato il documento» (p. 84); e ancora «Nel nostro lavoro di ricerca non abbiamo trovato il registro del cantiere… ma queste informazioni le abbiamo dedotte…” (p. 65)
Infine: il volume è ampiamente illustrato con fotografie attuali e storiche, con riproduzioni di documenti d’archivio, con la presenza dell’interessante mappa del 1770, con il “racconto fotografico” del recupero del forte e degli spazi adiacenti,…
Storia locale, si diceva una volta. Ma è oramai un secolo che le “Annales” hanno decretato – credo irreversibilmente – che oggetto della storia è un tessuto ben più ampio e più tramato di quello che raccontano i grandi fatti, le guerre e la diplomazia. Quello della storia locale, della microstoria, invece, è un tessuto che, mentre si accinge a partire dal basso, avanza la pretesa del tutto lecita di far diventare quella storia cenerentola un racconto globale ove dialogano tra di loro l’economico e il sociale, il geografico e il culturale, la demografia e la religione, l’antropologia e la psicologia. Mi pare che non solo questo ma tutti i saggi di Corrà e Zerbato perseguano – e raggiungano – questo obiettivo.
Ora ci rimane un’ultima (che sarà sempre la penultima) cosa da fare: recarci sul posto. Noi lo abbiamo fatto e ne abbiamo tratto vantaggio. Anche la storia contribuisce non poco a dare forma quel Genius loci già richiamato, a quella forza che sottrae un luogo da un destino maligno e oggi, ahinoi, incombente, quello di diventare un non-luogo.

Aldo Ridolfi

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