2021 ANNO DANTESCO – “Il sommo poeta Durante (Dante) Alighieri” – contributi degli Editori de “ilcondominionews.it”

…a cura di Elisa Zoppei

Aforismi penna

2021 ANNO DANTESCO – Ricorrenza a 700 anni dalla morte

Verona e Dante di Giovanni Solinas

Le numerose biografie dell’esule Dante Alighieri, il foscoliano ghibellin fuggiasco, lo accasano in Verona, ospite in periodi diversi dei signori della Scala, Bartolomeo prima e Cangrande poi. Fra queste, una, (Giovanni Solinas, Verona e Dante, Edizioni “La Scala”, 1965), mi è arrivata tra le mani dal suo autore in un lontano giorno del 1968. Il fatto merita di essere raccontato, perché incontrare un libro non è mai per caso. Lo sappiamo tutti, vero?

Giovanni Solinas, davanti alla Grotta di Fumane da lui scoperta nel 1962, oggi Grotta Solinas

Durante i miei primi anni come maestra elementare di ruolo nella “scuoletta di campagna” della Monsuà, ultimo avamposto periferico di Verona, ho avuto come collega il grande studioso di archeopaleontologia, Giovanni Solinas. Erano gli anni sessattottini, e lui era maestro della seconda classe, un uomo, mi sembrava, provato dalla vita, amareggiato da certi eventi di natura politica, che non capivo, ma che avevano profondamente ferito la sua dignità. Non poteva guidare perché gli avevano ritirato la patente e spesso gli davo io uno strappo da Porta Nuova alla scuola. Nelle belle mattinate di sole s’andava insieme con le nostre classette poco numerose per campi a “imparare” la natura. Dividevo con lui la mia merenda e non mi rendevo conto di chi avevo vicino. Per me, giovane, con poca esperienza, ma tanto entusiasmo, era un collega fuori dalle tradizionali convenzioni didattiche che mi comunicava l’entusiasmo di scoprire modi diversi e innovativi di fare scuola.

«La storia dell’uomo è scritta sulle pietre», mi diceva il maestro Solinas che camminava guardando per terra e aveva la passione di andare a sassi. Li chiamava manufatti litici nei quali – diceva – si riconoscevano i segni intelligenti di primitive presenze umane.

Era di poche parole ma ogni tanto si lasciava andare dalla passione e mi raccontava di una sua grandissima scoperta: la Grotta di Fumane, dove erano vissuti per migliaia di anni, uomini dell’Età della Pietra. Fra i covoli della nostra Lessinia, che conosceva come le sue tasche, questa era uno dei più importanti Ripari di comunità sociali del tempo dell’Homo Sapiens. Lo ascoltavo come se raccontasse una favola, però senza porgli troppa attenzione, presa com’ero fra scuola, casa, marito e due bambini piccoli. Ma ugualmente da lui imparai a leggere la storia di Verona scritta su pagine e pagine di pietra. Per me fu uno dei più immediati piaceri di scoperte metodologico-didattiche che avrei praticato in seguito con i miei alunni. Quando, dopo due anni venni trasferita nella nuovissima scuola del mio quartiere, lo andai a salutare, il maestro mi regalò due dei libri scritti da lui: Verona e Dante e Verona e il Risorgimento. Fu in quel momento che capii chi era Giovanni Solinas. Mi resi conto che quell’uomo era un grande Maestro, non un qualunque appassionato ricercatore  di preistoria per hobby, ma uno dei maggiori studiosi paleontologi della Lessinia e noto autore di Storie del Veronese.

Oggi alcune sale del nostro Museo di Storia Naturale, dedicate al suo nome, mostrano reperti molto rari da lui forniti. La scuola, allora elementare, oggi primaria, situata in via Marin Faliero, quartiere Saval, dal 1984, dopo un lungo percorso pro dedicatorio, fatto da me insieme agli insegnanti, e al Direttore dell’allora V° Circolo didattico, oggi Istituto comprensivo, si chiama “Giovanni Solinas” a riconoscimento del suo valore di studioso e di Maestro.

Questa sua opera è un viaggio nella storia e nella configurazione geografica di Verona e della sua provincia, al tempo di Dante, ricca di sorprendenti aneddoti, tutti ampiamente e puntigliosamente documentati da una serrata certosina indagine fatta frugando, citando, richiamandosi alla testimonianza di una miriade di attendibili fonti bibliografiche. Dante vive in questo libro nella grandezza di un personaggio non solo di un sovrumano livello culturale, poetico, filosofico, astronomico, matematico, scientifico, ma anche di disinvolta prestanza manageriale, come ben ci fa intuire Solinas.

Il Poeta sapeva puntare in alto e scegliere a chi dire di sì e a chi dire di no fra i grandi che lo volevano al loro seguito: riverenze servili non ne faceva comunque a nessuno. Aveva limpida consapevolezza del suo valore di uomo chiamato a creare un’impresa poetica di portata cosmica. Solinas pone in massimo rilievo l’Uomo di grande spessore che in Verona trovò casa, ospitalità, ammirazione e benevolenza presso la Signoria Scaligera, riverito e ascoltato come sagace ambasciatore su importanti questioni da dirimere con diplomatica arguzia. La sua permanenza a Verona potrà sì essere stata talvolta accompagnata da lacrime salate, ma non si può fare a meno di immaginare che sia stata anche munificamente consolata da una gratificante messa in rilievo del suo valore di uomo autorevole che godeva di un’ospitalità riguardosa, sistemato con la famiglia in palazzi cittadini di rango. Lo possiamo pensare anche come convitato d’onore, insieme ai notabili della città, alla tavola di Cangrande, presumibilmente imbandita, per puro intuito immaginativo, di speziati spiedi di cacciagione, robusti arrosti di montone, faraone, tacchini e tenere pollastrelle al sugo con cipolle, aglio, rosmarino e salvia. E ancora grigliate e fritture di pesce arrivato fresco dal golfo azzurro di Peschiera (p. 203). Chi più ne ha, più ne metta, ma si sa, niente spaghetti o patate o polenta o pomodori e neanche gnocchi…

Uno degli aspetti che sorprendono maggiormente riguarda le sembianze fisiche del chiarissimo uomo che fu Dante Alighieri, così lontane e così diverse da quelle tramandate dell’iconografia classica tradizionale. Solinas sembra voler tastare con le sue mani l’humus della terrena umanità del sommo poeta, avvicinandosi il più  possibile alla sua identità fisica, intellettuale e spirituale. Sempre attenendosi scrupolosamente alla vasta documentazione esistente, riporta un passo del Boccacccio che nel suo Trattatello in laude di Dante (1362), lo descrive di mediocre statura, spalle curve, pelle bruna, volto lungo malinconico e pensoso, naso aquilino, mascelle grandi, labbro inferiore spiovente, occhi anzi grossi che piccoli, i capelli e la barba crespi e neri… (p. 110). La descrizione corrisponde al ritratto dipinto da Taddeo Gaddi (1300 circa – 1366), uno dei migliori discepoli di Giotto, ritenuto dal Vasari il più antico e il più veritiero.

Si tramanda che quando il Poeta passava per via non mancava chi sussurrasse, alle sue spalle, che aveva la pelle “infumentata” dal fuoco dell’inferno da dove era tornato.

Ritratto di Dante di Taddeo Gaddi

Liberale Mecenate di artisti e poeti insigni, profughi ed esuli affluivano da ogni dove allo splendore della Corte di Cangrande: fra tutti, Dante godeva dei suoi lauti, generosi favori per sé e la sua famiglia, ricevendo agio, mezzi e sicurezza, tanto da potersi dedicare con ardore, senza preoccupazioni di sorta, sia al suo operoso lavoro di scrittura saggistico-etico-filosofica (es. De Monarchia), sia alla scrittura poetica della Commedia. Tale nome oculatamente scelto – come spiega lo stesso Dante nella Epistola a Cangrande, quando nel 1318 gli invia l’opera completa – è composto da comos, villa, e da oda, cioè canto, sì che questa comedia a lieto fine val quasi canto villereccio, differendosi così dalla tragedia soggetta a finali atroci drammatici.

Si può arguire quanto fosse profonda e feconda di bene l’intesa fra l’esule poeta e il magnifico Signore – che Solinas definisce vero Messia Dantesco (p. 125) – dal momento che, oltre la dedica elogiativa del Paradiso, la più sublime delle tre cantiche, il Nostro usava, in corso d’opera, mandare per primo a Della Scala i canti di volta in volta ultimati della Commedia (per la maggior parte, sembra, scritti in Verona).

È oltremodo interessante lasciarsi trasportare dalla narrazione sorridente e accattivante di Giovanni Solinas, che si diverte a farci camminare accanto a Dante sulle strade della Verona Scaligera, a fermarci con lui all’ombra dell’antico maestoso tiglio dalle fronde argentee e dai fiori profumati, conosciuto da storici, botanici e popolino come il tiglio di Cangrande, che sorgeva svettante e solenne nei pressi di Santa Maria Antica, luogo di ritrovo dei piassaroti di allora. Lo vediamo serio e taciturno, forse immerso col pensiero nelle divine terzine del Paradiso (p. 162). Poi, mentre cala la sera, lo accompagniamo alla sua casa in Sottoriva dove moglie e figli (Pietro, Jacopo, Lucia e altri…), lo stanno aspettando per la cena.

Concludo sempre seguendo le orme indicate da Giovanni Solinas, questa mia felice passeggiata dantesca con quanto il Maestro riporta da uno scritto del suo fraterno amico Ferdinando Chiaramonte*: «Dante non è solo il poeta d’Italia, dell’Europa, ma di ogni altra parte del mondo, dove brillino, fari di civiltà, l’arte e la scienza; ché Dante non considera solo l’italiano, ma l’uomo in tutti gli affetti del cuore, in tutte le aspirazioni dell’anima; ché l’umanità del volume dove ha raccolto “ciò che per l’universo si squaderna”, ritrova se stessa nelle varie sue relazioni, nelle diverse sue contingenze, negli elementi eterni che ne compongono il pensiero e la vita» (p. 254).

*Pur essendo più volte chiamato in causa dall’autore, il nome di Ferdinando Chiaramonte non appare fra le note bibliografiche. L’ho conosciuto personalmente alle mie prime armi di maestra supplente, come direttore didattico e appassionato studioso di arte e di storia: materie sulle quali ha lasciato importanti saggi anche se dimenticati.

Foto del ritratto-caricatura eseguito da Mario Salazzari (1904-1993), celeberrimo artista di famose opere scultoree  che abbelliscono molte piazze del Veronese.

Grazie, Giovanni, innanzitutto per il tuo Dante. E sempre grazie per la tua appassionante pedagogia.

Elisa Zoppei

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