2021 ANNO DANTESCO – “Il sommo poeta Durante (Dante) Alighieri” – contributi degli Editori de “ilcondominionews.it”

…a cura di Aldo Ridolfi

Aforismi penna

2021 ANNO DANTESCO – Ricorrenza a 700 anni dalla morte

IL NOBILE SIGNORE GIROLAMO ASQUINI E LA DIVINA COMMEDIA

È il 1829 quando, dalla tipografia Bisesti, esce un fascicolo di una cinquantina di pagine dal titolo Lettera II del nobile signore Girolamo Asquini al chiarissimo signor abate D. Lodovico della Torre. Udinese di origine, Asquini (1762-1837), l’autore, che abitò a Verona dal 1821 al 1830 avendo sposato Angela Teresa Fumanelli Salvagno che morì nel 1829, noto anche come antichista e falsario (ma non sempre), racconta un viaggio compiuto il 16 settembre del 1829 da Verona al Ponte di Veja.
La ragione della gita, peraltro non rara tra gli intellettuali del Sette-Ottocento, è presto detta: intende accompagnarvi «il chiar. Signor Valery Direttore, e Conservatore delle Reali Biblioteche di Francia… e caldo amatore delle opere di Dante». Il quale signor Valery è a Verona per la seconda volta irresistibilmente attratto dai veronesi luoghi danteschi e dunque desideroso di recarsi «a rivedere la stanza dove il poeta abitò un tempo, e nella quale, secondo la comune tradizione, e l’autorità di parecchi Scrittori, gran parte compose del suo Divino Poema».
Nessuna meraviglia, ché Dante e la Commedia non hanno mai cessato di far parlare di sé attraverso i secoli, e tanto più allora, nel 1829, in quel clima romantico che tanto aveva contribuito a riscattare il giudizio non sempre positivo del secolo precedente, basti solo pensare alla celebre stroncatura volteriana.
Ma accanto alla villa di Gargagnago, e forse addirittura prima, è d’obbligo ammirare il Ponte di Veja avendo questo costituito «modello al grande Alighieri per immaginare gli archi del suo Malebolge». Già qui, dunque, ecco tracciato un arco ideale che muove da Firenze, patria di Dante, attraversa la Francia da cui proveniva il signor Valery, e approda a Verona che grazie al Ponte ha ispirato famose terzine dantesche.
Ma c’è dell’altro.
Ed è che questo gruppo di nobili intellettuali, aggirandosi in quelle valli e su quei dossi, incontra un ottuagenario boscaiolo intento, aggrappandosi su ripe pericolosissime, al «taglio ceduo». C’è qui materiale per lungo tempo di conversazione, ma noi ci limiteremo all’essenziale per il nostro tema. Nel dialogo che il nobile Asquini ha voluto intrattenere con il vecchio montanaro, questi ricorda come da giovane ben si arrampicasse, agile e svelto «su quelle chieppe». Al sentir pronunciare quel termine l’Asquini si riempie di meraviglia e cita la Commedia, nello specifico la descrizione della salita che Virgilio e Dante stanno compiendo, lungo l’argine della VII bolgia:

«Non era via da vestito di cappa,
ché noi a pena, ei lieve ed io sospinto,
potavam su montar di chiappa in chiappa
(Inf., XXIV, 31-33)

Lasciamo ad altra occasione la sottolineatura della bellezza di questa terzina, salutata dal Momigliano come «uno dei punti di più viva descrizione del pellegrinaggio di Dante», e limitiamoci a ragionare attorno al termine “chieppe” o “chiappe”. L’Asquini chiede conferma al montanaro: è questo un termine vostro? Sì, è parola da noi usuale conferma il vecchio, e indica quei «rottami di marmo fessi per il lungo, staccati dalle Cengie che circondano il monte». L’idea dell’Asquini è dunque che Dante abbia mutuato dalle montagne veronesi non solo l’architettura di Malebolge ma altresì termini dei montanari. Ma senza addentrarci in labirinti linguistici, c’è qui materiale più semplice da scandagliare. Infatti nella conversazione per un paio di volte l’Asquini pronuncia il nome di Dante citando alcuni passi della Commedia. Al che il montanaro sbotta: «Questo vostro Dante che mi replicate, è stato conosciuto in questi luoghi, dai nostri maggiori come diceva mio Padre; ed era uno stregone, che avea commercio col diavolo, e andava a cercare i tesori» donde la ricchezza della sua famiglia. E se Asquini rifiuta, evidentemente, l’idea di un Dante “stregone”, trova conferma invece che il Divin Poeta ha dimorato in Val di Veja. Sulla conoscenza dei montanari, qualche volta analfabeti, di passi della Divina Commedia, noi non ci meravigliamo ché, sembra essere stata frequentata e conosciuta e declamata. Personalmente posso assicurare che un mio zio, classe 1900, possedeva e leggeva la Commedia e me ne parlava spesso, aggiungendo: «Che no lo sapia el prete che no el vol mia»!
Ma ritorniamo a quelle “chieppe” a quei massi sparsi lungo il pendio percorso dal vecchio. Il quale informa i suoi interlocutori che bisogna porre attenzione a quei massi erratici perché potrebbero franare sotto il peso di un uomo: «si dà loro prima la prova se reggono al peso». L’avesse mai detto! Il bravo Asquini ha buon gioco a citare di nuovo la Commedia ancora con Virgilio che guida Dante lungo la ripa:

«così, levando me su ver la cima
d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia
dicendo: “Sovra quella poi t’aggrappa;
ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia.”»
(Inf., XXIV, 27-30)

Non ci sono dubbi per Girolamo Asquini. Il materiale per questo passo Dante non può averlo raccolto che qui, nei pressi del Ponte di Veja.
Quanto possa essere attendibile l’ipotesi dell’Asquini proprio non saprei dire, ma suggestiva lo è di sicuro. Ci piace immaginare quest’uomo, questo poeta, questo gigante della scrittura mentre raccoglie immagini reali, concrete, quotidiane e le trasferisce in quello straordinario poema che si svolge tutto nell’altro mondo. Davvero ha toccato il tasto giusto Flannery O’Connor quando, in un libretto intitolato Nel territorio del Diavolo (giusto per rimanere in tema!), ha affermato: «La natura della narrativa è in gran parte determinata dalla natura del nostro apparato percettivo».

Aldo  Ridolfi 

↓