Ramponi Egidio
…a cura di Giancarlo Volpato
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Ecclesiastico, missionario comboniano, direttore e fondatore di comunità religiosa, Egidio Ramponi nacque a Bolca, celeberrimo luogo per la paleontologia, oggi nel comune di Vestenanova, il giorno 11 novembre 1909. Figlio di Pio e di Clementina Cattazzo, egli fu il quintogenito dopo tre sorelle e un bambino del quale prese il nome a causa della scomparsa del piccolo a soli 9 anni. Furono infiniti giorni di lutti, di tribolazioni e di difficili prove alle quali fu sottoposta la famiglia; oltre la scomparsa del figlio, quando il Nostro aveva solo 14 mesi se ne andò anche la madre. Lo prese con sé la zia Letizia, vedova del fratello di Pio; lo allevò e, otto anni dopo, il matrimonio tra il padre e la cognata di quest’ultimo ricostituì la famiglia: quella zia che l’aveva fatto crescere fu sempre orgogliosa di esserne diventata la madre. Fu in quest’epoca che – come scrisse lo stesso Ramponi – egli avvertì, per la prima volta, che quei lutti e quelle difficoltà precedenti gli avevano aperto la strada della vocazione; salì a piedi la lunga scalinata che da Brentino Belluno porta al santuario della Madonna della Corona: “furono mille scalini del primo canto della mia vita”, si legge nelle memorie. Don Mansueto Siviero, parroco di Bolca, lo incoraggiò nella preghiera, nel proseguimento della strada verso il sacerdozio.
Ragazzo dotato di notevoli capacità intellettuali, finita la scuola elementare e ricevuta una buona educazione religiosa datagli dal curato di allora, don Giulio Morcelli, Egidio Ramponi entrò nel 1922, in seconda media, nel Seminario diocesano di Verona. La distanza tra Bolca e quasi il centro della città dove si trovava il luogo prescelto avrebbe potuto distogliere il giovane: allora non si restava fissi all’interno della struttura stessa, ma solo per alcuni periodi; e le difficoltà non erano poche, visto che da Tregnago alla sua casa il percorso era da farsi solo a piedi, portandosi anche i pesi. Il giovane dimostrava ottima bravura di studio, di buona condotta e una grande pietà nella preghiera: grazie a queste qualità, a Ramponi fu fatto saltare un anno di liceo. Durante questa frequenza nel Seminario, ebbe come docente Mons. Michelangelo Grancelli che, nel 1923, aveva pubblicato la più bella biografia di Daniele Comboni: la lettura di essa mutò completamente la visuale del giovane bolcense che sentì scattare in lui la vocazione missionaria. La famiglia non volle accettare la scelta e il padre andò dal vescovo di Verona per cercare di fare dissuadere il figlio: ma ciò non cambiò assolutamente l’orientamento di Egidio.
Fu ordinato presbitero il 9 luglio 1933 e l’anno successivo – dopo avere passato qualche mese presso l’Istituto comboniano, accanto al Seminario vescovile – volle partire per l’Uganda. Il padre, a nome di se stesso e della famiglia, ricredendosi tutti e quasi in segno di pacificazione gioiosa e totale, vendette un terreno di proprietà a Cazzano di Tramigna, regalò una moto “Guzzi” piuttosto importante con la quale il giovane missionario si sarebbe potuto agevolmente spostare nella terra d’Africa.
La destinazione di padre Ramponi fu Lodonga, fondata nel 1927, nel Nord-Est dell’Uganda e allora, uno dei posti dei comboniani dove, subito, il giovane missionario raccolse soprattutto i giovani: di questi raduni esistono delle foto dove – accanto alla moto Guzzi – i ragazzi cantavano al “nonno” rimasto a Bolca. Per meglio immedesimarsi, certamente anche grazie alle sue enormi facoltà linguistiche, il padre apprese la lingua del luogo; vi rimase poco poiché gli fu ordinato di andare al Seminario diocesano di Gulu: questa è, ancora oggi, la seconda città dell’Uganda, sede di un’università molto importante e già nota, allora, come centro di studio. Qui, nella “capitale” del nord ugandese (non sempre zona felice, neppure allora), egli fu insegnante e, quindi, rettore del Seminario stesso: imparò la lingua locale, anche perché quella ufficiale era l’inglese.
Cominciò a scrivere le sue esperienze missionarie; collaborava con articoli sulla rivista “Nigrizia” dove descriveva gli incontri con le persone, le novità, le necessità e la gente del luogo: proprio dedicato a quest’ultima, tra i suoi scritti è bene ricordare un volumetto di carattere etnografico, attento ai costumi delle popolazioni, intitolato Il tramonto degli spiriti sui monti della luna, che uscì in quegli anni. L’attenzione dello studioso proseguì nell’epoca (e anche successivamente) facendo conoscere, con scritti scientifici in inglese, su alcune riviste di antropologia, la sua perfetta conoscenza della vita di quelle popolazioni, fino ad allora quasi ignorata. Sempre molto presente, padre Ramponi – girando anche in luoghi assolutamente poco sani e non adeguati a coloro che erano fragili di salute – conobbe malauguratamente giorni difficili che gli impedirono di continuare un’attività giornaliera molto feconda dal punto di vista dell’aiuto a coloro che ne avevano bisogno e ai quali, proprio secondo lo stile comboniano, dovevasi portare la parola della redenzione; erano gli anni, tra l’altro, nei quali molti giovani locali frequentavano le scuole missionarie; era il periodo in cui, quel “decennio glorioso”, come fu definito, aiutò molti a sbarazzarsi dell’imperialismo britannico in Uganda, dove i capi tribali erano le perle fulgide dei comandi inglesi: e padre Ramponi, conscio soprattutto delle virtù umane dei giovani, fu uno dei maggiori istruttori nelle scuole e nel rapido progresso della fede.
Il 14 giugno 1938, don Egidio celebrò la sua ultima messa nella missione di Gulu; le continue e pericolose malarie, legate a fragilità cardiache genetiche, non gli permisero più di rimanere; fu – disse sempre e in ogni occasione – il dolore più grande della sua vita, poiché aveva il presentimento, rivelatosi veritiero, che non avrebbe mai più rivisto il continente africano. Chiese ed ottenne di fermarsi, durante il viaggio di ritorno, a visitare il maggiore numero possibile di stazioni missionarie: furono molte le tappe ch’egli descrisse nella sua relazione, a mo’ di diario giornaliero, illustrando luoghi, persone, missionari, messe e preghiere. Là dove la missione italiana aveva portato i propri benefici, egli volle toccare con mano; sopra ogni luogo fu Khartoum ch’egli visitò poiché era stato – anche se non solo – uno dei maggiori riferimenti comboniani; oltrepassò il Nilo per toccare, non solo con lo sguardo, Omdurman e coloro che, all’epoca della Madhìa, soffrirono fortemente: qui – e accadrà pure al Cairo, ad Helovan e nell’isola della Gezirah – non trascurò l’opera di Antonio M. Roveggio su cui scriverà anche una breve biografia nel 1949 e, poi, ristampata da Nigrizia nel 1952: di questo secondo vescovo successore del santo fondatore, egli aveva bene conosciuto la breve vita e l’amore profuso. Come tutti i missionari che dall’Africa ritornavano e ritornano in Italia, la basilica di Roma fu il luogo dell’accoglienza: ma per padre Egidio Ramponi tutto questo risuonò di dolore e di lacrime.
Egli giunse a Bolca il 30 luglio del 1938; quelle contrade, sparpagliate su poggi di feconde terre vulcaniche digradanti in parte verso la Val d’Alpone e in parte verso la valle del Chiampo, lo aiutarono a rimettere a posto una salute che se ne stava andando: riacquistò forza fisica, ritemprò quella spirituale; a piano, come affermò Rosetta Presa, una suora missionaria di San Bortolo delle Montagne ch’egli aveva accolto e benedetto allorquando ella entrò nella casa delle comboniane di Santa Maria in Organo (quella diretta, per prima, da madre Maria Bollezzoli: v. questo Sito), il missionario sacerdote radunò la gioventù, avviò l’attenzione per quei paesi lontani dove fratelli e sorelle attendevano preghiere e aiuti: sei giovani donne diventarono suore missionarie comboniane alle quali ripeté – come sempre aveva fatto – una frase importante per incoraggiare coloro che avrebbero calpestato luoghi diversi con non poche difficoltà: “Guardate che per essere bravi missionari, bisogna essere duri come i sassi della nostra Purga di Bolca”.
Rimessosi completamente dal punto di vista della salute, padre Ramponi chiese di ritornare in Africa: ma per lui, ormai, la strada aveva assunto altri percorsi. Venne inviato nei seminari e nei collegi cattolici italiani affinché illustrasse la propria esperienza, ma soprattutto invogliasse dei giovani ad abbracciare la missione. Grazie alle capacità dimostrate, fu mandato nel Seminario minore comboniano di Sulmona, in provincia de L’Aquila: dapprima come padre spirituale e, poi, come Superiore.
La guerra mondiale era già cominciata e l’Italia vi entrò il 10 giugno 1940. Straordinariamente attento, come sempre, padre Egidio apprese immediatamente il tedesco: grazie a questo suo spirito, soprattutto altruistico, egli intercedette sempre, confessò i nemici cattolici, s’avvicinò ai loro cappellani ricordando che la pace valeva assai più di qualsiasi morte, si mise tra resistenti e nazisti; salvò prigionieri facendoli liberare, mise la sua persona in prima fila quando necessario, aiutò persone e invogliò al perdono; la sua memoria in quelle terre d’Abruzzo non andò mai perduta.
Rimase a Sulmona sino al 1947 e, in quella diocesi – grazie al vescovo del luogo – ebbe modo di entrare in contatto con un gruppo di Missionarie della Regalità: un Istituto fondato nel 1919 da p. Agostino Gemelli e dalla beata Armida Barelli, che si occupava, soprattutto, di portare la predicazione cristiana. Ramponi comprese subito il valore di questo gruppo, sorto nell’ambito dell’Azione Cattolica”, ma volle aprirlo alla gente del popolo dal momento ch’egli riteneva – assai più correttamente – che tutti, massimamente i meno abbienti, sarebbero stati in grado di avvicinare coloro che abbisognavano, anche se non solo, della parola della salvezza. Non gli fu facile un percorso di quel genere: ma p. Egidio sapeva bene come muoversi. Ed accadde poco dopo. Mandato a Gozzano, in provincia di Novara, dove i comboniani erano andati nella casa dei Gesuiti, approfittò della concomitanza di approcci favorevoli; il 22 agosto 1951 nacque il sodalizio delle “Missionarie Secolari Comboniane”: le prime quattro donne laiche, grazie certamente all’aiuto dei Gesuiti, iniziarono un percorso che, ancora oggi, conosce un numero assai alto di “sorelle” che vivono accanto a missionari e a suore in molti paesi del mondo: la loro storia – molto conosciuta peraltro – fa pensare alla straordinarie intuizioni “pratiche” dell’uomo di Bolca che sapeva vedere e non solamente intravvedere; gli erano stati d’aiuto non solo spirituale p. Giulio Picco, oggi venerabile e un comboniano illustre quale p. Uberto Vitti.
Le prime donne, nubili o sposate, si chiamavano “Zelatrici dell’Immacolata”. Già presenti come nome d’ordine fondato da altri, furono accompagnate dagli “Amici delle Vocazioni Comboniane” che s’impegnavano nella preghiera, nella raccolta delle offerte. “Voi siete coloro che Dio ha scelto per la conversione dei pagani, collaborate con chi è in missione con preghiere della retrovia e raccogliendo anche i fiori perché questi possano crescere”.
Non fu un percorso facile per p. Ramponi anche perché egli volle aggiungere, a quelle missionarie, le povere ammalate: coloro, cioè, che sarebbero rimaste lontane da qualsiasi mondo poiché nessuno le avrebbe aiutate. Non furono momenti facili e la sua figura, assai conosciuta non solo nell’ambito veronese, cominciava a dare qualche segno di fastidio soprattutto a coloro che non avevano né avrebbero mai saputo apprezzare l’amore e l’altruismo. L’idea del missionario, pure se con alcune differenziazioni all’interno, cominciò a funzionare e ad allargarsi in tempi sostanzialmente brevi e, in pochi anni, molti luoghi diocesani italiani accolsero queste donne; solo nel 1961, il sodalizio prese il nome definitivo di “Missionarie Ausiliarie Comboniane”, la cui sede, attualmente, è a Verona: vi partecipano, professe, volontarie interne ed esterne, alcune disponibili ad andare in missione, altre puramente e cristianamente aiutanti.
Dal 1953, il padre di Bolca divenne Rettore della Chiesa di S. Tomìo situata nel centro storico di Verona (in via Mazzini) costantemente aperta al pubblico, alle funzioni religiose e alle confessioni, con il Santissimo Sacramento sempre esposto. Adempì, com’era nel suo spirito, alle funzioni affidagli e tutti lo ricordano per la disponibilità e l’altruismo dimostrato anche in questo che fu il suo ultimo impegno pastorale. A lui non fu più data più alcuna direzione neppure quelle delle sue Ausiliarie. Il fatto che egli ne fosse stato l’ideatore e il fondatore indusse qualcuno a dimenticare la sua dimensione. Nel 1965 egli fu trasferito a Venegono Superiore, in provincia di Varese, con l’incarico di padre spirituale degli studenti comboniani di teologia e della pastorale missionaria.
Tra gli amici che tutti conobbero, anche grazie alla disponibilità e al sorriso ch’egli portava sempre con sé, vi furono molte persone importanti, non solo veronesi. Tra questi ultimi e religiosi, appare giusto ricordare almeno S. Giovanni Calabria: entrambi coltivarono un’amicizia e un reciproco rispetto con profondo amore altruistico; è doveroso, tra le molte cose buone che nessuno dovrebbe mai dimenticare, che durante la guerra, Ramponi portò i “Buoni Fanciulli” nella sua Bolca per tenerli lontani dalle bombe che cadevano sulla città e delle quali Verona soffrì moltissimo; non dimenticò neppure – come sottolineato più indietro – la sua disponibilità ad aiutare tutti coloro che in quegli anni del dolore avevano trovato in lui un amico, un confidente e, soprattutto, un salvatore.
Nel 1970, anche a causa di un forte tremito alle mani, dovette ritirarsi nella Casa Madre dei Comboniani a Verona. “Ma le sue sofferenze non erano solo quelle fisiche” scrisse padre Gaiga, suo biografo importante: “le più lancinanti erano quelle morali, derivanti proprio da chi cercava d’intralciare in ogni modo lo sviluppo del suo Istituto, anzi negando ch’egli ne fosse stato il fondatore”. L’Istituto si diffuse in varie città d’Italia costituendosi in gruppi di aggregazione degli Istituti comboniani. Fin dall’inizio era stata presente la dimensione missionaria; aprì ospedali, già dal 1967 in Brasile, in Ecuador, in Colombia, in Messico, in Costarica e tornando, soprattutto, laddove l’idea di padre Ramponi era nata: in Africa e, quindi, in Camerun, Mozambico, Uganda, Kenya e centro del continente. Il 20 maggio 1983 l’Istituto che “si ricollegava attraverso l’impulso originario di P. Ramponi, alla spiritualità e al dinamismo operativo di Mons. Comboni” riceveva anche il riconoscimento pontificio. Ma in quella data, egli se ne era già andato “tornando alla casa del Padre”.
Portato in ospedale a Negrar, Egidio Ramponi era scomparso il 3 gennaio 1982. La cerimonia funebre avvenne in San Tomìo, poi seguì una celebrazione anche a Bolca dov’è sepolto nella cappella del cimitero.
Bibliografia: Lorenzo Gaiga, P. Egidio Ramponi, “MCCJ Bulletin”, n. 136, giu. 1982, pp. 90-92; Gioacchino Gaiga, La stagione benedetta, Vago di Lavagno, G. Bussinelli, 2013, pp. 42-50; Egidio Ramponi, Scritti e ricordi, Monsano (AN), Grafiche Ricciarelli, 2014.
Giancarlo Volpato
