Borletti Ida
…a cura di Giancarlo Volpato
Per le tue domande scrivi a: giancarlovolpato@libero.it

Benefattrice, filantropa, donna di grandi attenzioni alla cultura e alla bellezza, Ida Borletti nacque a Milano il 25 gennaio 1910 dal conte Senatore, di nome e di fatto, e da Anna Maria Dell’Acqua. La sua fu una vita trascorsa, nell’infanzia, nell’adolescenza e nella giovinezza, tra ville, palazzi e luoghi di particolare importanza a causa della prestigiosa vita della famiglia. Suo padre, uomo di straordinarie capacità intellettuali e imprenditoriali, fu colui che alla “Borletti” dette un nome ed una fama che il mondo portò con sé e che la storia non ha dimenticato. Oltre a quanto conosciuto come il Linificio, il Setificio, la “Snia Viscosa”, le macchine da cucire (“Borletti, punti perfetti”), egli fu colui che finanziò – divenendo Presidente – Arnoldo Mondadori (v. questo Sito) poiché credeva nella fortuna della casa editrice. Senatore Borletti mise a posto il Teatro alla Scala di Milano quale commissario prima e poi Sovrintendente; lo cedette, quindi, all’Ente Comune della Scala. Particolarmente attento a quanto le sue capacità intellettuali e finanziarie potevano permettergli, Senatore Borletti passò alla storia come uno degli uomini più attenti e più sicuri soprattutto per coloro ai quali l’arte e la capacità di usare la stessa avevano offerto sicuri successi: dovevano essere aiutati e messi nella giusta luce. Portò Arturo Toscanini a dirigere alla Scala e, poi, ad esserne il responsabile delle opere, ospitò Giacomo Puccini del quale fu un grande amico: nelle giornate sulla villa di Valscura sul lago di Como, ma soprattutto nella casa milanese, i Borletti ospitarono artisti del canto (Toti Dal Monte, tra le molte persone), poeti, musicisti, scrittori quali il tedesco Stefan Zweig. Lettore attento e uomo pratico (ammiratore, tra le molte cose, del libro Le bonheur des dames di Émile Zola), Senatore fondò quello che venne considerato tra i primi grandi magazzini italiani: “La Rinascente”, inaugurata il 7 dicembre 1918 a Milano grazie al nome che a questo emporio dette Gabriele D’Annunzio. Come appare facile capire, i Borletti ampliarono le loro facoltà imprenditoriali delle quali l’Italia intera poté godere.
Non da meno era la famiglia Dell’Acqua: il nonno Enrico, industriale a Busto Arsizio, fu il primo a portare lavoro italiano in America Latina; Luigi Einaudi, primo Presidente della Repubblica Italiana, dedicò a lui un libro parlando di quanto il Dell’Acqua aveva fatto.
All’interno di una famiglia ricca ed intelligente, aperta al mondo e, per nessuna ragione chiusa in se stessa e mai divulgatrice dei beni finanziari, Ida Borletti avrebbe potuto non pensare che a vivere nel lusso. In lei, invece, brillarono sempre gli insegnamenti – spesso silenziosi – del padre (che si spense nel 1939) e di tutti coloro che erano della famiglia.
Dopo il ginnasio, andò a studiare in Inghilterra; era appassionata della filologia celtica e dei grandi miti arturiani, soprattutto se musicati da Wagner (celebre la sua conoscenza a memoria del Tristano e Isotta del genio di Lipsia) ed espressi nuovamente in età romantica. Quindi, la giovane contessa ritornò in Italia; il 25 giugno 1932, nella cattedrale di Sant’Ambrogio sposò Lucio Pozzi, ingegnere della Snia Viscosa; andò ad abitare in un palazzo costruito su disegno di Giò Ponti. Nacquero due figli maschi e la sua casa si aprì, oltreché agli amici di un tempo, anche a giornalisti come Indro Montanelli, a politici importanti come Alcide De Gasperi, a scrittori come Alfonso Gatto e ad una lunga serie di personaggi rilevanti nella cultura non solo italiana.
Furono anni di grande importanza per la vita di Ida Borletti: si può affermare che quella donna, così ricca e cólta, con un figlio non in buona salute, sempre molto attenta a ciò che capitava, cominciò a mettere in pratica quanto ella stessa – probabilmente anche grazie alla formazione paterna – aveva sempre concepito come rilevante nell’esistenza della gente. Non la fermò neppure il divorzio con il marito, al quale non tolse mai il bene che li aveva spinti insieme; prese maggiore coscienza della quotidianità della vita e cominciò a rendersi conto che il mondo di quell’epoca stava rapidamente mutando.
Venne la guerra e il fratello Romualdo (Micio nella sua storia), già presidente de “La Rinascente”, fu uno dei tanti, per i quali il conflitto non passò nel silenzio. La fuga in Svizzera, dov’ella si era rifugiata per non cadere nelle mani dei nemici, rimarrà – nei suoi ricordi – come uno dei momenti più dolorosi: si sentì colpevole d’essere fuggita mentre gli altri erano rimasti a lottare, ad avere paura, a cimentarsi contro i nemici e contro un regime che, fortunatamente, se ne stava andando; scrisse infatti: “Ero rimasta lontana, ma non mi era stata risparmiata l’angoscia. Forse è meglio vivere il dramma piuttosto che essere spettatori impotenti” e aggiungeva: “Ida, quale tipo di persona sei diventata, quale strada ha preso la tua vita? Quegli anni mi fecero capire che dovevo fare qualcosa soprattutto per gli altri”. E così accadde. Ritornò Toscanini, che era stato cacciato dal fascismo ed era stato il grande direttore del famoso teatro di New York; si riaprì il Teatro Alla Scala di Milano ed ora che il padre non c’era più toccò a Ida rifare tutto ciò che aveva imparato; Ildebrando Pizzetti, all’inizio del 1946, le dedicò una sua composizione “Augurio!” per canto e pianoforte.
Nella primavera dello stesso anno ella aprì una biblioteca circolante a cui dette il nome di “Il Carosello” il cui monogramma fu disegnato dal vignettista Giuseppe Novello. Poiché prima della guerra la censura fascista aveva impedito l’importazione di libri dall’estero e durante il conflitto le frontiere erano rimaste chiuse, Ida Borletti cominciò ad acquistare opere inglesi, francesi, italiane che avessero parlato sia della Resistenza sia della poesia: furono suoi i grandi libri della letteratura. “Il Carosello” era aperto a tutti: una biblioteca per il mondo di allora in via San Pietro all’Orto, assieme a mostre artistiche. Mentre dirigeva quest’opera – che diventò un modello di beneficienza non solo intellettuale (acquistò migliaia di opere) – fu eletta presidente del “Soroptimist Club” di Milano, un’organizzazione femminile operosa sia sotto il profilo culturale sia sotto quello civile: un riconoscimento all’intraprendenza delle donne che fu lodata per l’impegno e la capacità di coloro alle quali il sesso maschile aveva sempre dato scarsa rilevanza. Pochi sanno, nella realtà, che quel Carosello si chiamò così perché Ida lo fece girare affinché tutti potessero leggere, prendere in prestito libri, immagini e aprire le loro vite a sguardi altrimenti sconosciuti; potremmo definire questo Carosello come l’ambulanza della poesia e della cultura. Non bisogna dimenticare che una grande parte dei libri si trovano, da qualche tempo, presso la biblioteca della Società Letteraria a Verona: sono circa 900 le opere che Pino Castagna, l’artista veronese che lavorerà con i pazienti che usciranno dall’ospedale psichiatrico e dei quali si parlerà più avanti, si fece carico di portare a Verona.
Sempre nel 1946, la “villa Borletti” ad Arosio, in Brianza, grazie sempre a Ida, venne data a don Carlo Gnocchi, il cappellano degli alpini alla campagna di Russia: egli aveva promesso ai soldati, che morivano tra le sue braccia, che si sarebbe occupato dei loro bambini. Nacque qui, per allargarsi più tardi, l’Istituto “Pro Iuventute” che il sacerdote fondò: in dieci anni raccolse cinquemila bambini e qui trovarono assistenza – negli otto istituti – i piccoli malati, rimasti paralizzati dalle bombe, senza assistenza sanitaria, senza vestiti. La Borletti raccolse per questi tutto quanto poté fare: fondi finanziari, adesioni, volontari e volontarie; don Gnocchi le fu perennemente grato, ma ella tacque sempre poiché si era resa conto che la fortuna della vita era stata solo sua e non degli altri.
A Capri e poi a Roma conobbe Michael Noble, uno scozzese, già ufficiale dell’esercito inglese e, poi, responsabile della “Psychological Warfare Branch” dell’armata alleata. Artista, ritrattista e scultore, era uno strano personaggio; amanti della musica, Ida e Michael si ritrovarono anche alla Scala per ascoltare Maria Callas. Pensarono d’andare a vivere insieme, con le difficoltà specifiche di unire i due figli di lei e i due di lui. Le possibilità economiche non mancavano: prima a Rapallo, poi a Milano finché, nel 1956, si aprì – per quei due sposi – la straordinaria bellezza di un territorio, allora chiamato Campiani, sulla collina che guardava il lago in comune di Garda. Costruirono una villa che venne chiamata “Idania” da “Ida and I” (Ida e io). “Le mie radici – scriverà la Borletti, (che iniziò anche a farsi chiamare Noble Borletti) – le trovai a Garda, anche se in età matura e presi ad amarle”. Straordinariamente portata alla bellezza della natura, la contessa dette inizio ad un giardino per i cui fiori ella descrisse un’opera nella quale (v. Bibliografia) ciascuna casa abitata appare il luogo della bellezza quotidiana.
Questa nuova famiglia si rese conto, quasi subito, che molte altre persone non potevano godere di quanto a loro la vita aveva dato. Cominciò, così, la “comunità”; costruirono una piccola casa per accogliere ragazzini e fanciulle che erano soli; anche il paese di Garda, allora, era povero e i due coniugi – con i propri figli – pensarono che la sola accoglienza non sarebbe bastata per fare crescere: aprirono una scuola di giardinaggio e una di lavoro della ceramica; della prima era maestra la Borletti e della seconda lo scultore veronese Pino Castagna con l’aiuto di Noble. Il “Garden Club” sulle sponde del lago fu conosciuto in tutta Europa e per le sculture dei giovani si aprirono le strade del mondo dell’arte. Ma ciò che passò quasi nella dimenticanza furono le feste dell’allegria che, soprattutto grazie a Ida Borletti, richiamavano giovani e persone che avevano visto in lei una donna apportatrice di serenità e di bellezza umana; costituì un gruppo di musicisti, regalando ad ognuno uno strumento, insegnò a coltivare fiori e piante che fino ad allora non erano mai sorte su quelle colline che si beavano delle acque lacustri. Non mancavano poeti e artisti: Alfonso Gatto e sua moglie, la pittrice Graziana Pentich, Gianfranco Fasce e una serie di personaggi che portavano a Garda il segno della loro arte: in quella villa passarono Dacia Maraini, che aveva sposato Lucio Pozzi (detto Lucino) figlio di Ida, Marco Pannella, Albert Camus, Salvatore Quasimodo e moltissimi altri.
Nel 1957 Mike e Ida aprirono la loro vita ad un altro mondo. Cercando di portare aiuto ai ricoverati dell’ospedale psichiatrico di Verona, convinsero i responsabili ad affidare loro quelli particolarmente dotati dal punto di vista artistico: li accolsero in una loro casa sempre sulla collina di Garda; furono con loro Dino Buzzati, Vittorino Andreoli e molti altri che li aiutarono: primo, fra tutti, Pino Castagna scultore come Noble. Dalle ceramiche alla musica, dai suoni e dai canti, dai balli cui tutto il paese partecipava, uscirono artisti di valore sui quali brillò la genialità di Carlo Zinelli. I due crearono l’Atelier OBA (Omino Bianco Azzurro) che fu l’apertura al mondo dell’arte a persone che ebbero modo di esprimere, con la loro bravura, quanto altrimenti sarebbe rimasto perpetuamente nascosto. Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, si tenne a Verona una notevole mostra che intese “celebrare il legame tra genio creativo e la follia” (v. Bibliografia); qui nacque il nome e d’idea dell’“art brut”. Entrambi amanti della musica oltreché conoscitori della stessa, gli sposi artisti crearono anche la banda musicale “Villa Idania” che divenne, poi, la Banda Musicale del paese di Garda. Nessuno dei ricoverati che erano usciti e che usciranno negli anni successivi ritornò all’interno dell’ospedale: con molti anni d’anticipo Mike Noble e Ida Borletti avevano preceduto la straordinaria idea di Franco Basaglia. Villa Idania divenne, nella realtà, un salto vero in utopia (v. Bibliografia). La comunità si sciolse nel 1963.
A Milano la Nostra aprì un negozio che chiamò “La Fiorera” pubblicando un libro sull’arte di disporre i fiori per abbellire la casa; aprì un negozio messicano, il primo in Italia, per fare conoscere i colori, i ricami, gli oggetti fantastici di legno, terracotta e latta.
La vita con l’artista Mike Noble cominciò a diventare molto difficile e si lasciarono a causa di un’ulteriore amante dello scozzese. Ida Borletti portò sempre con sé il dolore di questi suoi amori andati perduti. Non venne mai a calare, invece, l’attenzione che ella portava a coloro che ne avevano bisogno. Nel luglio 1965, a Brindisi, a causa di un incidente dello yacht con cui passava le vacanze per andare in Grecia, incontrò don Giuseppe Cavaliere che aveva fondato una struttura destinata ad alleviare le sofferenze e l’emarginazione di bambini provenienti da famiglie disagiate. La nobile Borletti capì subito il bisogno: “I ragazzi dell’Istituto Nicola Margiotta” videro in lei la salvezza; non solo aiutò, fece rimettere in ordine la sede, lasciò fondi cospicui, ma raccolse, intorno a questo mondo di poveri, molti fondi dagli industriali italiani; Ida non dimenticò mai quel luogo, poiché a Brindisi ritornò ogni anno per portare sorrisi, carezze e denaro a bambini che, più tardi, portarono buone cose al mondo.
Nel 1966, la grande alluvione provocò disastri dei beni artistici a Firenze e a Venezia; una volta ancora, assieme alla CRIA (Committee to Rescue Italian Art), Ida Borletti contattò famiglie e industriali; fondò, con Anna Maria Cicogna, un comitato per salvare le opere d’arte di Venezia: Murano, le chiese, i monasteri, le case; non dimenticò Firenze.
Nel 1970 la contessa incontrò Crane Haussamen e vivrà con lui per venticinque anni: lo incontrò a Malta dov’era andata per partecipare al congresso “Pacem in Maribus” dove – una volta ancora – la sua figura portò assai più che la presenza.
A New York, in quegli anni, vide che cosa stava accadendo, di buono, a bambini lasciati soli e maltrattati. Erano periodi molto difficili anche per le tensioni politiche italiane dell’epoca; a Milano mise a posto un edificio, lavorò indefessamente con alcuni centri che si occupavano dei minori; molto attenta Ida Borletti non dimenticò mai i genitori, le famiglie nelle loro composizioni: ella aveva bene compreso che cosa accadeva o sarebbe accaduto allorquando mancavano l’amore e la comprensione cui si aggiungevano le difficoltà economiche; nel 1978, questa donna che nutriva quasi sempre il dolore della solitudine degli altri pure con la gioia dell’anima per quanto la fortuna aveva dato a lei e alla sua famiglia, fondò il CAF, cioè “Centro di Aiuto al bambino maltrattato e alla Famiglia in crisi”; ispirandosi a modelli statunitensi, Ida Borletti creò a Milano il primo Centro Italiano specificatamente dedicato al recupero terapeutico del bambino maltrattato e, al tempo stesso, della famiglia maltrattante. Il Comune, il Tribunale dei minorenni e Adolfo Beria d’Argentine l’aiutarono con i permessi e quel luogo diventò un Centro di “pronto soccorso”, di guida, di cura, d’indirizzo verso orizzonti migliori della vita. Oggi, quest’Associazione è un’organizzazione sociale con professionisti, con accoglienze: un numero altissimo di minorenni e di famiglie in crisi ritrovarono e ritrovano ancora nuovi percorsi della vita.
Nel 1994 a Garda venne allestita una mostra (dedicata a Noble e Borletti) con l’esposizione di opere di Carlo Zinelli e di altri artisti usciti dall’atelier di Villa Idania (v. Bibliografia).
Un anno prima Ida Borletti aveva venduto la villa Idania di Garda e si era trasferita a Bardolino: quei luoghi, dove aveva passato anni di serenità e di grande amore sia con gli uomini della sua vita, ma anche con tutti coloro cui aveva profuso il suo spirito di bene, là dove i figli avevano conosciuto giorni di amicizia e di fraternità, non lasciarono mai una donna importante che, dai palazzi signorili di Milano ai momenti delle feste, aveva capito quanto fosse importante anche la vita degli altri: con i sorrisi, con i fiori dei giorni e delle stagioni ma soprattutto con la bontà dell’anima e grazie alla fortuna finanziaria della quale ella aveva goduto. Scomparvero – con il dolore che Ida non negò mai – coloro ai quali si era legata e con i quali aveva condiviso ogni forma di beneficienza: Michael Noble, Crane Haussamen, Lucio Pozzi.
Se ne andò anche Ida Borletti, che era a Bardolino, il 10 febbraio 2001. Il suo nome e la sua figura non sono stati perduti: davanti a Palazzo Carlotti, a Garda, la ricorda una statua bronzea con Noble.
Bibliografia: è assai numerosa quella sulla famiglia Borletti, per cui ci limitiamo a: Ida Noble Borletti, I fiori nella casa italiana: l’arte della decorazione floreale in ogni stagione e in ogni ambiente, Milano, Longanesi, 1962; Un sogno: guarire con l’arte: omaggio a Ida e Michael. Catalogo della mostra tenuta a Garda 18 giugno-3 luglio 1994, a cura di Fabio Gaggia, Garda, Amministrazione comunale di Garda-Verona, Amministrazione Provincia di Verona, 1994; Ida Borletti, Una vita, Mantova, Corraini, 2000; Annamaria Schiano, Villa Idania, salto in utopia, “L’Arena”, 25 nov. 2008, p. 32 e A. Schiano, Di casa qui Dacia Maraini, il poeta Gatto e Montanelli, “Ibidem”, p. 33; Autentiche visioni: Verona e l’arte irregolare da Carlo Zinelli a oggi, Verona, Grafiche Aurora, 2012; Donatella Boni, Una giostra di lettori per spiccare il volo: il Carosello di Ida Borletti, “Charta”, 2020, n. 169, pp. 38-43; Donatella Boni, Un’amorosa confidenza con le opere e con gli autori. La Biblioteca Ida Borletti e Il Carosello in Società Letteraria, “Bollettino della Società Letteraria di Verona”, 2020, pp. 58-78; Donatella Boni, Aiutare attraverso l’arte e la letteratura: Ida Borletti, in Donne visibili e donne in controluce…, a cura di D. Brunelli e M. L. Ferrari, Verona, CCIA-Cierre, 2023, p. 110.
Giancarlo Volpato
![]()
FONTI:
Foto da: www.facebook.com e abebooks.fr
