Uhlman Fred – “L’amico ritrovato”

…a cura di Elisa Zoppei

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Cari amici lettori del nostro Condominionews, propongo alla vs. attenzione un libro che forse conoscete per averlo letto a scuola o altrove: L’amico ritrovato di Fred Uhlman, una storia che conserva sempre una tale commovente freschezza da rianimare i buoni sentimenti dell’amicizia e del perdono.
Quando c/o la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Verona insegnavo “Lettura e dinamiche della comunicazione”, ho consigliato questo libro ai miei studenti per un percorso di ricerca che avevo nominato “La Parola al Lettore”, in cui dovevano analizzare le dinamiche comunicative messe in atto dall’autore nei confronti del lettore. Il libro si è rivelato particolarmente interessante per la fluida garbatezza del linguaggio e la scioltezza dello stile narrativo, oltre che per l’autentica bellezza della storia raccontata in prima persona da Hans, un ragazzino ebreo, fatto adulto e lontano dalla Germania da cui era fuggito per sottrarsi alle persecuzioni hitleriane. Qui egli ricorda il legame profondo instaurato nella sua prima giovinezza con Korandin, in una amicizia pura e disinteressata, fatta di intesa della mente e del cuore.
La lettura ha dato anche motivo per parlare dell’amicizia fra i ragazzi di oggi, su cosa si basa e come si manifesta e ne è risultato un quadro a mio parere piuttosto sconfortante, come se fosse più un fatto di goliardica condivisione di fanatismi sportivi e bravate in gruppo, che un legame profondo fra persone che si confrontano e si aiutano a crescere insieme.

Fred Uhlman

Note biografiche

Fred Uhlman nacque a Stoccarda nel 1901 da una famiglia di ebrei emigrati da generazioni in Germania approdati da altri paesi all’antico ducato Svevo di Württember, dove hanno messo radici e conquistato via via nel tempo, posizioni sociali ed economiche ragguardevoli nel commercio del settore tessile. In particolare il padre era, a suo dire, il più brillante venditore della Svevia e un abile uomo d’affari, come del resto tanti altri membri del numeroso parentado che poteva contare su una rete di importanti relazioni con prestigiosi nomi della politica, della cultura e dell’arte, fra i quali il famoso pittore Paul Elsas (1896-1981) e lo scienziato Albert Einstein.
Pur appartenendo a una famiglia di ceto alto borghese, abitasse in una bella casa con tutte le comodità, servita da cuoca, cameriera e fräulein (ricorda con nostalgia solo l’albero di natale altissimo e splendente di luci), e frequentasse le migliori scuole di Stoccarda, il nostro Fred, per alcuni Freddy, non ha avuto né una infanzia felice, né l’adolescenza, a causa dei gravi dissapori dei suoi genitori, coppia di coniugi litigiosa e infelice per mancanza d’amore. Trascorse invece gli anni giovanili fra lo studio e compagni di allegre brigate nel tempo libero.
Nei suoi ricordi autobiografici (desunti dal suo libro Storia di un uomo, tit. orig. The Making of an Englishman, Feltrinelli, 1960), la figura materna appare più negativa, controversa, lagnosa e aggressiva al limite della nevrastenia; il padre nonostante i suoi rilevanti difetti, fra i quali non aver mai espresso un apprezzamento al figlio, a tratti si rivela umano, comprensivo e a modo suo generoso. Furono ambedue i genitori vittime delle terribili rappresaglie naziste, deportati nel ghetto slovacco di Theresienstadt, infine trasferiti nei campi di sterminio dove perirono nelle camere a gas del funesto olocausto hitleriano.
Dopo gli studi liceali, frequentò la facoltà di legge a Friburgo e a Tubinga, laureandosi nel 1925. Gli sarebbe piaciuto di più dedicarsi alla letteratura e alla poesia, ma, contrastato dai parenti: “Sai quanto guadagna un poeta? Prima studia legge. Poi, nel tempo libero, potrai scrivere tutte le poesie che vorrai!”,diventò avvocato. Si avviò verso una fortunata carriera espatriando nel 1936 in Gran Bretagna per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei. Ospitato da parenti, iniziò occupandosi brillantemente di cause civili e penali. Si sposò con una signorina inglese di facoltosa famiglia Diana Croft, e una volta espulso da Londra si rifugiò a Parigi dove quel suo parente per parte di madre, Paul Elsas, pittore affermato, lo aiutò a scoprire la sua innata capacità artistico pittorica. E prima di essere riconosciuto come scrittore ottenne, a sorpresa, senza rendersene conto, una clamorosa fama come pittore naïf, in quanto i suoi quadri dipinti a olio su tela avevano la freschezza dell’innocenza infantile. Per lui dipingere era come comporre una poesia. Purtroppo perseguitato dalla leggi razziali dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel giugno 1940, Uhlman, fu confinato sull’Isola di Man. Rilasciato sei mesi dopo, poté ricongiungersi con la moglie e la figlia, nata durante il suo internamento. Nel frattempo prese parte ad alcune esposizioni delle sue opere in tutta la Gran Bretagna con mostre personali e collettive ottenendo insperati successi e vendendo i suoi quadri a collezionisti importanti che portarono il suo nome in tutta Europa e oltre. Fra queste la più celebrata è la mostra presentata al Leighton House Museum di Londra nel 1968. In seguito a questi fatti considerò l’Inghilterra sua patria di adozione e non tornò più in Germania. Viaggiò molto arrivando fino in Italia e visitando la Sicilia, Venezia, e ammirando i tesori di Ravenna, ma  trascorse gli ultimi anni della sua vita a Londra, dove si spense nel 1985, all’età di 84 anni.
Nella sua opera autobiografica su citata, racconta la sua storia travagliata da uno degli uragani più furiosi di ogni tempo: la storia di un uomo sopravvissuto a un disastro che ha inghiottito continenti interi e milioni di persone sia quelle migliori che quelle meno fortunate. Da quelle pagine emerge il ritratto di un individuo che ha inseguito con passione il sogno di vivere per l’arte, di un cittadino che ha cercato in ogni anfratto della storia di affermare il valore della tolleranza e della cortesia, di un maturo gentiluomo di campagna che ha tirato le somme della sua esistenza, serenamente convinto di aver fallito nel suo intento. Ebbe la sorpresa di un inaspettato successo con la pubblicazione del romanzo breve L’amico ritrovato, avvenuta a Londra nel 1971 col titolo “Reunion”. Arrivato a Milano in Italia nel 1986, pubblicato dalla Feltrinelli, fu tradotto in più di 20 paesi, conferendogli quella gloria duratura, cui aveva aspirato tutta la vita. Fred Uhlman credeva profondamente che è più importante scrivere buoni libri che fare il giro del mondo in 80 ore, che è più importante dipingere buoni quadri che accumulare grandi fortune, e la sua unica ambizione era raggiungere le stelle non con un razzo, ma con la propria arte. Prima di morire profferì parole profetiche “Si può sopravvivere anche con un solo libro”. Così è avvenuto.

L’amico ritrovato

 

incipit

“Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più. Da allora è passato più di un quarto di secolo, più di novemila giorni tediosi e senza scopo, che l’assenza della speranza
ha reso tutti ugualmente vuoti, giorni e anni, molti dei quali morti come le foglie secche su
un albero inaridito. Ricordo il giorno e l’ora in cui il mio sguardo si posò per la prima volta
sul ragazzo che doveva diventare la fonte della mia più grande felicità e della mia più totale disperazione…”

La storia narrata in questo romanzo, è una storia d’amore sublimata nell’amicizia più pura sincera fra due adolescenti e iniziata nel 1932, alle soglie di uno dei periodi più catastrofici della storia moderna, dopo che Adolf Hitler nel 1933 quale cancelliere del Reich, pose fine alla democrazia tedesca e diede la scalata alla sua inarrestabile ascesa verso il nazismo.

Hans Schwarz e Konradin Von Hohenfels. ambedue rampolli di famiglie di livello culturalmente alto, frequentano il medesimo prestigioso liceo di Stoccarda, il più antico, nobile e famoso del Württemberg. Hans, figlio di un medico,  proviene da una delle famiglie ebree più in vista, Konradin appartiene all’aristocratica famiglia filo-nazista dei Conti Von Hohenfels. Tutta gente onorata dagli annali storici di Svevia: fra gli avi c’era chi aveva conosciuto il Barbarossa e combattuto al suo fianco e più tardi altri furono al seguito di Federico II° lo stupor mundi. E altri membri ancora erano morti in battaglia a Lipsia. C’è di che averne soggezione anche se i due hanno la stessa età: 16 anni. In Hans nasce una immediata attrazione fin dal primo giorno in cui entra nella classe questo ragazzo diverso da tutti gli altri, ben vestito, compito ed elegante nella sua riservatezza, nel modo di porsi e di parlare sempre con un gentile distacco. Hans non osa rivolgergli la parola pur desiderando poter annoverare il nobile conte fra i propri amici. Tutti in classe lo corteggiano per farselo amico ma a tutti  il nuovo arrivato risponde con cortesia e freddezza, rifiutando ogni tipo di invito.
In Hans aumenta giorno dopo giorno l’ardente desiderio di fare amicizia con lui. Vorrebbe conquistare la sua stima e cerca in tutti i modi di attirare benevolmente la sua attenzione. Dopo alcuni vani tentativi di farsi notare con sguardi, sospiri, impegno nello studio per alzare la mano in classe e fare bella figura, sfoggio di briosa grinta nelle dissertazioni letterarie e nelle dimostrazioni ginniche in palestra (tanto da sorprendere gli stessi insegnanti e migliorare il profitto scolastico), un giorno accade il miracolo. Hans porta a scuola la sua collezione di antiche monete greche, e attira la curiosità di Konradin, che gli chiede di poterle guardare da vicino e gli confessa di possederne alcune anche lui: inizia così la loro relazione.

Tre giorni dopo è il 15 marzo, data indimenticabile di una sera primaverile dolce e fresca, il cielo di Svevia tinto di blu e i mandorli in fiore. Camminano ambedue lungo la strada che va verso casa: Korandin davanti e Hans dietro, che, timoroso di oltrepassare il compagno non sa se fermarsi o proseguire. Ma ecco che mentre sta quasi per raggiungere Konradin, questi si volta e gli sorride. Poi con un gesto stranamente goffo ed impreciso, gli stringe la mano tremante. “ Ciao, Hans”, gli dice, ed ecco che all’improvviso il piccolo ebreo si rende conto con un misto di gioia, sollievo e stupore che l’altro è timido e, come lui, bisognoso di amicizia.

Da quel momento in poi all’uscita dalla scuola si ritrovano, fanno la strada insieme, diventano inseparabili. Nelle settimane successive, ogni sabato prendono l’accelerato per andare in una delle antiche locande delle località nei dintorni di Stoccarda, nella Foresta Nera, nella valle del Reno, sul lago di Costanza, immerso in un’atmosfera di sogno, fin sul Danubio con i suoi molti alberi dai fiori bianchi…
Inizia un idillio amicale fatto di una intesa profonda, parlano e si ascoltano l’un l’altro, si scambiano opinioni, si confrontano trovando sempre punti di contatto. Sperimentano la bellezza della complicità confidenziale, del fare le cose insieme, esprimendosi affetto, stima e ammirazione. Nelle loro discussioni quello che sembra a entrambi più urgente è imparare a fare il miglior uso possibile della vita, cercando di scoprire quale scopo abbia, se ce l’ha, e a chiedersi quale possa essere la condizione umana in questo cosmo spaventoso e incommensurabile. Parlano di tutto, di religione, di poesia, di arte, di teatro e naturalmente di ragazze cercando di risolvere da soli senza l’aiuto degli altri, nemmeno dei genitori, i loro problemi. Per loro i quesiti eterni dell’esistenza sono più importanti della vita effimera di un Mussolini o di un Hitler.
I loro rapporti si intensificano frequentandosi all’interno delle loro famiglie: quella di Hans riceve Konradin con ossequiose dimostrazioni di simpatia specie da parte del padre, molto stimato come medico nel ricco quartiere della buona borghesia di Stoccarda dove abitano, tanto da suscitare nel figlio quasi una forma di gelosia subito superata: prevale l’orgoglio di mostrare all’amico la sua raccolta di libri importanti, le sue collezioni di cose speciali. Hans attende ogni giorno l’invito dell’amico a entrare nella sua dimora principesca, ma questo invito tarda a venire causando ansia e malanimo nel ragazzo che si sente escluso dall’intimità della sua vita. Poi all’improvviso ecco l’invito dato a bruciapelo. Si apre la porta d’ingresso del palazzo avito e Hans entra, sale una scalinata e arriva in un salone con le pareti rivestite di quercia e tappezzate di quadri: quadri in sequenza ovunque con scene storiche e ritratti di personaggi importanti come Carlo V, il Barbarossa, seguiti da fotografie inserite in cornici d’argento. E fra esse ne spicca una più grande delle altre che somiglia in modo sorprendente ad Adolf Hitler.  Hans ne è sconvolto non crede ai propri occhi, pensa di sbagliare. Finalmente la stanza più importante: la camera di Konradin. Eccolo spalancare l’armadio e tirar fuori la sua collezione di monete greche tutte preziose e introvabili, poi la statuina di una dea proveniente da Gela e tanti altri oggetti che fanno sgranare gli occhi di stupore e ammirazione di Hans felice di vedere felice il suo amico nel mostrargli i suoi tesori. Viene invitato nuovamente ma ogni volta i genitori di Konradin sono assenti. Perché? Forse non è degno di essere presentato a loro? I dubbi tormentano il cuore di Hans e ogni tanto pensa alla foto che assomiglia a Hitler. Possibile che i genitori del suo caro amico possano avere rapporti con un individuo del genere? Forse non accettano che il loro figlio sia legato da amicizia con un compagno non dello stesso livello sociale?
Arriva il giorno della verità. Una sera Hans e Konradin si incontrano per caso a teatro, ma l’amico elegantissimo fra i suoi genitori, il conte e la contessa tutta indiamantata, non lo saluta fingendo di non riconoscerlo. Hans costernato non sa spiegarsene il motivo. Trova il coraggio di chiedere a Konradin spiegazioni per il suo comportamento e la risposta data con franca sincerità è una tale pugnalata al cuore da farlo precipitare in una disperazione senza fine perché comprende che la loro amicizia è spezzata per sempre. E in poco tempo precipitano gli eventi durissimi per tutti gli ebrei, in Germania e oltre, tanto che Hans viene costretto a lasciare la Svevia, sua patria amatissima, e trasferirsi in America da parenti. Prima di partire riceve una lunga lettera di Konradin, dove dopo aver esaltato l’operato del Führer, conclude con queste parole “Forse un giorno nostri cammini si incroceranno di nuovo. Mi ricorderò sempre di te, caro Hans! Hai avuto una grande influenza su di me. Mi hai insegnato a pensare e dubitare e, attraverso il dubbio, a ritrovare Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore”.

Passano gli anni, Hans ormai è cittadino americano. È diventato un bravo avvocato che esercita con successo la professione forense. La Germania è lontana, ma la Svevia è ancora viva nel suo cuore . E un giorno riceve una lettera che viene proprio da Stoccarda…
Vi lascio cari lettori alla conclusione della storia. Che cosa gli avrà portato quella lettera? In che modo potrà ritrovare il suo amico di una tempo? Che cosa avrà fatto Konradin per riscattarsi dalla vergogna di averlo lasciato andare al suo destino fuggitivo?
Un libro che si legge tutto d’un fiato, intriso di commozione, di suspance, di stupende visioni paesaggistiche. Un grande romanzo in sole 90 paginette.
Buona lettura.

Elisa

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