Puntata 42.3 (continuazione) – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “La lingua universale”

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42.3 (continuazione) – La lingua universale

Chi sa cogliere tutta la potenzialità del potere plurisemico delle parole, indicato da Dante nella lettera al suo amico Cangrande, sono i giuristi per esempio, e i politici, e soprattutto i giornalisti, i creatori più attivi dell’italiano moderno, senza contare tutto il mondo della moderna comunicazione.
Palazzeschi, uomo di teatro, fu un vero giocoliere delle parole e il suo messaggio arriverà fino a Rodari, per sfociare in tutto quell’intenso sperimentalismo che Massimo Ferretti chiama “linguaggio palindromo” (Il gazzarra-romanzo, Milano 1965) e che Gianpaolo Dossena raccoglie nel suo Dizionario dei giochi con le parole (Milano 1994) e Paolo Benedetti nella Letteratura nonsensica (Milano, Almanacco letterario Bompiani 1966) analizzandola in tutta la sua impressionante ricchezza e attualità.
In fondo che cos’è l’italiano dei giornali e della televisione di oggi se non un ricchissimo mescolone di termini anglo-americani e di ogni altra lingua che serva per raccontare la vita del nostro tempo? L’italiano di Salgari dalla sintassi franta piena di falsi nomi esotici, che tanto scandalo suscitò nei puristi, o il mistilinguismo di Dossi, Savinio, Gadda o il romanesco-friulano di Pier Paolo Pasolini, hanno aperto la strada alla lingua dei mezzi di comunicazione di massa. Una lingua non è fatta solo di parole, ma anche delle immagini grafiche dei fumetti, dei film e della televisione, di suoni e rumori e ritmi: fatto descritto nei minimi particolari da Casanova quando studiava la lingua dei Mégamicri fatta tutta di suoni e colori.
L’italiano di oggi è pronto a diventare la lingua di riferimento per migliaia di naufraghi che portano con sé la loro dolente diversità, uomini per i quali l’italiano è come la lingua dei Cinocefali descritti da Zaccaria Seriman, una lingua “non meno utile che necessaria” per poter vivere.
Questo non toglie che un paese civile debba avere una sua lingua standard ufficiale, ma allora deve anche munirsi di una scuola che ne tuteli l’uso corretto parlato e scritto e che insegni agli italiani futuri che essere diversi (lingua, pelle, usanze ecc.) e palare più lingue è una vera ricchezza.
Ne ha preso atto persino l’Accademia della Crusca che in un convegno a Firenze (18-19 aprile 2013) per ricordare i cinquant’anni della Storia linguistica dell’Italia unita di De Mauro, ha elaborato un documento intitolato Conoscere e usare più lingue è un fattore di ricchezza, al quale il “Sole 24 ore” del 14 luglio 2013 ha dedicato un inserto, intitolandolo Ricchi di molte lingue
Se Calvino, il massimo creatore di utopie letterarie negli anni ’50 del secolo scorso, invitava a rivisitare l’utopia letteraria dopo la frantumazione di quel campo d’energia utopica che permetteva il fiorire delle idee attorno alla città ideale, noi oggi di fronte alla frantumazione delle parole che trasmettono le idee, e al tramonto delle grandi speranze, dobbiamo chiederci quale forza permetterà la continuazione della narrativa di utopia? E se nel mondo che verrà, avremo ancora bisogno di narrativa di utopia e di Quale utopia?
Ancora una volta credo che solo Dante possa dirci che cosa muova la vita dell’uomo e gli consenta di sperare: è la capacità di ridere, quella che Leopardi chiama la potenza del ridere.
La letteratura che saprà meglio interpretare questa potenza dovrà esprimersi in una lingua capace di interpretare la realtà, pronta ad assimilare anche messaggi non verbali, una lingua che si arricchisca nel dialogo continuo tra persone capaci di trasumanare, di rinnovarsi come fa la vita, tutta, quella creata dall’amore, che è insieme viaggio, parola, riso. E quindi speranza.

Laura Schram  Pighi – (42.3 continua)

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