Puntata 39 – “Il Novecento, secolo dell’umorismo”

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   Puntata 39 – “Il Novecento, secolo dell’umorismo”

Chi ebbe la fortuna di ritornare vivo a casa (alcune generazioni di uomini erano state decimate) si trovò ad affrontare una realtà sociale e politica profondamente cambiata e per di più ostile verso chi era stato in guerra. La delusione più profonda sconvolse allora le coscienze dei reduci, molti dei quali erano stati i protagonisti dell’ Età delle riviste, nel primo quindicennio del Novecento. Lasciamo agli storici il compito di esaminare le conseguenze politiche ed economiche di quel primo dopoguerra, e, per restare nei limiti che ci siamo proposti, chiediamoci come la prosa narrativa seppe reagire alla nuova realtà, quella del secondo Novecento, il ventennio fascista che si concluderà nel 1945. Per avere una prima riposta, minuziosamente documentata e di piacevole lettura, vi consiglio lo studio di Giorgio Luti, La letteratura nel ventennio fascista. Cronache letterarie tra le due guerre: 1920-1940 (Firenze, La nuova Italia, 1972). Il critico fa una cronaca minutissima, (ma non completa), della prosa di un periodo che la tradizione scolastica italiana raramente trasmette alle nuove generazioni, (mentre è centrale nella critica letteraria accademica europea e americana) ma il suo non è che un primo approccio alla complessa realtà letteraria del secondo Novecento. La quale va letta tenendo presente il particolare clima politico che le consentiva di esprimersi solo secondo le finalità tipiche di una dittatura.

Perciò oggi accanto alla ricognizione dei testi narrativi del tempo, è necessario rinvenire anche la “narrativa smarrita”, quella che sta dietro alla facciata, quella emarginata, perché diversa. Questa operazione di censura fu favorita dalla critica letteraria del secondo Novecento, in sintonia con l’ideologia del regime.

Ad un secolo di distanza credo che la cronaca deva farsi storia e vi propongo una lettura dei documenti che permetta di capire nella sua varietà l’arte del più tragico dei secoli recenti, il Novecento. Quello che Baudelaire definiva il “secolo dell’umorismo”.

Si fa fatica ad accettare questa definizione per l’arte di un paese come il nostro sopravvissuto a fatica a due guerre mondiali, intervallate da vent’anni di una dittatura capace di arrivare alla barbarie delle leggi razziali e delle foibe istriane, un secolo dove pare non ci sia posto per l’umorismo. Ma l’estrema tragicità dei tempi e la crisi degli ideali e delle utopie non va mai disgiunta dal loro opposto, la forza vitale della speranza, la potenza liberatoria del riso. Come sempre la verità ha due facce indissolubilmente legate, e la letteratura più e meglio di altre arti, sa registrarne il dialogo. Basta ascoltare le due voci: ma dove ritrovare i documenti emarginati?

Ci faremo guidare da due grandissimi scrittori, l’uno, Giacomo Leopardi, che registra per primo fin dal primo Ottocento i segni della fine delle utopie, l’altro, Italo Calvino, che alla fine del Novecento eredita ed interpreta tutta la tradizione letteraria trasmessa dalla fantasia e dalle utopie del passato, e disegna per noi una mappa per ritrovare il tesoro.

Laura Schram  Pighi

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