Pubblicazione del libro – “Fermi tutti… STO SCLERANDO”… di Natascia Marchi… segnalazione a cura di Giuseppe Corrà… 62

…a cura di Giuseppe Corrà

LAVAGNO (VR)

SEGNALAZIONE: “Fermi tutti… STO SCLERANDO”

Natascia Marchi


Note biografiche su Natascia Marchi:

Natascia Marchi nasce a Soave nel 1992.
Frequenta le scuole superiori con indirizzo contabile.
Abita a Lavagno e lavora in una grande struttura di vendita delle vicinanze.
La scrittura nasce per lei dopo l’avvento della sua malattia, quasi per gioco, ma anche per far conoscere alle persone che c’è sempre un modo diverso per vedere le cose

***                         ***

Natascia Marchi il suo libro “Fermi tutti… STO SCLERANDO” pubblicato in proprio tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint di Lecce nel dicembre del 2019, l’ha scritto proprio per cercare di scaricare nelle pagine tutto il nero che portava dentro di sé. Una scelta voluta come un gesto di liberazione capace di darle coraggio per affrontare il domani della propria esistenza mentre si augura che essa la lasci finalmente respirare, le permetta di vivere una vita più normale di quella affrontata fino a poco tempo fa.
La sua è un’opera prima scritta di getto, pur se la stesura è avvenuta in momenti dilazionati nel tempo. Un testo che presenta un linguaggio molto fluido ed attuale in cui si avverte la voglia, quasi affannosa, di dire, di raccontare ed anche di opporsi con coraggio ad una serie di disavventure ed in particolare ad un mostro orribile come all’inizio pure a lei era sembrata quella diagnosi di “Sclerosi multipla” piombatale addosso con estrema violenza nonostante tutto il tatto con cui aveva tentato di porgergliela il primario che l’ha in cura. Una diagnosi che le era apparsa, almeno in un primo momento, davvero infausta e che era mitigata solo dalla certezza che la propria malattia non era un “tumore maligno fulminante”, sorte che, invece, era toccata a suo padre, una figura assai presente ma pure tanto assente nella sua vita.
Protagonista di questa storia, dolorosa sì, ma non disperata, è una ragazza con i suoi tic e le sue paturnie, che, come è normale per tutti i giovani, s’apprestava a programmare la propria esistenza pur se in un contesto familiare  per nulla semplice fin dall’inizio. Ma, in mezzo a tante difficoltà ed anche a tanta sofferenza, lei non aveva ancora incontrata la Sclerosi multipla, Sua Maestà. Così, molto significativamente, Natascia chiama la propria malattia, quella che l’avrebbe obbligata a rimettere tutto in discussione, fino a dover rinunciare a qualsiasi programmazione abbozzata per la propria esistenza, fino ad obbligarla ad accettare tutto ciò che quella subdola malattia può portare con sé, può esigere da chi ha alla propria corte come sudditi.
Del tutto normale, dunque, almeno in un primo momento, il suo ripiegamento su sé stessa, quasi una rinuncia a combattere perché la propria sorte le appariva già segnata: lei non avrebbe più potuto essere una ragazza come tutte le altre, con i problemi e le gioie di tutte le persone della sua età. A cosa sarebbe potuta servire per lei l’amicizia? Solo per farsi commiserare, per farsi compatire? Il sesso, l’amore, la maternità potevano avere ancora un senso per lei oppure erano divenuti argomenti a cui non doveva più pensare, percorsi che non avrebbe mai potuto esplorare fino a raggiungere il traguardo?
Ma un giorno, proprio un bel giorno, qualcuna delle persone che le stavano accanto e non per compatirla, trovò il coraggio di dire, quasi a bruciapelo, sul muso a lei “ammalata”: “Alza il culo e dai calci!”. Quel qualcuno, così Natascia ritenne in un primo momento, doveva solo aver voglia di prenderla in giro soprattutto perché conosceva perfettamente la sua situazione, la sua malattia. Voleva proprio farsi beffe di lei perché doveva ben sapere che per lei aveva poco senso combattere, muoversi alla ricerca del proprio posto nella società. E, poi, nella società c’era ancora davvero un posto per lei come per tutti gli altri portatori di handicap? Eppure essi erano solo un peso?
Un po’ alla volta, però, e non senza fatica perché le conquiste si realizzano sempre soffrendo, incominciò a capire che quel posto esisteva davvero e nessuno avrebbe potuto occuparlo se non lei stessa. Era solo suo e la aspettava perché, se non fosse arrivata lei, sarebbe rimasto tragicamente vuoto.
Da allora Natascia si è convinta che era per lei necessario davvero alzare il culo e imparare a dare calci alla malasorte, affrontando a muso duro anche Sua Maestà. Bisognava riprendesse a muoversi, a scalciare per non morire di inedia, di rassegnazione. E questo soprattutto perché accanto a sé aveva delle persone che le volevano veramente bene. A cominciare da quelle che ora formano la sua nuova famiglia, da quelle che lavorarono anche per lei all’ospedale, i vari medici, i fisioterapisti e gli infermieri per i quali lei non è solo un numero, solo una paziente con cui poter far soldi vendendole sogni illusori di una guarigione, del tutto improbabile, almeno per i traguardi che la medicina ha finora raggiunto nella guerra contro la Sclerosi multipla. “Alza il culo e dai calci!” doveva diventare per lei il motto della sua nuova esistenza, delle sue conquiste e riconquiste progressive, come quella di riprendere a camminare da sola e di saper guidare di nuovo l’automobile che nel momento più violento della malattia aveva dovuto lasciare ferma in garage.
Lungo questa strada alla conquista e riconquista del proprio mondo, e proprio nell’ottica di far chiarezza, prima per se stessa e poi anche per gli altri, sulla realtà della malattia che l’aveva aggredita e che lei ritiene essere ancora poco conosciuta da tante, troppe persone, vanno lette alcune delle pagine del suo libro. Pagine quasi didascaliche e all’apparenza anche fin troppo categoriche, in cui spiega ciò che di vero e di falso circonda Sua Maestà costituendone proprio la sua corte.
A questo proposito Natascia,  riportando un pensiero di John Fitzgerald Kennedy, scrive: “Il grande nemico della verità non è la menzogna deliberata, creata ad arte e disonesta. Piuttosto lo è il mito persistente, persuasivo ed irrealistico”. Con questa citazione lei intende sottolineare come proprio i pregiudizi che ancora circondano la Sclerosi multipla la fanno sembrare una malattia ancor più terribile di quella che è nella realtà. Essa, infatti, non ha un’unica forma, un’unica identità nel suo manifestarsi. I danni che arreca ai propri sudditi non sono sempre uguali.
A questo scopo ci sono in questo libro, così tragicamente vero e ricco di speranza, pagine che aiutano a comprendere meglio cosa è la Sclerosi multipla ed i modi in cui si presenta. Ma ci sono pure delle pagine che parlano di un risvolto positivo che Sua Maestà ha avuto nella sua vita. A prima vista sembrerebbe una bestialità affermare che una “disgrazia” così enorme possa avere anche dei risvolti positivi. Ma questa affermazione proviene da una persona che sta vivendo la propria esistenza con  la Sclerosi sempre al fianco. Sta venendo da Natascia.
E noi, che motivo abbiamo per non crederle? È lei che sta vivendo la propria vita al seguito di Sua Maestà. Noi, anche se coinvolti dal suo racconto, non sperimentiamo in prima persona questa tragica realtà e tempo per fermarci a riflettere sulla nostra vita ne troviamo sempre meno perché riteniamo di avere troppe cosa da fare.
Proprio per questo, secondo il mio modo di pensare, dovremmo arrestare almeno per un attimo la nostra corsa affannata e trovare il tempo di dire grazie a Natascia per quanto ha scritto con la voglia di farci  aprire gli occhi sulle cose che davvero contano e che, spesso, sappiamo apprezzare in tutto il loro autentico valore solo quando ci mancano.
È davvero difficile leggere un libro come questo, privo di fronzoli, ma capace di coinvolgerci e non sentirci addosso tutto il peso della sua vita così giovane ma già troppo carica di sofferenza. Ma ciò che affascina ancora di più è che da queste pagine non emergono pianto e disperazione, bensì la voglia di combattere e di cercare, come dicevo più sopra, questo posto personale che nessuno se non noi stessi potrà occupare. Centodiciannove pagine che si possono anche leggere in fretta, ma che non si dimenticano tanto presto, come non si possono scordare con facilità i due furbi occhi della protagonista di questo racconto autobiografico che guardano espressivi dietro un paio di grandi occhiali proprio dalla copertina del libro, così ben progettata e realizzata da Renzo Zerbato.

Giuseppe Corrà

↓