Mattielli Adolfo

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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Adolfo Mattielli

Pittore, Adolfo Mattielli nacque a Soave il 17 gennaio 1883 da una modesta famiglia di mugnai. Sin da piccolo rivelò chiare disposizioni per il disegno e la pittura, ma le modeste condizioni economiche non gli consentirono inizialmente di andare oltre l’artigianale insegnamento impartito dall’anziano Giulio Brunelli, un maestro elementare che aveva aperto, in paese, una Scuola di disegno e pittura. Questi era il padre di Bruno, pittore che trascese i confini nazionali affermandosi a Parigi assieme a De Chirico, Campigli, Severini e altri.
In seguito Mattielli ebbe modo di frequentare regolarmente i corsi di pittura presso l’Accademia “G.B. Cignaroli” di Verona, sotto la guida di Mosé Bianchi e Alfredo Savini: qui, alla fine del terzo anno, ottenne un premio speciale per le opere eseguite. Poi, perfezionò la sua preparazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Guido Talamini e Marius De Maria.
Amante della natura e della vita semplice di provincia, completati gli studi, ritornò al paese nativo dove iniziò la sua attività di pittore: qui, si stabilì negli stessi locali di Brunelli tenendo una piccola scuola per coloro che avessero voluto avvicinarsi all’arte. Fu la ventata di modernismo – quello di Felice Casorati, di Guido Trentini, di Angelo Zamboni e della straordinaria stagione veronese – che egli impresse alla sua opera.
I temi della sua pittura s’ispirarono prevalentemente alla vita rurale, che descrisse in composizioni di rigoroso equilibrio, ottimo disegno e senso cromatico. Le atmosfere che riuscì a creare nei dipinti risentivano dell’arte neoclassica e delle tendenze secessioniste viennesi.
Nel 1904 fu invitato dalla Camera di Commercio Italiana in Gran Bretagna a partecipare all’Esposizione Italiana a Londra con il quadro Sunset on Lago Maggiore.
Un suo Ritratto muliebre, inviato alla Rassegna internazionale del ritratto a Monaco di Baviera lo fece conoscere al mondo della critica e gli aprì la strada della VII° Biennale di Venezia del 1907 dove espose l’opera Tersicore acquistata da un grande intenditore russo. Quindi, partecipò all’Esposizione della Società Belle Arti di Verona alla Gran Guardia con Voci dell’anima e Processione a Castelcerino. Il mondo veronese lo accolse con entusiasmo. Tra i suoi dipinti più significativi dell’epoca, citiamo La stella di Natale del 1912, ora alla Galleria d’arte moderna di Venezia.
Fu di nuovo alla Biennale della laguna, cui non rinunciò sino al 1924. Nel 1913 vinse il Premio “Perini” a Verona con la tela Atto di sottomissione all’Italia dei capi arabi di Tripoli. A Mantova, nel 1914, portò La zingara, un’opera di delicata bellezza venduta a collezionisti di Udine. Ebbe commissioni da Henning Hammargren, Commodoro di Svezia per opere che riguardassero la terra soavese. Il Museo civico di Verona lo scoprì – si fa per dire – nel 1918 acquistando il trittico La vendemmia a Soave (ora alla Galleria d’Arte Moderna). Un anno prima, in occasione di una mostra a Roma, la maggiore rivista d’arte di allora, gli dedicò un lungo articolo con una critica lusinghiera (v. Bibliografia). Durante la guerra, Adolfo Mattielli fu a Lecco: qui lasciò una tela emblematica, I vagabondi. Passato il conflitto, ritornò a Soave; compose Piccolo concerto, Scampagnata, Musica campestre, Adorando: chiara e precisa era, in quell’epoca, la sua ispirazione campestre come un idillio popolare agreste. Nel 1925, a una mostra fiorentina, portò Alla fonte: fu l’ultima sua uscita.
Fino ad allora, Mattielli si era dedicato alla pittura di cavalletto: d’ora in poi si voterà, con molte eccezioni, all’affresco e alla pittura sacra. Si legge nel suo diario: “Provo una forte emozione meditando quello che pare un mistero inconcepibile come la luminosa certezza nella bellezza del creato… mi sento di appartenere alla categoria dei religiosi”.
Esordì, così, come pittore sacro, nel 1924, con l’incarico di completare il soffitto della chiesa di Soave per due terzi occupato da un’enorme Gloria di S. Lorenzo di Pietro Nanin (1884): ne uscì un impianto scenico classico e di solida composizione corale; proseguì, nello stesso tempio, con figure di santi allineati sotto i sottarchi della navata. Su tutti brilla L’Annunciazione, cui fanno da buon raccordo la figura del Buon Pastore realizzata nella conca absidale e gli Evangelisti nei piedritti della cupola.
Il mistero del sacro e la sua contemplazione fisica si realizzano, più compiutamente, nell’affascinante affresco del Santuario della Bassanella, sempre a Soave, dove la solenne partitura della Gloria della Vergine Assunta costituisce un piano di riscontro importante nel percorso religioso dell’artista. È, assolutamente, un’opera rara, nitida, straordinariamente armonica: sfolgorante di luci e di suggestioni compositive, che ricorda quelle del Correggio per quell’insieme ordinato e sinfonicamente composto di angeli, questo dipinto si colloca tra i migliori di Mattielli.
Due cicli appaiono rilevanti, in quest’epoca: quello francescano nella chiesa conventuale di S. Daniele a Lonigo e il secondo, eminentemente cristologico, delle sette stazioni della Via Crucis nella chiesa parrocchiale di Chievo, appena fuori Verona, tra 1944 e 1946. La Gloria di San Francesco, dipinto ad affresco, occupa la fascia alta dell’arco trionfale della chiesa gotica conventuale ed appare come una summa vera e propria del santo d’Assisi; è un’opera ideata con estrema semplicità di mezzi ma con una coerenza artistica dove né iconografia né artefici prospettici conferiscono al “poverello” quello che questi non avrebbe voluto. Altrettanto potenti, figlie della medesima coerenza linguistica, furono le decorazioni di due spalle dell’area presbiteriale della basilica di S. Antonio a Padova: I martiri francescani a Ceuta e L’invio dei francescani all’evangelizzazione. Qui, egli dipinse pure gli interni di cappelle laterali: Il miracolo della mula (incontro fra S. Antonio ed Ezzelino da Romano) e quello che, forse, è ritenuto il suo capolavoro: Il beato Duns Scoto mentre disputa alla Sorbona intorno al dogma dell’Immacolata Concezione di Maria davanti al corpo accademico di quella università.
Varrà la pena sottolineare che, prima della seconda guerra, Giovanni Gentile lo volle alla Scuola Superiore (poi, Scuola Normale) di Pisa dove Mattielli eseguì uno smagliante ciclo delle Quattro Stagioni.
Al cavalletto, l’artista ritornò, alternandolo alla sua passione per il sacro: e fu tra i pochi pittori veronesi che seppero conciliare, con pari dignità, l’alternativa tra la prima attività e quella, più risonante, della tematica catechetica. Al primigenio modo si riconducono Le filatrici (1930), esempio della smagliante espressività della tradizione figurativa e, in tempi successivi, Primi passi del 1945, il Seminatore, Ragazzo alla fonte fino a Il medico di campagna e I pulcini del 1962.  Intanto, molti altri luoghi sacri videro dipingere l’artista soavese per lasciare opere importanti: nella chiesa di S. Lucia a Verona (Storie dei Santi Paolo e Giovanni Evangelista, 1934), nella parrocchiale di Breganze nel vicentino (Adorazione del Bambino e Assunzione con chiare risonanze dantesche, 1946), nel duomo di Asiago dove sono presenti un solenne Presepio, una Resurrezione e un Giudizio nel 1948, nella chiesa decanale di Cembra nel Trentino, nel duomo di Comacchio, nel Ferrarese ed entrambe collocantesi nel 1948. Andò ad Udine, in chiese salesiane; sue sono le luminose vetrate della Cappella dell’ospedale civile di La Spezia (1960); il regesto elenca oltre cinquanta chiese o luoghi di culto dove Mattielli fu presente con le sue opere. Citiamo qualche altro tempio veronese: Cadidavid, Campiano, Albisano, Trevenzuolo, Volpino, S. Stefano di Zimella, senza dimenticare il grande Giudizio universale nella parrocchiale di Breguzzo (Trento), subito dopo la guerra: era stato un voto degli abitanti se si fossero salvati dai bombardamenti.
Nel 1956 egli fece due tempere murali, di proprietà della diocesi veronese: una di queste, di un certo interesse, riguarda San Benigno e San Caro che trasportano il corpo di San Zeno.
Al Maestro di pittura sacra va affiancato, analogicamente, un senso profondo di “sacro”; è giusto, tuttavia, trascendere e avvicinarsi a quanto di “religioso” possono offrire temi e soggetti: questa differenziazione si trova ad esempio, anche in alcuni dipinti “laici” eseguiti durante la sua lunga carriera: quelli, ad esempio, di Villa Muggia a Stresa, avendo per tema emblematico “la famiglia”. La gioia di una nascita, i giochi dei bimbi, le piccole vanità fanciullesche, la cura dei fiori: tutti temi e atteggiamenti che la letteratura sacra aveva tramandato per la famiglia modello di Nazareth.
Mattielli radunò, in sé, questa duplice espressione poiché reputò che la religiosità delle cose semplici, di quelle della campagna e del vivere quotidiano, non fossero slegate da quelle grandi, codificate ed esaltate della tradizione cristiana.
La preziosità e la sinuosità del Secessionismo viennese e del Liberty sposarono la serena bellezza della campagna, dei suoi abitanti, delle sue giornate; mentre fu più robusto e complesso l’impianto costruttivo degli affreschi sacri, su ampie superfici murali in cui seppe orchestrare figure, nuvole, panneggi tra l’enfatico e il decorativo. In lui fu apprezzato lo stile classico, nei soggetti come nella fattura, impreziosito dalla vivacità e dalla luminosità cromatica.
L’ultimo suo lavoro sarebbe stata la decorazione della cupola della Madonna della Corona, ma la paralisi lo fermò e lo condusse alla morte.
La retrospettiva di Soave, del 1989, l’unica che avvenne postuma, mostrò la sua costante coerenza di stile in magici racconti di vita contadina, di riti agresti, di personaggi inanellati nel paesaggio, con rivisitazioni moderne di spazi e di genti dalla grazia quattrocentesca: pittura d’intensa festosità e di una leggiadrìa antica, frutto di una vita limpida e di un’anima tersa.
Il pittore pubblicò, anche, due brevi saggi: Conferenza sulla Pittura Movente (Verona, Bettinelli, 1923) e Il castello medioevale di Soave (Verona, La Tipografia veronese, 1925).
Adolfo Mattielli scomparve a Soave il 13 dicembre 1966.
Il paese natale gli ha dedicato la via dove l’artista aveva il suo studio: sopra di esso vi è la scritta di Fragiocondo: “In queste dimore/Adolfo Mattielli/ritraeva nelle sue tele/la poesia/di sua terra e sua gente”.

Bibliografia: C. R., Il pittore Adolfo Mattielli, “Emporium: parole e figure”, Pisa, XLVI, 1917, n. 273, pp. 160-165; Fragiocondo (Giulio Cesare Zenari), Cronache montebaldine, Verona, Vita Veronese, 1953, pp. 9-31; Adolfo Mattielli: 1883-1966, a cura di Jole Simeoni Zanollo, Verona, Fiorini, 1970; Umberto G. Tessari, Adolfo Mattielli, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, Banca Mutua Popolare, 1986, pp. 344-347; Adolfo Mattielli, Soave, Comune-Pro Loco di Soave, 1989; Umberto G. Tessari, Adolfo Mattielli da Soave, terra di artisti, in Soave: “terra amenissima, villa suavissima”, a cura di Giancarlo Volpato, Soave, Comune di Soave, 2002, pp. 473-480; Ernesto Santi, Il Santuario della Madonna della Bassanella con un ritratto biografico di Adolfo Mattielli, Soave, T-Studio, 2003; Dario Ballini, Mattielli Adolfo, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 533-534; Zeno Martini, I compaesani ricordano il pittore Adolfo Mattielli a 50 anni dalla morte, “L’Arena”, 11 dicembre 2016, p. 37; Zeno Martini, L’affrescatore figlio di mugnai che si ispirava alla vita rurale, “L’Arena”, 10 dicembre 2017, p. 34.

Giancarlo Volpato

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