L’Alpino: “Scemo di guerra… – 24/15

…a cura di Ilario Péraro

Alpini 2

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Scemo di guerra

Racconto liberamente ispirato alla figura di don Primo Discacciati, 
cappellano militare all’Ospedaletto di Storo dal 1915 al 1918.

ERANO PARTITI DA STORO ALL’ALBA
Giovedì 21 giugno 1917

IL VOLTO DEL FRATE ERA TRISTE E SPRIZZAVA COMPASSIONE SINCERA
Venerdì 22 giugno 1917

ICARO TOMASI AMMUTOLI’ DI FRONTE A TANTA INSOLENZA
Sabato 23 giugno 1917

ADESSO, PERÒ, VORREI PROPRIO CONFESSARMI DA LEI
Domenica 24 giugno 1917

(continuazione…)

Poco dopo l’alba Alcide bussò alla porta che collegava la stanzetta in cui dormiva assieme a don Sergio Babbolin con quella di don Primo, già sveglio da un pezzo a pregare inginocchiato per terra.
«Monsignor Primo, è tutta la notte che ci penso… mi scusi, posso dirle ancora una cosa?»
Il cappellano militare si tirò in piedi, si sedette sul letto e chiamò a sé il giovane aiutante.» Per la seconda notte anch’io non ho chiuso occhio, con la brutta storia di don Sergio…»
«È proprio di lui che vorrei parlarle» mormorò Alcide, come se volesse confessarsi.  «Allora che facciamo? Lo consegniamo a quel mostro di Tomasi, che lo dà in pasto al plotone con l’unica colpa d’aver avuto paura in trincea, che sinceramente anch’io me la sarei fatta sotto a ogni assalto alla baionetta, oppure…»
«Oppure cosa?»
«Oppure io un piano ce l’avrei» esclamò Ferretti.
«Su parla!»
«Ecco, oggi è domenica e non è possibile…»
Don Primo lo interruppe: «E poi alle nove celebro messa con padre Augusto per tutti i soldati del forte, almeno per quelli che sono in prigione o a letto malati…»
«Domani però è lunedì…» proseguì il giovane. «Qui mi sono fatto degli amici, sa? Alle cucine, in refettorio, anche in fureria… e so per certo che domani mattina alle sette, come ogni giorno lavorativo, arriva un camioncino da Caprino Veronese carico di cibarie, latte e lenzuola pulite, con al seguito padre Augusto che sale al forte tre mattine la settimana. Scaricano tutto in fureria, per poi caricare le lenzuola sporche, gli abiti e la biancheria degli ufficiali da lavare e tornano a valle. Se però lei riesce a convincere don Augusto, se trova le parole giuste per portarlo dalla nostra parte, noi potremmo nascondere don Sergio tra la roba ammassata sul cassone dietro, salire non visti in cabina e svignarcela più veloci del vento. Il colonnello Tomasi s’accorgerà che manchiamo quando sarà mezzogiorno e non mi vedrà arrivare al refettorio a ritirare il rancio… ma a quell’ora noi saremo già in viaggio per chissà dove…»
Don Primo non rispose: si prese la testa tra le mani e si chinò stropicciandosi gli occhi. In che pasticcio l’avevano cacciato! Pensò con nostalgia alla sua Storo, all’Ospedaletto zeppo di soldati feriti che aspettavano il ritorno del loro cappellano, alle infermiere della Croce Rossa con le quali spesso aveva avuto a che dire, ma che ora gli parevano il più piccolo dei suoi problemi…
«È troppo pericoloso, Alcide» sussurrò alla fine alzandosi, «non riusciremo mai ad allontanarci dal forte così tanto da non essere raggiunti: due colpi di telegrafo e ci bloccano a Peschiera, alla stazione, oppure a Brescia… Però grazie d’aver pensato a questo piano: don Sergio te ne sarà di sicuro grato, ma credimi, è irrealizzabile.»
«Però lei qualcosa ce l’ha, in mente?» esclamò il ragazzo alzando un po’ la voce.
«Sto aspettando una risposta dal cardinal Ferrari…»
«Questo me l’ha già detto ieri sera, don Primo, ma qui dobbiamo fare in fretta. Quel porco di Tomasi non aspetterà i nostri comodi: da un momento all’altro manda un sergente a prelevare quel povero disgraziato di prete e lo porta in fondo al forte, all’ultimo cortile, per essere giustiziato!»
Don Primo si voltò a guardare Alcide direttamente negli occhi: «Io penso veramente che sia stata la voce del Signore, vent’anni fa, a chiedermi di diventare sacerdote…»
«E questo cosa vuol dire?»
«Vuol dire che ne ho una certezza assoluta: Dio si muoverà anche stavolta! Si chiama Provvidenza… perché se pensassi che dall’alto del cielo se ne fregano di don Sergio, di te e di me, che ci starei a fare qui, vestito da soldato con questa croce rossa cucita sul petto?»

Alcide, silenzioso come mai era stato, stava aiutando don Primo e padre Augusto a indossare i vecchi paramenti sacri trovati nella minuscola sacrestia della cappella del forte: avrebbero celebrato messa all’esterno, per dar modo a tutti i soldati di prendervi parte.
«Don Primo» sussurrò il frate quando furono vestiti e Alcide uscì per controllare che il piccolo altare da campo avesse tutte le cose al lo posto. «Porto notizie da Milano!»
Un balzo al cuore fece impallidire il cappellano, che vacillò appoggiandosi alla parete. «È arrivato un telegramma?»
«Poche righe che io non ho capito, ma forse voi siete più bravo…» e don Augusto porse a quell’altro un foglio di carta con una griglia prestampata e riempita da sei righe di parole scritte con scrittura ordinata.
Don Discacciati sospirò, cercò un po’ di luce migliore, aprì il foglio e lesse col cuore in gola: “Don Primo, abbia fede in Dio! Capisco il problema, ma da Milano posso far ben poco, in così breve tempo. Conosco il colonnello Icaro Tomasi, un tipo strano e pericoloso. Le dico una cosa, però: si ricordi bene che nessuno, al mondo, è veramente malvagio fino in fondo! Prego per lei e le chiedo di tenermi informato. Sappia che comunque vada avrà sempre il mio appoggio, la mia protezione e una benedizione. Cardinal Andrea Carlo Ferr, Milano – sabato 23 giugno 1917”.
«Me l’hanno consegnato stamattina al telegrafo di Caprino, ma non mi sembrano buone notizie» piagnucolò il frate.

Ilario Péraro – (15 continua)

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