L’Alpino: “Scemo di guerra… – 24/11

…a cura di Ilario Péraro

Alpini 2

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Scemo di guerra

Racconto liberamente ispirato alla figura di don Primo Discacciati, 
cappellano militare all’Ospedaletto di Storo dal 1915 al 1918.

ERANO PARTITI DA STORO ALL’ALBA

Giovedì 21 giugno 1917

 IL VOLTO DEL FRATE ERA TRISTE E SPRIZZAVA COMPASSIONE SINCERA

Venerdì 22 giugno 1917

(…continuazione)

Don Sergio smise di dondolarsi, con il braccio si asciugò il rivolo di saliva della guancia e si girò a guardare negli occhi il cappellano. «Che coion de prete doveva capitarme!»
Sull’istante don Primo ci rimase male, poi vide il volto sinceramente sbalordito del giovane prete, per la prima volta con gli occhi ben presenti e vivi, e scoppiò a ridere di gusto.» «È vero don Sergio, ha ragione: la penso anch’io come lei… Che sciocco sono stato, però meno male che le cose sono andate così, perché altrimenti adesso qui, seduto accanto a lei, magari ci sarebbe stato un prete alla Icaro Tomasi!»
«Gran bestia, il colonnello!» sbottò il Babbolin. «Insopportabile, crudele come può esserlo il comandante di un forte che non conosce umanità, che non sa che cosa sia il buon cuore… Hanno scelto proprio il tipo giusto per accompagnare davanti al plotone di esecuzione i poveri disgraziati come me, vittime della cosa più naturale che possa esserci in guerra: la folle paura di morire!»
A quel punto la porta della cella si aprì ed entrò silenzioso Alcide che recava in mano le bende, una forbice, la boccetta di disinfettante e una pinza. «Scusate il ritardo, ma non è stato facile… E poi al forte i blocca garze non sanno nemmeno che cosa siano» sbottò il giovane sciancato appoggiando il suo bottino sul letto: «vorrà dire che la garza la taglieremo per il lungo e la annoderemo al polso.»
«Don Sergio» mormorò don Primo mettendo una mano sulla spalla del condannato, «che ne dice se medicassimo anche il dito?»
«Quale dito?»
«Il suo, l’indice della mano destra… quello che purtroppo non c’è più! Dobbiamo pulire e disinfettare la ferita…»
Il prete soldato allora alzò la mano destra, la liberò lentamente dallo straccio e guardò come fosse la prima volta l’orrenda ferita del dito mozzato quasi alla base. «È vero, grazie. Bisogna pulirlo, altrimenti è peggio!»
Ci volle una buona mezz’ora: don Primo aiutato da Alcide fu molto attento a non far del male al pover’uomo, ma quando si trattò di passare la garza imbevuta d’alcol sulla ferita e di togliere con la pinza lo sporco che s’era depositato, Sergio lanciò un urlo e quasi svenne dal dolore. Strinse i denti subito dopo, però, e attese paziente che gli venisse messa la benda nuova attorno alla mano e legata al polso.
A quel punto era mezzogiorno e lo stomaco reclamava un po’ di cibo. Don Primo si girò a cercare con gli occhi il giovane aiutante che stava raccogliendo gli stracci sporchi di terra. «Che ne dici, Alcide, di andar in refettorio a cercare qualcosa da mettere sotto i denti? Ha fame lei, don Sergio?»
Il prigioniero si spaventò, quasi, all’idea di mangiare: nei giorni precedenti aveva sempre rifiutato ogni genere di cibo. Però alla fine cedette: «Sì, qualcosa di caldo lo mangerei volentieri.»
Solo a quel punto il cappellano militare fu certo che l’altro era finalmente uscito dal suo stato comatoso, da quella pazzia più o meno voluta: era tornato tra i vivi e bisognava approfittarne,
«Grazie, Alcide, va’ a cercarci da mangiare. Per tre persone!»

Ilario Péraro – (11 continua)

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