L’Alpino: “Cappellani Alpini Gli amici di sempre, e che sempre si incontrano volentieri… – 30”

…a cura di Ilario Péraro

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Cappellani Alpini
Gli amici di sempre, e che sempre si incontrano volentieri.

don Carlo Gnocchi

A Milano nella cappella dell’Istituto “Pro Iuventute”, una tomba sopraelevata in porfido lucido racchiude la salma di don Carlo Gnocchi.
Sul fianco c’è scritto: Gli Alpini d’Italia al loro cappellano.
Don Gnocchi è un po’ il simbolo del cappellano militare e in particolare del cappellano Alpino.
L’istituzione dei cappellani militari risale alla prima guerra mondiale: il governo di allora, che non era certo tenero per la religione, capì su indicazione degli alti comandi, che i militari al fronte volevano il sacerdote. Lo cercavano i feriti, lo volevano i morenti, desideravano udire da lui una parola di conforto quelli che soffrivano nel fango delle trincee o nelle ridotte fra il gelo e la neve sulle vette dei monti.
2048 furono i cappellani nel conflitto 15-18 e fra essi 93 i Caduti. Né minore fu il loro numero nella seconda guerra mondiale: 3219 con 149 Caduti.
Uno per reggimento nelle fanterie e uno per battaglione fra gli Alpini. E ciò dimostra quanto gli Alpini  ci tenessero ad avere il cappellano, probabilmente perché le zone di reclutamento degli Alpini sono quelle dove più vivo è il sentimento religioso.
E il cappellano è sempre stato vicino a loro a confortarli e ad assisterli feriti e morenti, a raccogliere il loro ultimo messaggio da trasmettere ai genitori lontani.
“Scriva al mio parroco che avverta mia madre che io sono morto”, diceva al cappellano l’Alpino Lesa, medaglia d’oro, gravemente ferito.
E quell’Alpino morente dopo essersi confessato e aver ricevuto la comunione, diceva al cappellano: “Mi dia anche l’olio santo e scriva a mia madre che l’ho chiesto io”.
E la fraternità, l’amicizia, la simpatia che legò gli Alpini al loro cappellano sui fronti di guerra, non si è esaurita in tempo di pace.
Il cappellano rimane l’amico che s’incontra sempre volentieri, che si vuole a celebrare la messa in ogni adunata, in ogni manifestazione.
È don Onorio Spada che nel trentino crea e organizza una delle più grandi sezioni dell’A.N.A.
Don Gnocchi a Milano raccoglie e assiste gli orfani dei suoi Alpini e poi i mutilatini.
Don Turla a Boario erige quella magnifica chiesa che vuol dedicata alla Madonna degli Alpini.
E un altro cappellano Alpino, don Carlo Caneva, innalza a Cargnacco il Tempio per onorare e ricordare i centomila soldati italiani che dalla Russia non hanno fatto ritorno.
Oltre ai cappellani regolarmente nominati, nel primo conflitto mondiale furono precettati, con le loro classi, anche i giovani sacerdoti che dovunque nei loro reparti svolsero come poterono, ma sempre con ammirevole zelo, il loro ministero sacerdotale.
Va ricordato un episodio che il noto poeta friulano Giuseppe Ellero racconta in versi:
“Prete, anche tu alla morte!”
Urlò con roco strido il sergente.
E il prete fu coscritto,
e corse ove più fiero era il conflitto,
ove più orrendo il crepitio del fuoco.
Tutto il dì resse all’insueto gioco
il prode, e a sera stramazzò trafitto.
Scese la notte ed egli udì
per fitto buio al suo fianco
un lungo ululo fioco.
Si torse a stento.
“O mio sergente, io sono il prete”,
disse.
E l’alta ombra ravvolse
L’ansito pio dei due morenti cuori.
Come raggiò divina ai nuovi albori
la mano esangue che la morte colse
protesa al sacro gesto del perdono!

 Articolo tratto da: “alpin jo, mame” (marzo 1983) periodico della sezione ANA di Udine.

Ilario Péraro

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