Eco Umberto – “L’isola del giorno prima”

…a cura di Elisa Zoppei

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L’isola del giorno prima di Umberto Eco

Umberto Eco 2

Umberto Eco

A vederlo in fotografia ha l’aspetto di un simpatico bonaccione, ma Umberto Eco è un personaggio di grande spicco: semiologo, filosofo e scrittore italiano di fama internazionale. Dal 2008 è professore emerito e presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici dell’Università di Bologna. Salute!
È nato ad  Alessandria, il 5 gennaio del 1932. Suo padre era un facoltoso negoziante di ferramenta, e si presume che dalla famiglia sia stato avviato a prendere sul serio gli studi  e la vita, tanto da conseguire brillantemente la maturità classica e a impegnarsi nella militanza giovanile dell’Azione Cattolica come responsabile nazionale del movimento studentesco.  Incarico che portò avanti fino al 1954, quando concluse gli studi universitari, laureandosi in Filosofia con una tesi  su Tommaso d’Aquino, discussa nell’Aula Magna della Cavallerizza Reale a Torino. Gli studi lo allontanarono da Dio e dalla Chiesa cattolica, perciò sembra, a suo dire,  che per  ironia della sorte, sia stato  proprio il Doctor Angelicus a guarirlo miracolosamente dalla fede.
Nella stessa sede universitaria il 10 giungo 2015, gli fu conferita la laurea honoris causa in “Comunicazione e Culture dei Media” per «aver arricchito la cultura italiana e internazionale nei campi della filosofia, dell’analisi della società contemporanea e della letteratura, rinnovando profondamente lo studio della comunicazione e della semiotica». In quella occasione pronunciò la sua sentenza contro i social media che «danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». (www.lastampa.it). Eco, si sa, ne ha per tutti e non risparmia nessuno. È una voce che grida nel deserto per raddrizzare le più consolidate convinzioni. Come nel caso di Benedetto Croce, del quale dice che, «basandosi sulla sua autorevolezza, ha per 50 anni diffuso in Italia delle idee false, e tutti in Italia le han prese per buone, senza calcolare che lui non capiva niente di arte. È stato il maestro di estetica di due, tre generazioni senza aver mai capito niente di arte ». Eco è anche uomo del nostro tempo e con disinvoltura confessa di essere un utente compulsivo di Wikipedia per ragioni artrosiche. Quando cioè la schiena gli fa troppo male per alzarsi ed andare a cercare nella Treccani la data di nascita di qualcuno, fa prima con Wikipedia, dove per comodità ci va 30/40 volte al giorno, però esercitando ogni controllo su eventuali errori. Per gli errori di ortografia bisogna invece ringraziare Babylon, per cui con Internet è tutto tempo guadagnato.
Per quanto riguarda la televisione afferma, e lo possiamo condividere, che la Tv ha insegnato a tutti a parlare italiano e fa bene a noi vecchietti perché se siamo soli in casa ci fa compagnia. Però dobbiamo fare attenzione a non lasciarci impoverire le idee e a non saper vedere belle cose anche fuori.
E il cellulare? Splendido, perché, si può continuare a lavorare anche seduti su una panchina al parco. Come vediamo Eco sa rivelarsi anche nella sua semplicità di uomo pieno di humor e di buon senso, e questo ci rendere particolarmente propensi ad addentrarci nelle pagine dei suoi romanzi, non sempre di facile lettura, ma straordinariamente accurati in ogni dettaglio sia storico e linguistico che affabulativo.

Per altre notizie di routine https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Eco

L'isola del giorno prima


"L'isola del giorno prima"

Il trentasettesimo capitolo del libro “L’ISOLA DEL GIORNO PRIMA” di Umberto Eco, romanzo Bompiani, edito nel settembre del 1994, si intitola “Esercizi paradossali su come pensino le pietre“. Titolo quanto mai interessante che contiene in nuce l’idea che le pietre pensano, si tratta di stabilire in quale modo. L’autore  in questo penultimo capitolo ,  si lascia andare a una serie di disquisizioni filosofiche mitologiche antropologiche, troppo pesanti per una recensione mirata a  mettere in risalto  il meglio del romanzo, dell’uomo e dello scrittore. Il romanzo racconta l’avventura di un giovane, la cui immagine è tutta a carico del lettore, visto che l’autore non impiega neanche un rigo per descriverlo alto o basso, bello o brutto, intelligente o mediocre. L’avventura di Roberto de La Grive dei Pozzo di San Patrizio (nome che nel detto popolare è tutto un programma, nel senso che la fantasia è inesauribile), può essere raccontata in due parole. È l’unico rampollo di una aristocratica famiglia di campagna che viene istruito nelle belle lettere, come si conveniva ai bambini par suo da un precettore ecclesiastico, e che vive dentro un secolo, il diciassettesimo, movimentato da guerre, pestilenze, viaggi in mare e scoperte astronomiche, come sappiamo dalla storia e dalla letteratura. Di questo secolo Roberto porta i vizi e i vezzi. Dopo una giovinezza segnata, ma non troppo, dall’esperienza della guerra (quella dei trent’anni), inizia una vita moderatamente godereccia nella dumastissima Parigi. Qui si trova al centro del mondo intellettuale dominato dai grandi scienziati e da grandi artefici della politica del tempo: Richelieu e Mazzarino, in mezzo alla lussuria, alle ricchezze e agli inganni. Da questo teatro di disputazioni erudite dominato in basso dalla sporcizia e dalla miseria, e in alto dalle maleodorose eleganze in trine e merletti di gentiluomini e précieuses, il nostro si trova imbarcato su una nave olandese per una delicatissima missione di spionaggio. Deve strappare agli inglesi (pena la morte) il segreto della Polvere di Simpatia sulla base della quale vengono fatti esperimenti per trovare il centottantesimo meridiano e dividere la terra nei relativi spicchi orari. È costretto a partire per ordine del cardinal Mazzarino, lasciando a terra la donna del suo cuore. Dopo alcune importanti scoperte fatte sulla nave in ordine alla sua missione, durante un tremenda burrasca la sua nave fa naufragio, ma lui legato a una tavola di legno, miracolosamente si salva e approda in una …nave deserta La Daphne. Qui comincia la sua avventura di naufrago solitario che gli fa scoprire che l’unica maniera perché la sua vita gli possa piacere è quella di farne un romanzo. Nel romanzo egli può dare a se stesso tutte le vittorie, le soddisfazioni, gli onori ai quali ogni uomo, anche il più modesto, dentro di sé aspira. Nel romanzo egli potrà far girare il destino a suo piacere. Solo nel romanzo potrà essere padrone del tempo: fermarlo o farlo tornare indietro, conquistare la donna amata, punire il suo rivale. E può anche cambiare traccia: rinunciare e sublimare il suo amore nel sacrificio. L’isola del giorno prima è uno dei più curiosi romanzi del nostro secolo: il romanzo del romanzo del nostro tempo. Umberto Eco è uno scrittore fertile e immaginoso che riesce a coniugare il gusto di scrittore con il suo piacere di lettore. Un piacere forse simile a quello che provavo da ragazzina chiusa nella mia camera e nascosta dietro la porta dell’armadio quando leggevo “Robinson Crousuè” o “L’isola del Tesoro” o “Guerra e Pace”,  “Il conte di Montecristo” e più avanti i “Promessi Sposi”, tutti libri ai quali sono stata naturalmente riportata leggendo questo romanzo. Ma potrei aggiungere anche “I Miserabili’, di V. Hugo, “I misteri di Parigi” di Eugene Sue, oppure “Il ricco e il povero” di Mark Twain, e infine (Eco me lo perdonerà) i serials “Angelica” di Anne e Serge Golon, che leggevo con la stessa voracità dei romanzetti dei Delly. Ho avvertito però che me ne mancano ancora tanti di libri da leggere per capire meglio questo, o per gustarlo di più, per ritrovare le frasi diventate famose, i modi di dire alla grande, le tante anastrofi, metafore, asindeti, climax, controclimax: figure retoriche prese a gran mano e servite come ghiotte leccornie sul piatto della lingua. Così un po’ per celia e un po’ per non far troppo sul serio, un po’ per mettersi alla prova e un po’ per farci capire che se lui vuole è maestro nel gioco linguistico, Umberto Eco in questo libro ci fa fare scorpacciate di ghiottissimi ossimori, luoghi poetici privilegiati degli scrittori di ogni età, ma in particolare dell’età barocca dove appunto si colloca l’avventura del giovane Roberto de la Grive scrittore baroccheggiante. Forse è vero che i libri “si parlano” e creano mondi paralleli che si intrecciano fra loro. Come a dire che il grande romanziere entra ed esce dai libri che sono stati scritti da altri, si serve di immagini e parole per combinarle in modo nuovo, inverte qualche rotta negli intrecci, scambia i connotati dei personaggi, anagramma i nomi, usa frasi e locuzioni spostandoli da una storia a un’altra, inserendo un racconto nel racconto, una storia dentro l’altra a mo’ di epillio, per poi riprendere le fila della traccia maggiore cui riconduce gli altri filoni, o rivoli che vanno a ingrossare il grande fiume della narrazione. In questo libro Eco ci fa entrare nel Paese dei Romanzi dove l’immaginazione non conosce soste obbligate, dove la fantasia galoppa su un cavallo che obbedisce solo alle regole della logica fantastica. Tenendo sempre d’occhio il suo ruolo di romanziere, mentre narra ciò che di giorno in giorno capita al suo protagonista, affogandoci anche nei suoi ricordi, ci fa entrare nella sua officina di scrittore e ci introduce ai segreti dell’arte di inventare narrando. A questo proposito il suo saggio “Sei passeggiate nei boschi narrativi” (Bompiani, 2000), è un esemplare prontuario per chi ama leggere e affinare l’arte di raccontare. Buona fortuna

Elisa Zoppei

 

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