11. Commiato

…a cura di Aldo Ridolfi

Poesia

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Ponte di Veja

Giuseppe Luigi Pellegrini, Abate e Conte, in escursione al Ponte di Veja

  1. Commiato

    Tanti, dunque, i temi trattati dall’abate Giuseppe Pellegrini nei 670 versi del poemetto Il Ponte di Veja, dedicato alla contessa Chiara Stella de’ Medici e stampato da Giuseppe Remondini  nel 1785 a Bassano.
Alcuni li abbiamo sfiorati, essendoci piaciuti più di altri:

  • il paesaggio della Val Pantena, di Cuzzano, di Romagnano, di Alcenago, di Fane, della Val Polesella,…
  • la levatura morale dei montanari che, come la famiglia di Giare, traggono dalla loro povertà motivo di dignità umana e di rigore etico;
  • la nobiltà della contessa Dimice, Chiara Stella de’ Medici, onnipresente nel poemetto, compagna intelligente e sensibile nell’escursione, punto di riferimento costante per i ragionamenti e le attenzioni dell’abate;
  • realtà e fantasia che si intrecciano, come accade nell’incontro con il serpentello, fuori e dentro la grotta;
  • la grandezza del Ponte, vero gioiello creato dalla «dedala Natura» nel corso di innumerevoli anni;
  • la struggente storia d’amore tra Veja e Cerèo e il suo drammatico epilogo.

   Numerosi, ahimè, i temi non affrontati, inerenti anche, e forse soprattutto, questioni più squisitamente letterarie come potrebbero essere il rapporto tra la poesia di Pellegrini da un lato e lo spirito illuminista e quello preromantico dall’altro. Questioni, queste, per le quali ben altro impegno è necessario.
Tuttavia, su questo versante, un paio di spunti possono essere presi al volo e proposti, per aprire su una dimensione lasciata ai margini e per mostrare come il gesto artistico abbia – in Pellegrini e sempre – in sé la forza di ambire all’eterno.
E dunque Giuseppe Pellegrini fa sua questa funzione celebrativa ed eternante della poesia. Egli pubblica non per l’amore della gloria, ma per il legame che intrattiene con i protagonisti, la famiglia del conte Gaspare de’ Medici: «E più che non è l’amor della gloria, che mi conduca alla stampa… Mi vi ha condotto più veramente il piacer dell’amicizia». Nell’introduzione scrive che a guidarlo nella stesura del poemetto è «il lasciar memoria di chi s’ebbe in pregio; il protestar riconoscenza a chi vi fece del bene; il procurar loro, per quanto puossi, la stima delle età che verranno…». Il riferimento non è, occorre sottolinearlo, alla sola Dimice, ma a tutta la famiglia de’ Medici che lo ha accolto e apprezzato. E’ forse possibile rintracciare una certa enfasi retorica in simili dichiarazioni, tuttavia mi pare più bello sottolineare che il poeta davvero restituisce moltissimo, grazie ai suoi versi, in termini di memoria: la poesia garantisce di prolungare il ricordo alle generazioni successive, ancora una volta la sua funzione eternante è rispettata. E’, del resto, ciò che sta avvenendo in questo preciso momento grazie al Sito di Graziano (www.ilcondominionews.it), e dopo 230 anni. E che dire della famiglia dei montanari di Giare? Anch’essi sono coinvolti in questo meraviglioso processo che consente a noi, oggi, di apprezzare le loro doti di ospitalità e di fermezza morale. Il canto di Giuseppe Pellegrini non si è fermato alla sola nobiltà, è andato oltre, ha accolto nella complessiva celebrazione poetica anche quella madre esemplare e lo ha fatto in modo tale che ci pare quasi di vederla, di poter conversare con lei e dopo salutarla, come se tutti quegli anni non fossero trascorsi.
La poesia, dunque, come garanzia che in futuro non sarà persa la memoria della nobiltà d’animo di chi non c’è più. L’auspicio è sempre lo stesso. Scrive Ugo Foscolo nell’introduzione a l’Ortis: «Pubblicando queste lettere io tento di erigere un monumento…». E siamo nel 1797. Solo qualche anno prima, Pellegrini – son sempre parole sue dell’introduzione – si augurava che «alcun uomo onesto [in] questi poemetti dimenticati, non vi ritrovi pur entro un’anima, un cuore, un’ingenuità, che mi giustifichi d’averli dati alla luce…». E ancora possiamo smentire quanto egli, certo facendo moderato uso di una peraltro lecita captatio benevolentiae, teme e cioè che «il mio poemetto sul Ponte di Veja non avrà forse compatimento se non dai pochi, che meco furon colà»
Certo, il Pellegrini non pensava che tra tutte le occasioni possibili di divulgare il suo testo ci sarebbe stata, dopo oltre due secoli, anche la Rete. In questo senso: «Evviva la Rete»!

Aldo Ridolfi (continua)

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Aldo Ridolfi termina con questa puntata il suo racconto della “gita” dell’abate conte Giuseppe Luigi Pellegrini al Ponte di Veja e dà appuntamento, a quanti lo seguono, al prossimo autunno con “Storie e teorie attorno alle figure mitiche dei monti veronesi (anguane, fade, orchi, basalischi,…)”.
Buona estate a tutti…

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