Cassola Carlo – “L’antagonista”

…a cura di Elisa Zoppei

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Cari amici lettori ben ritrovati. Sono felice di presentarvi un libro, propostomi dal nostro solerte capo editore, Graziano, che nel 1978 lo aveva ricevuto in regalo per il suo compleanno: si tratta de L’antagonista, uno dei romanzi maturi di Carlo Cassola, pubblicato nel 1976. Graziano, allora giovanotto di brillante avvenire, lo aveva letto con trasporto riconoscendo l’alto valore dell’autore, già noto nell’ambiente letterario per i suoi racconti La visita e Alla periferia, (1942); Il taglio del bosco (1949), Fausto e Anna (1952) e i vecchi compagni (1953), lunghe novelle a sfondo neorealistico di argomento partigiano, fino ad arrivare ai romanzi che lo hanno consacrato nell’olimpo della classicità: La ragazza di Bube, (1960) che gli valse il Premio Strega e dal quale nel 1963 fu tratto l’omonimo film diretto da Luigi Comencini. Seguì quindi Un cuore arido (1961) di spessore esistenziale, preludio della successiva produzione narrativa sfociante nei  romanzi Paura e tristezza (1970), Monte Mario (1973), e L’Antagonista (1976), oggetto della nostra attenzione. Oggi Carlo Cassola, forse lo scrittore più prolifico e gettonato del suo tempo, sembra uscito dal giro di gara con altri nomi (Luzi, Bassani, Cancogni, Lagorio, Bianciardi), passando nelle retrovie dell’indifferenza e dell’abbandono. Sono grata a Graziano e a questa rubrica che mi permette  di trarre dalla tristezza del silenzio e dell’oblio uno scrittore come Cassola, che merita di essere rivisitato e valorizzato come una delle penne maggiormente significative e vivificatrici del nostro Novecento.

Carlo Cassola

 

 

 

 

Carlo Cassola

 

Brevi note biografiche

Nato a Roma nel 1917, ebbe sempre forti legami con la Maremma divenuta la patria poetica e spirituale dello scrittore, con particolare riguardo a Volterra città natale della madre, dove si trasferì nel ’40, entrando anche nella Resistenza. Fu chiamato Carlo, in omaggio al  nonno paterno, magistrato illustre, presidente del tribunale nonché fervente patriota, duunviro delle dieci giornate di Brescia. Il padre Garzia Cassola si era laureato in giurisprudenza, e dopo essersi  iscritto al Partito socialista italiano (PSI), nel 1896 si trasferì a Roma come giornalista caporedattore dell’Avanti.   Qui si formò una famiglia sposando  il 20 aprile 1901 Maria Camilla Bianchi, maestra diplomata  di buona famiglia, dalla quale ebbe quattro figli e, dopo 10 anni dall’ultimo, arrivò anche Carlo. La mamma poco dopo la sua nascita si ammala di spagnola e il bambino viene affidato alle cure di Anna, una giovane popolana, che  gli farà da tata affettuosa fino ai 7 anni e rimarrà per sempre nel suo cuore tanto che  le dedicherà il racconto Una ragazza del popolo. Lei, provenendo da un ambiente povero gli aveva fatto comprendere il divario fra le classi sociali. Non avendo fratellini della sua età con cui giocare era solito dichiarare che la sua fu un’infanzia solitaria, ma non triste,  perché aveva appreso presto a gustare i piaceri della solitudine, primo fra tutti, il piacere di fantasticare” ( Ai miei lettori, in Il taglio del bosco, Torino 1965, p. 5)

Non è raro, attraverso i suoi scritti imbattersi nei suoi ricordi infantili. Fin da piccolo aveva la rara capacità di cogliere gli aspetti meno appariscenti del mondo esperienziale, di andare all’essenza dei significati. In uno dei suoi fogli di diario racconta del sorprendente ricordo di un giorno lontanissimo della sua vita bambina, quando a tre o quattro anni nella luce di un pomeriggio festivo, fra una folla multicolore che si muoveva su un prato immenso sotto un cielo azzurrino, i suoi occhi si affacciarono per la prima volta sul mondo, e in quel momento ebbe coscienza di esistere: “[…] Io, Carlo, distinto dalla folla, dal prato, dalla luce e dal cielo, vedo per la prima volta la folla, il prato, la luce e il cielo; mai sarò più felice. Perché in quel momento avevo davanti a me la vita. Esiste una parola più grande di questa? Quando si è detto: la vita, si è detto tutto” (in Fogli di diario, Rizzoli, Milano, 1974, pp. 133-134).

Possiamo capire come da grande abbia voluto mettere a servizio della «Vita» la sua arte di scriverla, attento a cogliere le vibrazioni più sottili e umbratili della realtà e il significato vero e profondo della vita umana.

In un altro foglio si affaccia il ricordo delle sue prime letture: il suo libro prediletto era un trattato di ornitologia con illustrazioni in bianco e nero in cui gli animali erano generalmente rappresentati a coppie, fra erbe, rami e sterpi: “…A volte un  paesaggio di sfondo apriva vie meravigliose alle turbate esplorazioni della mia fantasia”. La libertà immaginativa e la fantasia creatrice lo portavano

tra le solitudini glaciali dei pinguini o nelle sconfinate distese dell’oceano con i gabbiani o in volo su una distesa palustre con le anatre, sotto la mira dei cacciatori.

Non c’è da meravigliarsi se la sua vena narrativa emerse ancora da adolescente, quando liceale collaborava al giornalino studentesco La penna dei ragazzi e dava alle stampe una serie di brevi racconti, in parte pubblicati sulle riviste «Meridiano di Roma» e «Letteratura» e più tardi  raccolti in un volume.

Fra gli scrittori del passato amava soprattutto Čechov, ma è in Joyce che riconosce il suo unico maestro, particolarmente nel Joyce di Gente di Dublino. In Joyce, confessa, aveva scoperto il primo scrittore che concentrasse la sua attenzione su quegli aspetti della vita che per lui erano sempre stati i più importanti e di cui gli altri sembravano non accorgersi nemmeno.

Ebbe frequentazioni, legami intellettuali e di amicizia con i più acuti esponenti dell’ambiente letterato, politicamente orientato all’antifascismo. Decide di diventare scrittore scegliendo la facoltà di giurisprudenza perché meno impegnativa e gli lascia il tempo di dedicarsi freneticamente alla lettura dei gradi spiriti. Oltre a Joyce, incontra il pensiero di Huxley, la narrativa di Lawrence,  la poetica di Dos Passos. Dopo il servizio militare, nel 1939 si laurea e nel 1940 a Volterra,  sua prima sede di docenza, si sposa con Rosa Falchi. Nel 1941 viene richiamato alle armi, e nel 1942 vince la cattedra di storia filosofia e pedagogia. Per il periodo della guerra e durante la Resistenza,  Cassola ripose la penna, ma poi la sua carriera di insegnate di filosofia nel liceo scientifico di Grosseto proseguì insieme alla sua militanza nel Partito d’Azione e alla carriera di scrittore  alla quale si dedicò con continuità per tutta la vita.

Siamo nel 1949 quando viene colpito dalla disgrazia della perdita dell’amata moglie Rosa, che viene drammaticamente ricordata nel Taglio del bosco, diventando l’espressione del suo lutto personale e generando in lui una nuova fase di scrittura. Nel 1951 conosce Giuseppina Rabagli di Grosseto, chiede e ottiene il trasferimento al liceo scientifico Marconi della città, e il 14 novembre convola a nove nozze, benedette dall’arrivo della figlia Barbara il successivo settembre del 1952. Gli morirà all’età di sei mesi una seconda figlia, Nora, nata nel 1957. Iniziò anche una lunga  collaborazione con il «Corriere della Sera», dove creò la rubrica di terza pagina Fogli di diario, e  concretizzò una notevole produzione saggistica, in cui si distinguono il volume Viaggio in Cina (1956) e l’inchiesta condotta con Luciano Bianciardi sui Minatori in Maremma (1958). Quando nel 1958 legge Il dottor Živago di Pasternak, lo considera il più bel romanzo del secolo e una porta aperta sull’avvenire della scrittura. Viene pertanto attuandosi nella sua coscienza quella nuova visione della storia, che troviamo riflessa nelle sue opere: non come il teatro di grandi eventi e alti ideali, ma caso mai proiettata nella dimensione interiore e privata delle persone che in essa, spesso loro malgrado, si trovano a vivere.

Negli ultimi anni di vita la scrittura di Cassola conobbe un’altra stagione. Colpito da una grave malattia e condannato all’immobilità egli si è dedicato con passione all’attività antimilitarista ed ecologista, mantenendosi sempre autonomo dai gruppi politici ufficiali, contro il militarismo e in favore della pace. Sono numerosi i suoi scritti contro gli eserciti e gli armamenti, e di grande rilevanza è il suo contributo alla nascita, della “Lega per il disarmo dell’Italia” che fu uno dei principali movimenti promotori della campagna di obiezione fiscale alle spese militari.

Si spense  il 29 gennaio 1987 a Montecarlo, in provincia di Lucca.

Per l’intellighenzia letteraria di allora, Calvino in testa, i suoi romanzi (che andavano immediatamente a ruba al tam tam dei lettori) erano robetta.Cassola veniva accusato di sfuggire all’impegno letterario e civile rifugiandosi in un vuoto lirismo e in un realismo facile, idilliaco, privo di conflitti. I suoi Romanzi erano sbiaditi come l’acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l’unto dei sentimenti ricucinati. Più che un trionfo (di pubblico e di cassetta), a Cassola spettava una sconfitta. Per lui non ci sarebbe stato un domani.

A Cassola però non mancavano né i requisiti, né la volontà di andare avanti e non si ritirò dalla scena fino alla fine. Si mantenne fedele alla sua linea poetico-narrativa, affermando che è compito della poesia darci il senso della vita e che lo scrittore può darci il senso della vita solamente parlandoci della sua vita, del suo piccolo mondo (in Poesia e romanzo, Rizzoli, 1973). Minimale e volutamente astorica, fra romanzi e racconti, la sua produzione rimase regolare e costante.  Oltre L’Antagonista e i già citati si segnalano Il cacciatore (1964); Tempi memorabili (1966); Storia di Ada (1967); Ferrovia locale (1968); Una relazione (1969); L’uomo e il cane (1977); Il ribelle (1980).

Nel 2003, un gruppo di intellettuali volterrani e pisani, ha fondato col patrocinio dal Comune di Volterra, il Premio Letterario biennale “Ultima Frontiera”, dedicato alla figura ed all’opera di Carlo Cassola.

L'antagonista Copertina 1

La prima pagina di un libro è come il primo giorno della vita:
entrambi ritengono l’incanto della totalità anteriore a ogni determinazione.

Questo romanzo pubblicato da Rizzoli nel 1976 e più volte rieditato, è principalmente ambientato  a Volterra,  la provincia toscana, luogo dell’anima, deputato a simbolo della fatica di vivere di ogni condizione umana. Il racconto si srotola lentamente lungo l’arco di trent’anni e accompagna passo passo la vita di un gruppo di ragazzi e ragazze di provincia, Bianca, Ferruccio, Pietro, Vittorina, Verdiana, Luisa, Ilaria, Gianluca, che abitano in palazzi col portiere, ma ad aprire la porta di casa e a servire in tavola i cappelletti in brodo e il pollo ripieno con salsa verde, c’è la “donna”. Ci ammettono alla loro intimità domestica, infittita di dialoghi all’apparenza banali e scontati, che invece fotografano un’epoca ormai lontana anni luce, quando era ancora vivo il ricordo delle carrozzelle e del tram a cavalli e un certo gergo giovanile metteva a disagio gli adulti; quando essere mancini era segno di una squilibrata seminfermità mentale; quando negli interni di famiglie borghesi benestanti, la gioventù, circondata e protetta da genitori e parenti, passava il proprio tempo  a configurarsi il futuro. Le ragazze armeggiavano per farsi corteggiare, o come le due Bambolotte e la ricca e più emancipata Verdiana, andavano in villeggiatura per avere l’occasione di fare qualche conoscenza e magari beccarsi un buon partito; altre sognavano le dichiarazioni d’amore  lungo il viale dei tigli che portava alla stazione e intanto ricamavano con le loro mani lenzuola di lino e biancheria fine per il corredo nuziale. Le loro giornate trascorrevano uggiose e uguali: una passeggiata in centro, qualche volta un caffè o pasticceria, e sempre, per non essere chiacchierate,  accompagnate da uno chaperon, zia o amica, un vestito nuovo, un festino, un teatro, un ballo, raramente un libro.

I ragazzi dal canto loro vagheggiavano carriere luminose nella magistratura o come avvocati,  ingegneri, medici. Insomma ambivano alla laurea, ma tutti indistintamente avevano l’obiettivo di formarsi una famiglia. Bianca fa però eccezione tentennando fra due spasimanti tutti e due ben piazzati davanti al  futuro: Ferruccio e Pietro. Il primo è un giovane serio, bravo figlio di famiglia,  bene avviato sulle orme paterne alla carriera di avvocato. Ha buone intenzioni su Bianca. L’altro è un giovane imparentato con l’aristocrazia locale, un tantinino sfrontato, sfacciatello e sboccato,  però brillante negli studi e intraprendente negli affari, nonché il miglior partito sulla piazza. Diventerà un importante funzionario di banca. È convinto di essere innamorato di Bianca e che lei lo accetterà. Come potrebbe fare il contrario? Ma qui sta la storia: quale scelta farà Bianca?  Rifiuterà Pietro? E con Ferruccio come la mettiamo? Quale sarà l’eroe e quale l’antagonista?

Navigando un attimo nei suoi pensieri scopriamo che anche lei, come altre protagoniste di Cassola,  bene si colloca nella sua galleria di stupendi ritratti femminili insieme a Mara, Anna, Angela, anticipatrici di un ideale affrancamento dalla supremazia maschile.

Ella, bella e riservata e diffidente, per un po’ filtra, ma poi scoraggia i pretendenti. Non desidera  sposarsi, non per salvaguardare la sua verginità, ma perché teme che tutte le faccende e il peso del matrimonio, il marito, il lavoro di casa, i figli, offuschino il puro soffio dell’esistenza, quel rumore sempre eguale, e che pure non stanca mai. Una volta sposata una donna cambiava vita, si chiudeva in casa, non pensava più a farsi bella. Per l’uomo molte cose continuavano come prima , il lavoro, gli amici, il caffè, la partita.

Questa ragazza d’altri tempi, mentalmente libera e ricca se voleva poteva permettersi anche di rimanere zitella.

Da un punto di vista personale, mi viene da pensare a mia madre che apparteneva in pieno a quell’epoca, ed essendo nata povera e rimasta presto orfana, non avrebbe potuto. Il suo unico spiraglio di salvezza per una vita migliore è stato mio padre, che possedeva una campagna e l’ha impalmata giovanissima (18 anni) e incinta di me: sono stata una felice figlia della colpa. Grazie mamma. So che l’hai reso felice.
E grazie a questo libro, Cassola mi ha restituito i ricordi dei tuoi racconti, dei discorsi che facevi con le amiche, della vita che allora scorreva più lenta, dei sogni delle ragazze, delle loro attese.
Questo libro non è solo una storia tra le righe, un fluire di parole di immagini e di pensieri  è un mondo che torna a vivere e ha bisogno di noi lettori per continuare a… essere

Buona lettura. Vs. elisa

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