Donatoni Franco

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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Franco Donatoni

Musicista, compositore, Franco Donatoni nacque a Verona il 9 giugno 1927. Era figlio unico e non ebbe un’infanzia molto felice (com’egli stesso si descrisse in un’autobiografia curata da Enzo Rostagno nel 1990), anche per qualche sua difficoltà di temperamento piuttosto inadeguato a capire le situazioni. Iniziò presto lo studio del violino, ma non lo amò mai, come non amò le opere liriche areniane. Intraprese, un po’ più seriamente, gli studi musicali alla fine della ragioneria; al Conservatorio di Milano non si trovò bene né con maestri importanti come Ettore Desderi e Livio Liviabella; si diplomò in quello di Bologna nel 1951, perfezionandosi all’Accademia di Santa Cecilia di Roma dove fu allievo di Ildebrando Pizzetti, la cui musica, però, gli fu estranea. A Venezia incontrò Goffredo Petrassi che fu il suo punto di riferimento. Suonò, per un breve periodo, nell’orchestra dell’Arena di Verona. Nel 1952 vinse il concorso di Radio Lussemburgo con una composizione che gli fu sempre cara: un Concertino, per archi, ottoni e timpano solista. L’anno dopo incontrò Bruno Maderna (v. questo Sito) e fu il momento del radicale cambiamento della sua vita di musicista e di compositore.
Intanto iniziò ad insegnare al Conservatorio di Bologna, poi in quello di Milano, quindi a Torino. Fu molto rilevante, per se stesso e per il suo futuro di artista, l’insegnamento ai corsi estivi dell’Accademia Chigiana di Siena. Più tardi, a partire dal 1971, fu professore al DAMS dell’università felsinea; fu chiamato a tenere corsi a Darmstadt (dove viveva Maderna) e conobbe un’irlandese che sposò, da cui ebbe due figli dei quali, il primo, divenne un famoso indologo.
La sua vita di musicista – un’esistenza che alternò a momenti gravi di depressione – cambiò decisamente quando, intorno agli anni Sessanta, cominciò a familiarizzare con le correnti d’avanguardia della “Neue Musik”: datano da questo periodo le sue composizioni più note. Questa sua evoluzione si ispirò ad Anton von Webern, Pierre Boulez, Bruno Maderna, Luciano Berio, Luigi Nono e Karlheinz Stockhausen.
Fu un’epoca relativamente breve perché Donatoni, nonostante i successi, fu invaso da quel senso di negativismo che, in sostanza, l’oppresse per buona parte della sua vita: anche le sue composizioni ne risentirono tanto che i procedimenti usati nel Quartetto IV (1963), Asar per 10 strumenti (1964) e Black and White per 37 strumenti risentirono fortemente di una specie di desacralizzazione formale, pure restando nell’ambito di una concezione compositiva sempre tesa a conquistare un proprio linguaggio.
Vinse anche il Premio Marzotto nel 1966; fu influenzato, per la parte più negativa del suo carattere, spesso teso ad una depressione eccessiva, da letture di Kafka, Musil, Beckett che riceveva in forma del tutto sbagliata. Le poesie di San Juan de la Cruz, altissimo scrittore spagnolo del Seicento, del quale si considerò un grande lettore, agivano su di lui non sempre nel modo giusto; il poeta era un raffinato e dolcissimo trascendente, pieno di gioia e di speranza: la lettura di Donatoni recepiva non sempre la parte migliore.
La sua fama di compositore – soprattutto per la novità della sua creatività musicale – profondamente legata alle nuove forme della modernità, aveva travalicato l’Europa stessa ed egli andò negli Stati Uniti, in Giappone, in Messico, in Australia, in Israele e in altri paesi.
Dopo momenti nei quali Franco Donatoni appariva spaesato e si lasciava fortemente condizionare (fu amico-nemico di John Cage, ad esempio), quasi inavvertitamente andava riacquistando consapevolezza inventiva e forte emozione compositiva: nacquero così, negli anni Settanta, le sue opere migliori (Orchesterübung, 1972-73), concerti e sinfonie per archi, per voci e per orchestra. Fu attratto, e compose, opere di musica elettronica, ma amò moltissimo anche quella sinfonica (J. S. Bach fu il suo idolo). Scrisse anche per teatro (Atem, 1985) con musica e libretto propri, per balletto, per orchestra e anche per solisti. Tese molto alla drammaturgia, soprattutto nella parte finale degli anni Ottanta.
La sua attività di docente (in molti conservatori prestigiosi oltreché all’interno dell’Università) si fece sempre più pressante, ma non abbandonò mai quella di compositore; furono suoi allievi alcuni che divennero, poi, grandi musicisti o direttori d’orchestra: tra i molti, Giuseppe Sinopoli, Ruggero Laganà, Javier Torres Maldonado, Alberto Solbiati. Furono, questi, gli anni in cui sfociò, in Donatoni, una profonda riflessione sul comporre musica: ne ebbero esito due libri, Questo e Antecedente X: sulle difficoltà del comporre (1980) nel quale egli mise in dubbio la sua stessa attività ed una serie di scritti sparsi che furono raccolti nel 1982. E fu proprio nella stesura di Duo pour Bruno (in memoria di Bruno Maderna, appena scomparso) ch’egli stesso apparve decretare la propria fine di musicista. Fu la moglie che lo tirò letteralmente fuori dalla depressione che l’invase sino al punto nel quale Franco Donatoni ritrovò nuova inventiva: compose alcune opere ritenute ottimamente riuscite (tra queste, In cauda, per coro e orchestra che apparve subito d’impressionante forza espressiva). Tra le ultime sue composizioni citiamo Arpège, riuscitissimo approccio scenico commissionatogli dalla Scala di Milano, oltre ad altre di sicuro virtuosismo. Non terminò il progetto – che gli era stato caro per quasi tutta la vita – di una rivisitazione dei contrappunti dell’Arte della fuga di J. S. Bach. Il catalogo delle sue composizioni è altissimo. Durante la sua vita, ottenne molti riconoscimenti e un grande numero di premi: per la novità delle sue composizioni e per la capacità di bene inserirsi all’interno delle nuove forme di ricerca della musica moderna.
Qualche composizione rimase inedita: il suo fondo si conserva presso la Fondazione “Paul Sacher” a Basilea. Gran parte degli scritti sparsi furono raccolti e pubblicati (F. Donatoni, Il sigaro di Armando, 1964-1982, a cura di Piero Santi, Milano, Spirali, 1982).
Franco Donatoni, minato dal diabete, colpito da ictus cerebrale, si spense a Milano il 17 agosto 2000, ma il suo corpo riposa nel Pantheon “Ingenio claris” di Verona. La sua città natale gli ha dedicato un giardino in Borgo Santa Croce.

Bibliografia: il numero dei contributi e di critica sull’opera di D. è vastissimo; ci limitiamo a citare alcuni recenti: Renzo Cresti, Franco Donatoni, Milano, Suvini Zerboni, 1982; Roberto Zanetti, Donatoni, Franco, in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, a cura di A. Basso, Le Biografie, v. 2, Torino, UTET, 1985, pp. 519-520; Giovanni Villani, Donatoni Franco, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 318-319; Francis Zolghadr, The music of Franco Donatoni, Miami, University of Miami, 2012; Alessandro Solbiati, Donatoni Franco, in Dizionario Biografico Italiani, 2014 (risorsa on-line); Franco Donatoni: gravità senza peso. Atti del Convegno su F. Donatoni tenuto a Parma nel 2013, a cura di Candida Felici, Lucca, Pacini Fazzi, 2015; Candida Felici, L’opera come frammento e l’albero di Tule: procedimenti intertestuali nelle opere della maturità di Franco Donatoni, “Rivista italiana di musicologia: organo della Società Italiana di Musicologia”, 53, 2018, pp. 149-171; Enrico Nannini, Donatoni e il fare musica, 1949-1972: l’opera al nero, Milano, Mimesis, 2018.

Giancarlo Volpato

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