De Roberto Federico – “La paura”

…a cura di Elisa Zoppei

 

Carissimi amici del Condominionews, quello che è successo in Francia in questi giorni di gennaio (massacro dei vignettisti del giornale satirico Charlie Hebdo) e le troppe terribili stragi nel mondo, mi smorza dentro il tradizionale ma sincero augurio per tutti voi di un felice 2015. Sono senza parole. Il libro che vi sto proponendo ci riporta indietro nel tempo ad altri orrori, forse lontani nel tempo ma che tornano vivi nella memoria a narrarci le brutalità egli insulti alla Vita e alla Libertà di tutte le guerre in ogni tempo. Per il mio Angolo della lettura scelgo un contributo commemorativo del conflitto della  Prima Guerra Mondiale, con un’opera di narrativa di Federico De Roberto. Sono pagine dove l’autore ha immortalato fatti e drammi vissuti in prima linea dai nostri soldati sul fronte dell’altopiano del Carso. Dello sterminato numero di giovani di tutta Italia andati al fronte, armati di coraggio e di amor patrio, ne sono tornati vivi pochi. Marciavano cantavano la canzone del Piave e sognando grandi prodezze guerriere, ma la realtà che li accolse fu quella di una sordida, malsana, snervante vita di trincea e spesso di una morte senza gloria subita con paura e ribellione. La guerra fu vinta vinto ma molti sono rimasti insepolti o sotterrati in cimiteri di campo sotto una croce senza nome. Questo libro La paura e altri racconti della Grande Guerra (edizionie/o) ci da una immagine straziante di ciò che è stata la vita dei “Ragazzi del ’99” stagione dopo stagione nei giorni e nelle notti alfronte fra il 1915 e il 1918.

Note biografiche


Foto dell’autore de roberto
(Napoli 1861- Catania 1827)

Federico De Roberto, nacque a Napoli nello stesso anno dell’unificazione del Regno d’Italia da genitori appartenenti a famiglie aristocratiche: il padre era un ex ufficiale di stato maggiore del Regno delle Due Sicilie, la madre, Marianna, proveniva dall’antica nobile famiglia siciliana degli Asmundo che ha segnato per secoli la storia politica, culturale ed economica dell’isola. Era ancora un bambino di nemmeno 10 anni quando nel 1870 dovette subire la dolorosa perdita del padre travolto da un treno sui binari della stazione di Piacenza. Marianna si trasferì insieme a Federico a Catania nella dimora avita degli Asmundo. Qui dopo gli elementi di base appresi tra le mura domestiche e gli studi superiori presso l’istituto tecnico, si diplomò nel 1879. Nello stesso anno si iscrisse al corso di scienze fisiche, matematiche e naturali dell’università di Catania. Solo più tardi, e per conto suo, Federico intraprese lo studio dei classici e in particolare del latino. Forte di una grande predisposizione alla scrittura fece il suo esordio letterario nel 1881 con un saggio mirato a riappacificare Giosuè Carducci e Mario Rapisardi, divisi da una annosa polemica. All’inizio dell’82 e fino al ‘900, diventò il corrispondente da Catania del Fanfulla di Roma, con una serie di lettere intitolate “Echi dall’Etna” che firmò con lo pseudonimo HamIet. Da qualche passo biografico attendibile  emerge che sulla sua vita e sull’opera artistica esercitò un grande influsso la madre, gelosa e possessiva, all’ombra della quale visse i suoi anni migliori e che  forse fu una delle cause delle sue reiterate nevrosi. Nei lunghi soggiorni terapeutici estivi sull’Etna (Zafferana,  Randazzo) e in Svizzera sperimentò con buoni risultati le teorie della persuasione del  neuropatologo Paul Charles Dubois (1848-1918).
Ad ogni modo crediamo che Federico abbia respirato fin dall’adolescenza, gli anni del fervore patriottico condividendo con i giovani a lui contemporanei l’aspirazione ad appartenere al Popolo Italiano. Fu in relazione con i massimi spiriti del tempo Capuana, Verga, Boito, collaborando con importanti case editrici per le quali scrisse saggi (rabeschi, 1883; La morte dell’amore, 1892), novelle naturalistiche di argomento siciliano (La sorte, 1887; Il Rosario), e romanzi a sfondo storico fra i quali primeggia I Viceré del 1894, il capolavoro che consolidò la sua fama e lo fece porre, nonostante la sferzante stroncatura di Benedetto Croce, nell’estimazione della critica e del pubblico, come il degno rappresentante della scuola siciliana verista.

Dal 1897 al 1916 fu a Milano come critico letterario Corriere della Sera. Là lontano dalle soffocanti spire materne, ebbe una relazione amorosa con Ernesta Valle, gentildonna maritata, elegante, colta animatrice di elitari salotti culturali della città. Tale amore segreto, conservato in un epistolario rimasto inedito per quasi un secolo, è stato portato oggi alla luce a cura di Sarah Zappulla Muscarà col titolo Si dubita sempre delle cose più belle”. Parole d’amore e di letteratura, (Bompiani, 2914). Nel 1918 fu nominato bibliotecario della Biblioteca civica di Catania e dopo la prima guerra mondiale fra il 1919 e il 1923, scrisse questi racconti di guerra: “La paura”, “Rifugio”, “La retata”, “Ultimo voto”. Pubblicati individualmente in tempi diversi furono raccolti in volume più tardi. Federico da figlio succube e devoto, trascorse i suoi ultimi anni, chino al capezzale della madre sempre più possessiva e ossessiva. Scrittore galantuomo probo e scrupoloso  continuò fino alla fine a correggere i suoi testi e collazionare le sue fonti.
Morì a Catania per un attacco di flebite il 26 luglio 1927.

Foto di copertina

Di questo libro ripubblicato oggi nella collana “Gli Intramontabili” delle edizioni/e/o (Roma, 2014, intr. Alberto Di Grado) si afferma a ragione che è un potente atto d’ accusa contro l’assurdità e l’inutilità della guerra. De Roberto pur non avendone preso parte sa descrivere con realismo la vita nelle trincee e l’immensa carneficina nei campi di battaglia. Egli fa parlare i  fanti nei loro dialetti regionali conferendo realismo e vivacità alle vicende. I personaggi sembrano schizzati a carboncino, resi vivi da pochi segni in un ritratto che ce li inchioda davanti con la voce smorzata di chi va a morire sapendo di andarci, di chi alza i toni ma non può ribellarsi. Anche il paesaggio con giorni brevissimi dalle albe fosche e pigre, i torvi meriggi, i rapidi e tristi crepuscoli, sembra partecipare allo sconvolgimento delle cose, e delle persone.

Il primo La paura (pubblicato nel 1921) oggi è considerato un capolavoro assoluto. Nella veritiera semplicità della storia è racchiusa una devastante accusa contro la guerra, d’una guerra che si rivelò solo insensato massacro. Un gruppo di soldati italiani provenienti da varie regioni è bloccato in una trincea sotto il tiro micidiale di un cecchino austriaco che impedisce loro di uscire allo scoperto per raggiungere il posto di vedetta. Ognuno di essi esprime nel proprio dialetto un terrore trattenuto che serpeggia sottile lungo tutta la trincea. Ma gli ordini sono ordini e l’ufficiale, il tenente Alfani, pur sensibile ai sentimenti e alle paure dei suoi soldati, deve comunque mandarne fuori uno alla volta. A chi tocca tocca.
Nessuno può rifiutarsi. Vede così sfilare, strisciando carponi nel fango,  intronati da infallibili ta-pun e morire uno ad uno i suoi uomini. Uno, un veterano d’Africa valoroso e pluridecorato dirà di no. Ma…

Nel Rifugio viene raccontata la storia di un giovane che si trova al  fronte suo malgrado: non vuole fare l’eroe né morire per la patria o per l’onore e cerca tutte le scuse per scamparla al fuoco nemico. Non servono le paternali esortative ai santi doveri militari del buon colonnello. Ogni volta che può tenta di imboscarsi, fin che braccato come disertore viene processato e fucilato. I soldati e gli ufficiali costretti ad assistere all’esecuzione, sanno che il provvedimento disciplinare nel regolamento di guerra è necessario, ma ne avvertono tutta l’insensatezza e provano pietà per la sorte del condannato e per se stessi. Al loro capitano poi, mentre è in missione, accade di essere costretto da un improvviso temporale a chiedere ospitalità a una famiglia di contadini che gli offrono una cordiale e generosa accoglienza. Buona gente, brava gente, piena di premura e cortesia. Ma che sorpresa!!!

La retata è invece una divertente parodia in cui un soldato racconta in romanesco di come, caduto nelle mani del nemico, riuscì a sua volta a catturare un intero plotone austriaco inventando decine di manicaretti che avrebbero costituito, secondo lui, il “rancio” delle truppe italiane. Gli austriaci, increduli all’inizio, si fanno via via sedurre dal racconto straordinario dell’italiano, fino a decidere di disertare e diseguirlo.

Nell’Ultimo voto il capitano Tancredi ha per missione di informare una bella contessa del decesso del suo eroico marito. Ma l’allegra vedovella è già pronta per un nuovo matrimonio con un imboscato. Così va il mondo…

Buona lettura

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