Messedaglia Luigi

… a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Luigi Messedaglia

Medico, politico, letterato, nacque a Verona il 9 dicembre 1874; nipote del celebre Angelo Messedaglia (v. questo Sito), figlio di Paolo, medico chirurgo ed oculista e di Pia Canestrari, frequentò la facoltà di medicina a Padova dove si laureò nel 1898. Entrò subito nella clinica medica grazie al suo ingegno e in pochi anni arrivò alla cattedra di semeiotica medica. Uscito dalla scuola di Achille De Giovanni, uno scienziato molto noto, ne ereditò le idee che poi valorizzò nei suoi scritti; nella didattica fu tra i primi ad occuparsi di medicina sociale e del lavoro, soprattutto, rurale: in quell’epoca, i contadini e il proletariato in generale, non godevano assolutamente di considerazione. Cominciò ad insegnare microscopia clinica e semeiotica medica.
Eletto deputato per il partito liberale nel 1909, si occupò di agricoltura e di medicina caldeggiando quei provvedimenti a favore del debellamento della pellagra e delle malattie professionali. I suoi studi sull’argomento lo fecero conoscere dappertutto e il suo impegno contribuì moltissimo a sconfiggere le malattie dovute alla denutrizione. Fu interventista nella prima guerra mondiale cui partecipò come ufficiale medico; abbandonò l’università e la clinica nel 1918 per dedicarsi totalmente alla politica e alla letteratura, occupandosi, anche, di storia della medicina. Ritornò alla Camera dei deputati nel 1924, dove ebbe colleghi i veronesi Giuseppe Belluzzo (v. questo Sito) e Luigi Dorigo; fu presidente dell’Amministrazione provinciale di Verona, poi quale commissario della stessa e dal 1929 al 1934 (era vice-presidente, fino al 1932, Sandro Baganzani: v. questo Sito) e preside della medesima: decadde per le norme sui celibi (egli, infatti, non si sposò mai). Degni di ricordo i suoi anni nella politica veronese: equilibrò il bilancio, fece la strada Gardesana, si occupò per la salute dei lavoratori della campagna, istituì l’assistenza gratuita ai bisognosi.
Si impegnò moltissimo in campo culturale; fu membro di numerose Accademie e in esse raggiunse anche la Presidenza: in quella di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, nell’Istituto veneto di scienze lettere ed arti di Venezia (durante la sua presidenza, questa prestigiosa istituzione fu l’unica a non espellere Benedetto Croce nonostante l’ordine del regime), fu accolto in alcune straniere e divenne membro, altresì, della Società geografica italiana, dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, della Società italiana di storia delle scienze mediche (non si dimentichi che alla storia della medicina consacrò studi eccellenti e fondamentali), di quella Virgiliana di Mantova, di quella di Agricoltura di Torino, della Società veneto-trentino-istriana di Padova.
Galantuomo, gentiluomo d’altri tempi, per uscire da una situazione di inquieta stabilità civile, passò dal liberalismo al fascismo ma, dopo lo squallore delle leggi razziali, prese le distanze dal partito che lo punì togliendogli la tessera e tutti gli incarichi professionali. Finita la seconda guerra, ritornò nel Senato della Repubblica.
Fu uno studioso a tutto tondo: si occupò – come medico – dell’acromegalia e fu il pioniere delle malattie legate alla cattiva nutrizione: in questo campo – oltre ad opere importanti – dette il proprio contributo come scienziato dell’alimentazione e la pellagra, grazie a lui, fu sconfitta; la dignità umana, la salute, la salvaguardia dei beni dell’ambiente, lo sviluppo sociale accompagnato dal benessere fisico furono i suoi cavalli di battaglia e gli impegni cui non venne mai meno e che tutti gli riconobbero: proprio per questi risultati fu insignito dallo Stato di molte onorificenze.
Come amministratore lasciò segni non confondibili della sua attività: la sua presenza – spartita tra Roma e Verona – fu quanto mai importante perché gli permise di dare impulso all’educazione e alle scuole, alla viabilità cui il suo nome è legato in particolare, a creare il miglioramento delle condizioni di vita.
Dedicò alla letteratura e agli studi umanistici tutto il tempo che poté: scoprì questa sua passione durante l’attività di ricerca per le opere di storia della medicina: anche in questo campo egli non passò inosservato.
Promosse la cultura in ogni luogo che occupò poiché era convinto – e la storia gli avrebbe dato ragione – che solo allora le condizioni di benessere più diffuso sarebbero arrivate e ad essa accoppiò iniziative di prevenzione ed assistenza sanitaria nella certezza che tutto questo avrebbe migliorato qualsiasi forma di vita. Non dimenticò mai la sua città: fu uno dei più attenti conoscitori della sua storia millenaria e delle sue bellezze, ma a questo scopo mise insieme il sommo rispetto per la sua gente: “solo così – lo disse in un suo memorabile discorso – si contribuisce ad amare i luoghi dell’esistenza”. Egli fu un costituzionalista, un uomo cioè che valorizzava il rapporto fra organismo e ambiente e la sua stessa esistenza ebbe sempre questi due importanti riferimenti.
Pubblicò egli stesso la Bibliografia degli scritti che assomma a 321 titoli (ch’egli stesso pubblicò nel 1935 e, poi, aggiornati nel 1953); lì la sua vastissima produzione editoriale risulta in tutta la sua portata: tra medicina e storia della stessa, letteratura italiana e cultura veronese, impegni politici (importantissima la ripubblicazione degli impegni del nonno Angelo che fu il ricompositore riconosciuto del catasto italiano) e opere varie. Della prima disciplina citiamo almeno la presentazione al mondo moderno degli studi dell’opera di Galeno e della Scuola salernitana (Le piante alimentari del Tacuinum sanitatis, Venezia 1937), Il mais e la vita rurale italiana (Piacenza 1927), un volume di quasi 500 pagine che gli valse la conoscenza in Europa. Nel campo letterario – dove ebbe modo di spaziare ampiamente con una conoscenza generalmente sconosciuta ai non specialisti – la sua opera più celebre fu Vita e costume della rinascenza in Merlin Cocai, che beneficiò degli studi di un grande umanista e che fu pubblicata solamente nel 1973 a Padova in due volumi, a cura di Eugenio e Myriam Billanovich; ma non dimenticò neppure di occuparsi delle maccheronee dello stesso Teofilo Folengo. Recentemente è stata pubblicata, tutta insieme, una raccolta di suoi scritti sull’alimentazione nel Veneto del suo tempo: La gloria del mais e altri scritti sull’alimentazione veneta (Costabissara 2008). Il suo importante e vastissimo carteggio – come tutta la sua eredità culturale e letteraria – si trova in Biblioteca civica alla quale Luigi Messedaglia lasciò ogni cosa per propria volontà testamentaria.
Scomparve nella sua villa di Novare ad Arbizzano di Valpolicella (VR) il 7 febbraio 1956.

Bibliografia: Egidio Meneghetti, Commemorazione del membro effettivo prof. Luigi Messedaglia, “Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, 116, 1957-58, pp. 37-46; Luciano Bonuzzi, Cultura sanitaria e promozione umana nell’opera di Luigi Messedaglia, “Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona”, 172, 1995-1996, pp. 285-301; Luigi Messedaglia medico ed umanista: a 125 anni dalla sua nascita, a cura di Luciano Bonuzzi, Peschiera, Rotary Club di Peschiera, 1999; Carlo De Frede, Luigi Messedaglia e l’ambiente crociano di Napoli, “Archivio storico per le province napoletane”, 118, 2000, pp. 326-362; Luigi Messedaglia tra cultura e impegno politico e civile nel Novecento veneto: atti del Convegno di Verona, 19-20 novembre 1999, Verona, Biblioteca Civica-Istituto per la resistenza, 2003; Luciano Bonuzzi, Messedaglia Luigi, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 552-554; Alessandro Baù, Luigi Messedaglia, in Storia della Società Letteraria di Verona tra Otto e Novecento, v. II: temi e protagonisti, a cura di Gian Paolo Romagnani e Maurizio Zangarini, Verona, Società Letteraria, 2007, pp. 161-170;  Luciano Bonuzzi, Messedaglia, Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, 73, Roma, Ist. Enc. It., 2009, pp. 787-789; Davide Gangale Risoleo, Un intellettuale al servizio di una comunità: Luigi Messedaglia e l’acquedotto romano di Parona, “Annuario storico della Valpolicella, 2017-2018, pp. 89-110.

Giancarlo Volpato

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