10. La lingua cimbra

…a cura di Aldo Ridolfi

LIBRERIA

Per le tue domande scrivi a: aldo.ridolfi@libero.it

   I Cimbri della Lessinia

   10. La lingua cimbra

   Innanzitutto: la trattazione della lingua cimbra è argomento per specialisti. Qui lo scrivente fornirà solamente alcune osservazioni generali a completamento delle vicende storiche narrate, prendendo ovviamente dalle pagine di chi ha studiato con gli strumenti adeguati la questione.

   I Cimbri erano una comunità alloglotta, una comunità cioè che usava una lingua diversa rispetto a quella parlata nel più ampio dominio politico in cui era stata accolta. Ce lo ricorda a modo suo il fabbro poeta veronese Corna da Soncino che nel 1477 scriveva: «Sempre fra loro todescando vano / la lingua loro al germanico pende / ma con buoni tedeschi non s’intende». E ce lo conferma quella curiosa disposizione che consentiva ai Cimbri dell’altopiano che venisse loro assegnato un prete di lingua tedesca: se così non fosse stato certamente tra i fedeli e il loro pastore non ci sarebbe stata possibilità di comunicare. Inoltre, come si ricorderà, nei documenti dei secoli XIII° e XIV° ricorrevano spesso i termini “teutonici” e “alemanni” per indicare questa comunità.

   Tra l’altro va precisato che è stato merito non secondario dei linguisti quello di aver contribuito non poco a stabilire i movimenti dei migranti dalla Baviera alla Lessinia mediante l’analisi delle strutture linguistiche.
Ecco quanto scrive lo studioso Giovanni Rapelli a questo proposito: «Il cimbro dei XIII Comuni è propriamente un dialetto tedesco arcaico evolutosi dalla prima fase del medio altotedesco (la lingua parlata nella Germania meridionale e in Austria dal 1050-1100 al 1500 circa)». “Evolutosi” perché le lingue cambiano nel tempo e quindi anche quella lingua “medio altotedesca” di cui dice Rapelli, partendo dalla Baviera per giungere in Lessinia nel corso di qualche secolo, è cambiata. È i linguisti sanno seguire queste tracce. Ecco dunque che è stato loro possibile scoprire che «una manciata di voci del cimbro tredicicomunigiano sono sufficienti a indicare la provenienza dei Cimbri veronesi dai cimbri dei Sette Comuni» (G. Rapelli). Ma non è certo finita qui, lo studioso aggiunge anche, con dovizia di esempi, che sul cimbro dei XIII Comuni ebbe poca influenza il tedesco letterario mentre ne ebbe molta il dialetto veronese. È ben curiosa, a questo proposito, la storia della parola “soldi” che in cimbro fa “Markitan”. Voce tedesca, alto o basso medioevale che sia? Eh no, voce veronesissima tratta «dal ver. settecentesco marcheti (il “marchetto” era una moneta veneziana di piccolo taglio)» (G. Rapelli).

    Ma ora chiediamoci: che fine ha fatto il cimbro?

   Ha vissuto per sette secoli immerso in questo incessante confronto dialettico tra una lingua tradizione dei padri e le lingue da cui la comunità alloglotta cimbra era circondata. Là dove i collegamenti tra le comunità e la città erano frequenti (scambi commerciali ma anche matrimoni misti) il cimbro si è dileguato prima, dove invece le comunità vivevano più isolate, la lingua della tradizione si è mantenuta più a lungo fino ad arrivare ben dentro il Novecento. È questo il caso di Giazza, basti pensare che negli anni Venti un cultore della storia dei Cimbri, Monsignor Giuseppe Cappelletti, nativo appunto di Giazza, poteva scrivere: «Il dialetto tedesco un tempo largamente parlato nei XIII Comuni Veronesi, sta ora rincantucciato nella gola di Giazza», anzi «lo stesso baluardo Giazza minaccia ruina».

parlanti

Giazza, l’ultima nicchia dei parlanti cimbro.

   Oggi, 2013, si può ben immaginare che cosa possa essere la lingua cimbra, nonostante gli sforzi delle associazioni culturali locali, come il Curatorium Cimbricum Veronense. Oggi è lo stesso dialetto veronese a rischiare la scomparsa. A vantaggio, sembra, dell’inglese. Ma forse altre lingue premono ai confini è c’è spazio per cambiamenti inimmaginabili.

Aldo Ridolfi (Continua)

↓