Grossúle Virgilio Augusto

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Virgilio Augusto Grossúle

Medico, scrittore, amministratore, nacque a Bosco Chiesanuova (VR) il 23 marzo 1871. Il cognome tradisce l’antica origine d’un toponimo, una volta piuttosto frequente nella montagna veronese, che deriva da *Gurzúle, “grosso magazzino, ripostiglio dove mettere le cose” con una parte del lemma derivata dall’antico medio-alto tedesco. Studiò medicina a Napoli dove si laureò nel 1896 e fu, subito, ufficiale medico nel Regio esercito italiano ad Adua, in Etiopia. L’anno successivo seguì i corsi della scuola militare medica di Firenze per arruolarsi quale tenente nel 3° Reggimento “Dragoni”.
Allettato dalle ricche offerte del re del Belgio Leopoldo II, s’imbarcò il 27 agosto 1901 per approdare nel Congo – colonia di quel piccolo stato europeo – dove si fermò dapprima per tre anni, ufficialmente per curare i dipendenti bianchi che gestivano il grande paese africano. Ma sotto l’egida belga rimase, in definitiva, sino al 1921 anche se alternò parecchie licenze in Italia. Promosso a medico di II^ classe nel 1904, divenne ispettore nel 1911 e poi, via via, direttore di vari ospedali militari compreso quello di Stanleyville; la carica più alta che ricoprì fu quella di capo del servizio medico nel Congo orientale.
Contento d’aver lasciato “quell’ambiente maffioso di Chiesanuova”, guardò con occhio piuttosto disincantato e molto attento la terra africana e i suoi abitanti; del primo triennio riportò un diario i cui passi più significativi trovarono pubblicazione nel 1991, Medico nel Congo 1901-1904.
Finché fu in Africa rimase celibe; prese le difese dei negri che curò, si batté contro lo sfruttamento perpetrato dai bianchi che occupavano il posto più alto nella piramide sociale. Dai diari manoscritti, da lastre fotografiche e da foto stereoscopiche recuperate dagli eredi, si colgono lo spirito umanitario ed una descrizione della “perspicace gestione” delle responsabilità belghe, colpevoli di un’amministrazione quasi brutale.
Da medico si trovò a gestire incarichi più ampi come quello di giudice, amministratore, doganiere e sempre esercitò le incombenze con uno sguardo molto diverso da quello del tempo e che si praticava in quel luogo. Non si limitò – come sarebbe stato nelle sue prerogative – a curare i dipendenti belgi; invece tutti, soprattutto se diseredati, trovavano in lui un amico, un medico che non guardava al proprio guadagno; viaggiò all’interno del Congo, ma non fu mai un vero esploratore; non ritornava frequentemente in Italia preferendo passare i suoi giorni nelle incombenze che insorgevano frequentemente.
Dovette rientrare, invece, per la Grande Guerra e fu mandato nell’ospedale contumaciale di Padova; si sposò nel 1918 a Milano, con Giuseppina Capra, una giovanissima donna della media borghesia meneghina, che gli diede un figlio. Riandò saltuariamente in Congo sino al 1921, quando contrasse la malattia del sonno ch’egli aveva spesso curato, e non fece più ritorno nel paese africano.
In quell’anno il monarca del Belgio lo insignì dell’Ordine reale e della stella d’oro al merito; si stabilì a Milano dove morì il 3 marzo 1924, stroncato dalla stessa malattia da cui era stato contagiato e dalla quale aveva salvato tante vite degli africani: la vedova bruciò ogni cosa, quasi tutta la documentazione compresa, per paura del contagio, mandando alla perdizione una ricchezza incredibile che il marito aveva amorevolmente conservato. Fortunatamente si salvò buona parte della copia manoscritta del Diario, ora presso l’Archivio di Pieve Santo Stefano (che permise l’edizione del 1991).
Durante la sua vita aveva anche pubblicato alcuni saggi importanti di medicina tropicale i cui manoscritti si trovano nei musei belgi. Una lunga relazione sui preparati per combattere la tripanosomiasi africana ed una descrizione della malattia stessa sono contenute nel carteggio di Luigi Messedaglia (medico scienziato e amministratore veronese; v. questo Sito) cui Grossúle scriveva costantemente da Stanleyville e ora presente nella Biblioteca civica di Verona.
Una collezione di coleotteri del vastissimo territorio centro-africano si trova presso il Museo civico di storia naturale a Verona; una trentina di oggetti etnografici sono conservati al Museo di Castelvecchio, sempre a Verona, mentre un discreto numero di lastre sono presso l’Archivio fotografico di Prato. I suoi diari giacciono presso gli eredi, a Desenzano del Garda (BS). Da essi, e dalla parte pubblicata (pionieristici, in un certo qual senso, per la teoria della liberazione e dell’indipendenza dell’Africa), si ricava l’impressione di un uomo di rara acutezza e di disarmante sincerità: lodò le suore missionarie, salvò – con molte riserve – i sacerdoti cattolici ma non quelli protestanti; non ebbe timore a descrivere le nefandezze dei governanti belgi, ammantate di civilizzazione e di progresso; dei nativi, dei quali apprezzò lo spirito libero, la fedeltà e la coerenza, e per i quali – come un antropologo disincantato – mise in rilievo la civiltà di allora, non amò le contese tribali, il cannibalismo propiziatorio, il maschilismo, la disinvoltura dei costumi.
Dal cimitero di Milano, le sue spoglie mortali furono trasferite a Bosco Chiesanuova nel 1993.

Bibliografia: J. Jorissen, Grossule Virgilio, in Biographie coloniale belge, v. 3°, Bruxelles, Académie Royale des Sciences Coloniales, 1952, p. 384; Virgilio Augusto Grossúle, Medico nel Congo 1901-1904, Firenze, Giunti, 1991, introd. di Saverio Tutino, con un saggio di Nicola Labianca, Storie di italiani in Africa, pp. 245-265;  Bartolo Fracaroli, La storia di Virgilio Grossule nell’ex-Congo belga: quel medico idealista con l’Africa nel cuore, “Brescia oggi”, 16 feb. 1996, p. 22; Bartolo Fracaroli-Giancarlo Volpato, Grossule Virgilio Augusto, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 451-453.

Giancarlo Volpato

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