Da Ronco Roberto

Roberto Da Ronco

Conosciuto universalmente con lo pseudonimo di Berto da Cogólo, nacque a Cogollo di Tregnago il 9 settembre 1887 da Benvenuto, fabbroferraio di origine friulana e da Teresa Pomari. Dal padre apprese l’uso dell’incudine, del martello e del maglio; dodicenne, frequentò la scuola d’arte a Soave dove, da Giulio Brunelli, apprese il disegno, la sbozzatura del marmo, la scultura in legno e dove fu indirizzato allo studio degli stili del passato e all’uso della plastica. Insignito di medaglia d’oro per la sua capacità e la sua bravura, iniziò a lavorare a Cogollo alternando il lavoro del fabbro a quello dell’ornamento, realizzando – particolarmente in legno – cassepanche, “trumeaux”, “consolles” quasi esclusivamente su commissione. Dopo il servizio militare si dedicò soltanto al ferro battuto lavorando sugli stili medievali del Caparra e apprendendo le tecniche più raffinate. Fu a Berlino nel 1907, poi a Venezia dove, alla scuola di Umberto Bellotto e frequentando la locale Accademia di Belle arti, arrivò ad una già eccelsa qualità. Nel 1912 andò a Parigi per due anni e imparò i grandi esiti dei “serruriers” francesi, la tecnica della grafite e l’invecchiamento del ferro. Si guadagnò tre campagne di guerra sugli altipiani veneti durante il primo conflitto mondiale e poi sposò Luigia Ziviani che fu il mentore illuminato della sua vita.
Ferocemente antifascista, cominciò una dura resistenza interiore all’ideologia dominante con una mordace e sarcastica presa di coscienza. Nel 1924 – a causa della sua avversione – non vinse la gara per il restauro delle cancellate, opera di Bonino da Campione del XIV° secolo e della sua scuola, straordinariamente belle e perfette delle Arche Scaligere; ma la ditta vincitrice – Dalla Vecchia & Kunn – gli affidò il lavoro (sicché, ufficialmente, Berto non appare come il vero restauratore) con esiti eccellenti e ancora oggi visibili. Sorvegliato a vista, fu sottoposto a una vita dura e grama; tentò l’espatrio verso la Francia, venne fermato senza conseguenze; da allora fu un uomo tollerato. Lavorò indefessamente, ma la sua vera opera artistica prima fu un Gallo del 1939 vicino alle idee del secondo futurismo veronese cui aderì con passione ed entusiasmo. Alla sua bottega accorsero allievi ai quali Berto non lesinò mai l’insegnamento accurato, quotidiano, preciso, insostituibile e prodigo di consigli. Ormai la sua fama di grande battitore del ferro aveva valicato i confini provinciali e da allora – oltre a cancellate d’incomparabile bellezza e realizzazioni di pregio – Da Ronco si dedicò all’arte pura e perfetta del ferro battuto. Piano piano il suo nome entrò nelle mostre mondiali: 1951 a Firenze e New York, 1953 a Milano, due anni dopo ancora Firenze e Parigi, nel 1956 a Verona che ripeté l’anno successivo assieme a Stoccolma, Venezia, Monaco di Baviera.
La sua fama lo avvicinò agli uomini di cultura dell’ambiente veronese: gli furono amici e profondi ammiratori Giovanni Mardersteig (v. questo Sito), gli scultori (Salazzari fu suo sodale: v. questo Sito)), pittori (Trentini, Sacchetti, Zangrandi: v. questo Sito) e artisti di rinomanza europea.
Tra le molte sculture ci limitiamo a citare la straordinaria Via Crucis che realizzò in tutte le sue stazioni e quelle opere che entrarono ad abbellire le residenze di letterati e uomini importanti italiani. La televisione italiana trasmetteva, nel 1956, un filmato sulla sua opera: in verità Berto era noto per quanto realizzava per la vendita (furono suoi acquirenti l’attrice Vivien Leigh con Giulietta e Romeo del 1957, Clara Booth Luce con una Ruota di eleganza futurista, Piero Bargellini, Lorenzo Montano, Riccardo Chiarelli ed molti altri) più che per le vere opere d’arte che uscivano dalle sue mani e dalla creatività del suo genio inventivo.
Memorabili erano state alcune prese di posizione verso i gerarchi fascisti (e ricordata dalla gente del luogo) che figurò – realizzandone i volti con acume ed arguzia (quale ad esempio, il ministro Bottai) – e si permise, sapendone anche le conseguenze, di fare rotolare lungo la discesa della strada che da Cogollo va verso Tregnago, la testa di Benito Mussolini.
In quegli anni aveva passato momenti difficili poiché gli era stato proibito di lavorare, ma Berto, uomo buonissimo e dall’animo gentile, sopperì facendo il fabbroferraio per sopravvivere.
Molte delle sue opere rimangono, francamente, sconosciute; anche a causa del suo carattere che poco prestava attenzione alla propria persona e quasi nulla concedeva – impaludandosene – alla pure grande capacità creativa, Berto non si curò assolutamente di elencare che cosa andava realizzando; sicché alcuni – dopo la scomparsa – approfittarono di questi silenzi impossessandosi artatamente di opere, dei disegni preparatori ch’egli non dimenticava di fare e di lavori che erano andati a finire nelle residenze signorili.
Gli ultimi visitatori di Berto furono lo scrittore Lorenzo Montano e Giovanni Mardersteig, il principe degli stampatori; poco prima della morte avvenuta a ridosso nel 1977, in un’intervista a noi rilasciata (e da noi riportata) quest’ultimo ci raccontò: “Danilo (in effetti Montano si chiamava Danilo Lebrecht) ed io rimanemmo stupiti di fronte alla semplicità dell’uomo e alla poesia del suo animo. Poi guardammo le opere di Berto: il nostro sguardo si illuminò e i nostri occhi videro cose stupende”. Roberto Da Ronco si spegneva il 26 novembre 1957; i giornali ne riportavano la notizia e due anni più tardi il comune di Zevio (VR) gli dedicava una mostra. Poi su quest’umile e grande artigiano-artista cadde il silenzio della cultura ufficiale.
Nel 1977, nel ventennale della scomparsa, a Tregnago – grazie agli artisti suoi amici sopravvissuti e ad un comitato di lavoro di straordinaria efficacia e precisione cui dettero il loro apporto i pochi profondi conoscitori dell’uomo e dell’artista (Quirino Sacchetti, Mario Salazzari, Mario Boldrini, Giorgio Mattioli, Gianni Faé, Salvatore De Marco, Gianfranco Gasperini e chi scrive che ne era il presidente) – si tenne la mostra delle sue opere: furono riclassificate, furono riveduti i disegni e apparve la prima monografia sulla vita e sull’opera; subito dopo la Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona (che aveva sponsorizzato quella) gli dedicò la medesima mostra nella città di Verona. Poi, nel 1981, grazie a questi eventi, alla seconda esposizione nazionale Toscana/scultura (che si teneva a Stia, nell’alto Casentino) Berto e la sua opera furono gli ospiti d’onore: qui ricevette l’omaggio di grandi artisti: Antonio Benetton, Domenico Cantatore, Domenico Purificato, Pietro Annigoni, Giovanni Vergerio. Nel 2003, in maniera del tutto locale, fu aperto a Cogollo un “Museo del ferro battuto e delle antiche arti: da Berto ad oggi” dove solo pochi lacerti dell’artista giustificavano un’istituzione piuttosto eterogenea. Poi, anche questa scomparve.

Bibliografia: Giancarlo Volpato, Una vita per il ferro battuto: Berto da Cogólo e la sua opera, Milano-Verona, Mondadori, 1977; G. Volpato, I disegni di Berto da Cogolo, “Vita Veronese”, XXX, n. 9-10 (1977), pp. 265-272; G. Volpato, Da Ronco Roberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 32, Roma, Ist. Enc. It., 1986, pp. 806-807 e G. Volpato, Da Ronco Roberto, in Dizionario biografico dei veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 286-288; Berto da Cogolo e la tradizione del ferro battuto, Verona, Tip. Cortella, s.d.

Giancarlo Volpato

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