Rosani Rita

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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Rita Rosani

Medaglia d’oro al valor militare alla memoria, resistente, maestra elementare, Rita Rosenzweig nacque a Trieste il 20 novembre 1920. Il padre Ludwig e la madre Rosa Strakoš erano originari della Moravia (oggi, parte orientale della Repubblica ceca) e soffrirono – come tutti gli abitanti della vecchia Cecoslovacchia – le pressioni dell’Impero asburgico. Nel 1905 emigrarono a Trieste dove il padre lavorò in una grande ditta di spedizioni. Come noto, la città giuliana non visse anni molto felici a causa dei fermenti politici irridentisti che animavano molta popolazione e che, subito dopo l’avvento del fascismo, rimase assai coinvolta dalla fortissima pressione “italianistica” del regime.
Nel 1927 il padre, che era di famiglia ebraica, chiese e ottenne la cittadinanza italiana e gli fu cambiato il cognome in Rosani che la piccola portò sempre con sé. Rita frequentò l’istituto magistrale “G. Carducci” di Trieste dove fu allieva di Eugenio Colorni, insigne figura di antifascista che nel 1939 verrà confinato a Ventotene. Qui, con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, il professore partecipò alla stesura del Manifesto antifascista che fu poi pubblicato nel 1944 a Roma.
Rita Rosani si era stretta in amicizia con Giacomo (noto come Kubi) Nagler, anch’egli di comunità yddish venuta dalla Galizia austriaca. Nonostante la famiglia frequentasse l’ambiente italiano e mitteleuropeo, anche su di essa cadde la famigerata legge razziale a causa dell’origine ebraica. E nel 1939, fidanzata con Kubi, ella subì il dolore della lontananza di quest’ultimo: costretto ad andare prima in Calabria, poi a Càsoli, nel chietino con i suoi, egli subì angherie, forzate deportazioni finché finì la sua vita nel campo di sterminio di Auschwitz. Tra i due vi fu un importante e interessante epistolario, non del tutto rimasto integro.
Dopo il diploma magistrale Rita Rosani insegnò in una scuola israelitica triestina: come tanti ebrei, fu perseguitata, ma non lasciò mai la città. Sul suo capo, come su quello degli altri correligionari, cominciarono ad addensarsi nubi pericolose: e la giovane si confessò a “Grazia”, il periodico delle donne, dove si mise a raccontare quanto accadeva; la sua voce era ancora piena di speranza, non lasciava trasparire – o, almeno, non faceva credere – che la desolante e terribile china era iniziata.
Furono anni tristi, quelli della guerra; nell’estate 1942 accadde il primo progrom a Trieste; e poi ancora: sulla scuola a lei vicina s’abbatterono tremendamente le incursioni e non smisero i raid antisemiti; le sorti della guerra volgevano nettamente a favore dell’Asse e i fascisti si vendicarono ancora con più terrore. Trieste fu messa in una condizione indicibile e Rita Rosani entrò nell’associazione che si occupava della cura degli ebrei.
L’8 settembre 1943 in città ne erano rimasti circa 2300, poco più di un terzo di quelli del 1938; non erano spariti anche i tedeschi, anzi: i nazisti, consultando le anagrafi di qualche anno avanti, ebbero buon gioco a individuare le famiglie d’origine israelitica.
Rita Rosani convinse i suoi ad andarsene, a fuggire da un luogo dove avrebbero facilmente trovato la morte. La famiglia arrivò in Friuli, a Cinto Caomaggiore, nei pressi di Portogruaro e fu nascosta da un medico, che salvò un grande numero di ebrei. Nel frattempo era pervenuto a Trieste l’ufficiale Umberto Ricca, reduce dalla Russia, il quale aveva spinto gli uomini a schierarsi contro i tedeschi: denunciato dal suo generale, egli fuggì a Settimo, ad un chilometro appena dai Rosani. Fra Rita, giovane intraprendente e il quarantenne soldato, allora monarchico, poi repubblicano e, più tardi, comunista, nacque subito una sintonia anche amorosa. “Quella piccoletta, con i capelli rosso ramati – disse – è un’ira di Dio”.
La Rosani imbracciò il fucile: fu perché sapeva che Kubi Nagler era finito ad Auschwitz e voleva vendicarlo o fu, invece – e quasi certamente – un desiderio di difendere quella patria così disastrosamente malmessa? O volle seguire quel tombeur de femmes che era Umberto Ricca? Rita, con i suoi, era capitata in uno dei luoghi peggiori poiché gli ebrei venivano insultati e accomunati alle belve sia da parte della Chiesa cattolica, sia dai giornali diocesani; furono presi di mira anche da “La Civiltà Cattolica”. E vi erano pure i fascisti in quel territorio friulano.
Di lì a poco le cose cambiarono: molti ebrei ritornarono a vivere, molti sacerdoti delle parrocchie li difesero e tanti cominciarono a guardare con occhi benevoli i resistenti.
Rita Rosani diventò partigiana dopo avere chiaramente e apertamente fatto parte delle schiere antifasciste di Portogruaro. Arrivò a Verona, si arruolò nel movimento ed entrò nella Resistenza armata a metà febbraio del 1944. Svolse, dapprima, attività di collegamento e di organizzazione delle nascenti formazioni combattenti. La giovane insegnante-guerriera provvide personalmente alla fondazione di una piccola formazione, chiamata “Aquila” composta da quattro persone, ella stessa compresa. Combatté in Valpolicella, nella zona sopra Negrar, si spostò nelle pianure appena sotto Zevio laddove era necessaria la presenza. Intrepida, coraggiosa, forte più d’un uomo e, soprattutto, molto attenta a quanto accadeva, la Rosani non si arrese di fronte a nulla.
Febbricitante, rimase in una casa a Verona per un giorno dopo essere scesa dalla baita che il gruppo dei partigiani occupava a Monte Comun, nel comune di Negrar. Ma, nonostante il colonnello Ricca avesse insistito affinché rimanesse, ella ritornò a combattere il giorno 16 settembre 1944. “Domani, disse, sarà la vigilia di Rosh Hahanà del 5075, inizio dell’anno ebraico”; era, anche, l’anno penultimo dell’Era fascista. Il comandante aveva mandato a Grezzana, tre soldati, che non tornarono più.
I giovani repubblichini, saliti da Coda di Alcenago, volevano riscattare l’onore italiano “macchiato dai combattenti della Resistenza”. Le fucilate mossero Rita che, imbracciato il fucile, si mise accanto ai compagni, mentre il diciottenne Dino Degani (medaglia d’argento) scaricava sui fascisti; così fece la Rosani: la sparatoria durò dieci minuti ed ella non ebbe esitazioni. Salivano sul Monte Comun, al confine tra i comuni di Negrar (che lo incorpora) e di Grezzana, i forsennati repubblichini. Ricca gridò la ritirata. “Vai via, corri, vai via” urlarono i compagni, ma Rita rispose: “Vuialtri gavè voia de schersàr”. Mentre andava su per il costone – ed era sola – sparando con il moschetto, fu colpita al fianco da una raffica: si accasciò e, per salvarla, corse Dino Degani (il comandante “Giraffa”), che venne ucciso. Il comandante della Guardia nazionale repubblichina che guidò l’attaccò, Mario Scaroni, vide Rita Rosani ferita: le sparò un colpo netto sulla fronte che le uscì dalla nuca. La giovane triestina, ormai resistente veronese, morì sul Monte Comun di Negrar il 17 settembre 1944: non aveva ancora 24 anni.
Al giudizio che si tenne nel 1945 (in cui fu condannato a vent’anni, ma tornò libero poco dopo) alla domanda “Perché sparò ad una donna?”, Scaroni rispose: “Non era una donna, era un bandito”. Nel luogo della morte è stato eretto un cippo in memoria. A Trieste, il 17 maggio 1946, nell’atrio dell’istituto “G. Carducci”, fu messo il ritratto di Rita Rosani e fu a lei intitolata la biblioteca della scuola (era preside, allora, Giovanni Quarantotti Gambini, padre dello scrittore Pier Antonio); una lapide la ricorda all’ingresso della scuola israelitica; la città le ha dedicata una via. Verona le ha intitolato una via, una scuola elementare in Borgo Trento e una scuola media in Borgo Venezia; sulla facciata della sinagoga un’epigrafe ne esalta il valore, citando, anche, un passo biblico in ebraico (“Molte donne si sono comportate valorosamente, ma tu le superi tutte”). Anche a Negrar e a Grezzana due vie portano il suo nome. Ad Alcenago, nei pressi di Monte Comun, una lapide, posta nel luogo della morte, la ricorda.  Il gruppo musicale “Regina Mab” di Verona, riadattando un testo di Paolo Ragno, ha realizzato e portato in giro una pièce teatrale e un disco che ha per titolo Col sole in fronte. La storia di Rita Rosani, donna coraggiosa. Egidio Meneghetti, grande antifascista veronese, già Rettore dell’ateneo patavino, ha composto, in suo onore, una lunga poesia in lingua veronese che ricorda il sacrificio della giovane.

Bibliografia: Sono molti i riferimenti soprattutto negli scritti sulla Resistenza veronese; dedicati a lei: Renato Sandri, Rosani Rita, in Dizionario della Resistenza, v. 2, a cura di Enzo Collotti [et al.], Torino, Einaudi, 2001, pp. 633-634; Giuseppe Franco Viviani, Rosani Rita, in Dizionario biografico dei Veronesi, a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 710; Luigi Gronich, Monte Comun, Verona, Associazione Volontari della Libertà, [2009]; Maurizio Zangarini, Storia della Resistenza veronese, Verona, Istituto veronese per la storia della resistenza e dell’età contemporanea, 2012, pp. 289-303; Livio Isaak Sirovich, “Non era una donna, era un bandito”: Rita Rosani, una ragazza in guerra, Caselle di Sommacampagna (Vr), Cierre, 2015; Paola Capriolo, Partigiano Rita, S. Dorligo della Valle (Ts), EL, 2016.

Giancarlo Volpato

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