Puglielli Vincenzo

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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Vincenzo Puglielli

Scultore, Vincenzo Puglielli nacque a Verona il 10 settembre 1912. Figlio di genitori abruzzesi che, nella piazza di San Zeno, gestivano la famosa cooperativa “Al Calmier”, frequentò un istituto di disegno tecnico dove fu visto dal maestro Silvio Albertini: questi ne individuò le capacità e la predisposizione e lo indirizzò all’Accademia di pittura e scultura “G. Cignaroli”. Nel contempo, il giovane Puglielli lavorava come scalpellino del marmo del quale apprese tutte le potenzialità. Appena ventenne partecipò ad una mostra a Venezia presso la galleria “Bevilacqua La Masa”: fu un’eccezione vista la giovane età, ma egli era veramente dotato. Si mise a lavorare con alacrità anche perché il suo grande amico Renato Birolli lo guidava e lo incitava: sarà questo grande artista che, negli anni tristi della solitudine e della disperazione di Puglielli (già conosciuto come il Cen), cercherà di rendergli la vita più sopportabile. Il soprannome divenne familiare a tutti tanto che cancellò il suo cognome nella gente. Lo scultore sanzenate coltivò amicizie profonde con tutti gli artisti suoi contemporanei: Berto Zampieri, Quirino Sacchetti (con il quale fu come fratello, soprattutto per il carattere e il temperamento estremamente squinternati di entrambi), Emo Marconi, Vittorio Bagattini, Mario Salazzari (v. questo Sito) e molti altri.
Sospeso tra i piaceri della vita e una certa apatia esistenziale, il Cen modellò sculture, sempre di dimensioni contenute con il gusto del sarcasmo di Marino Marini e produsse busti e volti di una bellezza rilevante: i valori della luce e del colore – come appare anche nei disegni – producevano effetti di vibrante plasticità e il raggrumarsi della materia disvelava fremiti di assoluta qualità: terrecotte, gessi patinati, bronzi, addirittura cementi (come quello della caserma del IV° Genieri di Bolzano) erano i materiali ch’egli usava con mano esperta e dai quali uscivano sapori di volta in volta drammatici o sereni: di smagliante bellezza sono, ancora oggi, alcune sculture bronzee e pieni di intensa partecipazione alcuni volti in terracotta. Egli era, anche, un abile maestro dello sbalzo.
La vita del Cen fu tormentata da una lunghissima permanenza militare che lo obbligò, dal 1932 al 1943, con presenze altalenanti e sparizioni lunghissime; ciononostante non mancò alle esposizioni, non lesinò mai la sua persona alle feste e alle riunioni artistiche: anche se quella divisa lo angustiò sino a paralizzarlo psicologicamente (in un famoso ritratto, lo eternò Birolli, nel 1945, con un viso triste e dolorosamente avvilito). Scontento, cercò rifugio a Milano: ma furono pochi giorni perché il Cen non poteva vivere al di fuori della cerchia cittadina veronese dove, ogni giorno, trascorreva lunghe ore a bere e, anche, a discutere d’arte. Egli non lasciò i compagni antifascisti che lottavano, ma si tenne sostanzialmente defilato: egli non era un uomo fatto per l’azione.
Aiutò Salazzari alla realizzazione dei famosi cavalli del ponte della Vittoria, a Verona; Pino Casarini, poi, lo chiamò con sé a Padova dove questi stava affrescando il salone basilicale del Bo, il palazzo storico dell’università e dove Puglielli avrebbe dovuto ideare e fondere dodici maniglie in bronzo: dopo la terza se ne andò, sconfitto da quel male interiore che lo rodeva.
Si sposò, in un giorno d’agosto del 1945 (abbinando la festa con quella di Quirino Sacchetti che convolava pure a nozze), nella sua basilica di San Zeno Maggiore con alcuni rituali prettamente laicali che lasciarono esterrefatti e increduli gli astanti e il sacerdote. Flora Manganotti, la moglie, fu una donna straordinaria, devota e cercò di difenderlo dalle incurie della vita ch’egli si cercava: ma l’esistenza ribelle del sanzenate non mutò.
La mano felice del Cen e le splendide realizzazioni – quando aveva voglia di lavorare – attiravano l’attenzione non solo degli amici artisti, ma anche del pubblico. Tra l’altro, Mario Boldrini (un commerciante di pelli di straordinario altruismo e di grande intelligenza) che ne fu il mentore, lo aiutò in tutti i modi e gli procurava anche buone commissioni: ma Puglielli tradiva se stesso nella solitudine e nella disperata visione della sua vita. Quando Fausto Bonvicini, il grande fonditore veronese, smetteva di lavorare, andava alla “Bottega del vino”: era quasi mattina e portava a casa il Cen. La moglie e gli amici cercavano di portarlo in giro, per distrarlo: sia come viaggi di lavoro, sia come maniera affinché Puglielli riacquistasse quella voglia che il suo genio reclamava. E quando qualcuno non lo portava con sé per distrarlo, egli si “parcheggiava” alla “Bottega del vino” in via Mazzini o “da Basilio” in Corso Santa Anastasia.
Lo volevano le gallerie poiché le sue sculture erano cercate: a qualcuna andò, ma per lo più il problema gli era indifferente. Tuttavia, fino al 1960 partecipò a qualche importante esposizione. Realizzò opere che rimangono solo nei cataloghi: di molte di esse si ignorano i luoghi e i proprietari; a parlare della sua bravura rimangono poche di esse e tanti giornali. Illustrò anche libri di letteratura, quali le poesie di Egidio Meneghetti (v. questo Sito), ad esempio, ma anche di molti altri autori. Forse, ma certamente in maniera involontaria, rovinò con le proprie mani – senza curarsi di dove andassero le sue sculture e i suoi disegni – il ricordo della sua opera (quella nota è di grande bellezza) così come lasciò andare la sua vita smodatamente e in un divenire sempre più immalinconito e triste.
Qualcuno scrisse di lui: “Il Cen, spirito veramente libero, fu un uomo povero, ricco solo di genio e di disponibilità (che è un altro modo per definire la povertà). Fu sregolato, ma non fu un eroe negativo nel senso brechtiano. Le sue opere furono accettate ed ammirate soprattutto dai poveri di spirito”. Aggiungiamo noi, invece, che tutta la produzione conosciuta di Puglielli appare un inno alla dolce figura del corpo: slanciate e vigorose alcune sue sculture, come Icaro e Caino e Abele, talvolta col segno del dolore. La morte improvvisa di Renato Birolli, nel 1959, lo gettò nello sconforto dal quale non si riprese più: se ne era andato l’artista che lo aveva curato e ammirato come un fratello.
Gli ultimi anni – nonostante il conforto degli amici che trepidarono sempre per lui e gli furono costantemente prossimi – furono tristi finché non lo colse la morte, nel suo luogo di San Zeno, il 15 gennaio 1966.
Verona non gli ha dedicato nulla e anche su di lui, come per molti amici artisti degli anni ’30 e ’40, s’impadronì dolorosamente quella damnatio memoriae che non si ostina a lasciarlo.

Bibliografia: Per il Cen (detto Vincenzo Puglielli), a cura di Giorgio Trevisan, Verona, Società Belle Arti, 1999; Giorgio Trevisan, Belli e dannati: sei artisti degli anni ’30 e ‘40, Caselle di Sommacampagna, Cierre, 2002, pp. 67-70; Giancarlo Volpato, Puglielli Vincenzo, detto Cen, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 675-676.

Giancarlo Volpato

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