Labia Maria

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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       Maria Labia

Cantante lirica, soprano, Maria Labia nacque a Verona il 14 febbraio 1880. Venne al mondo in una delle più nobili famiglie veneziane che, durante gli ultimi tre secoli, aveva annoverato importanti personaggi nella storia della Serenissima. Conti e ricchi patrizi, i Labia avevano posseduto il grande palazzo affacciato sul Canal Grande (oggi sede della RaiTv regionale), due ville a Postioma nel trevigiano, una a Fratta Polesine, una a Cologna Veneta. Il padre Gianfrancesco aveva sposato una donna, Cecilia Dabalà, di origini più umili, ma musicista, cantante e straordinaria maestra delle sue figlie. Ella, infatti, istruì Fausta, la primogenita, grande soprano e fu l’unica educatrice di Maria che dalla madre apprese il modo di cantare, la perfezione della voce, la capacità d’inserirsi all’interno delle scene e dell’opera. La madre curò pure la figlia Amalia, violinista di valore e, poi, moglie di Giuseppe Adami, scrittore, librettista di Riccardo Zandonai e Giacomo Puccini.
Avvenente come la sorella maggiore, Maria ebbe una carriera lunghissima che durò per oltre 35 anni, riscuotendo riconoscenze in tutto il mondo e ottenendo anche la Medaglia d’oro per le Arti. Maria, da sempre, sapeva sprigionare, dal canto e dalla persona, un fascino aristocratico che la pose in viva luce tra le personalità della sua epoca.
Rifiutò, quasi aprioristicamente, qualsiasi legame affettivo duraturo: probabilmente perché Fausta, proprio sul momento più lucido della sua fama, a causa del matrimonio vide frantumarsi la carriera. Ella visse sempre con la madre che l’accompagnò nelle lunghe tournées per il mondo.
Maria Labia iniziò la sua carriera in alcuni concerti a Verona, in età ancora assai giovanile; dopo fugaci apparizioni a Padova e a Milano, ella esordì trionfalmente in Russia; tra 1903 e 1904, fu a Odessa, dove incontrò il baritono Mattia Battistini cui rimase amica per tutta la vita, Riga, Kiev e infine a Mosca dove, in un concerto fu diretta da Pietro Mascagni.
Ella seguì, a volte, le orme della sorella Fausta, di dieci anni più vecchia di lei e ad essa fu sempre molto vicina pure nell’estrema libertà delle loro scelte. Nel 1905 cantò ne La Bohème di Puccini nel Teatro Reale di Stoccolma e si esibì anche con il re; in Svezia rimase quasi un anno portando sulle scene la Cavalleria rusticana, i Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e una serie di altri concerti.
Nel 1906 Maria Labia era a Berlino dove imperava Hans Gregor, l’innovatore dell’opera lirica novecentesca e assistette a Les contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach. Il maestro tedesco la lanciò nell’agone complicato e difficile della Germania, dove Maria Labia cantò con l’Imperatore e fu colei che si esibì al matrimonio della figlia di questi; imparò il tedesco e le scene furono sue; andò a Varsavia; conobbe Franz Lehar, Claude Debussy, Max Reinhardt e altri compositori che venivano ad ascoltare la sua voce cristallina, perfetta, senza sbavature; il maestro Egisto Tango, all’epoca il più celebre direttore d’orchestra italiano all’estero, la volle in alcune opere.
Nel 1908-1909 Maria Labia si trattenne negli Stati Uniti con opere di Giuseppe Verdi, di Amilcare Ponchielli; a New York e, poi, a Filadelfia cantò con Giovanni Zenatello (v. questo Sito).
Andò a Vienna, ancora a Stoccolma, a Copenaghen, a Budapest, di nuovo a Riga, ancora in Polonia (questa volta l’accompagnò nel canto nientemeno che il pianoforte suonato da Arthur Rubinstein), di nuovo in Russia. Ormai l’Europa e il mondo la conoscevano: era stata a Buenos Aires dove si era trattenuta per qualche mese. Non vi fu opera che Maria Labia non abbia interpretato: la sua voce scartava solamente quelle parti che avrebbero compromesso la resa: ma furono poche, tanto che ella stessa, nell’autobiografia, ebbe ragione di dire che quasi a nessun autore seppe fare torto. Anche Ferruccio Busoni la diresse in Polonia.
Finalmente, la diva applaudita dal mondo, debuttò alla Scala di Milano il 16 novembre 1912, quale protagonista della Salomé di Richard Strauss, che reinterpretò l’anno seguente all’Opéra di Parigi nientemeno che sotto la bacchetta dello stesso autore; poi andò a Praga dove fu diretta dal compositore Ermanno Wolf-Ferrari, a Mosca interpretò la Thaïs di Jules Massenet.
Ogniqualvolta poteva, ed era a Malcesine, si esibiva a Verona, molto spesso al Teatro Nuovo.
Nel 1916 rientrò in Italia e Maria Labia conobbe il carcere di Ancona dove fu detenuta dal maggio di quell’anno sino al giugno del 1917: era stata accusata di spionaggio, suscitato – senza alcuna ragione obiettiva – dalla frequentazione di molti personaggi anche importanti con i quali si era intrattenuta in Germania durante le numerose tournées soprattutto berlinesi. Venne ovviamente prosciolta.
Riprese la vita di sempre anche se l’artista ricorderà con grande dolore l’affronto che le era stato perpetrato. In prima europea, l’11 gennaio 1919, ridebuttò (com’ella ebbe a scrivere) a Roma ne Il tabarro, alla presenza del suo autore, Giacomo Puccini. Poi, e qui furono sue scelte per rinnovare se stessa e mettere alla prova la sua voce, ampliò il suo repertorio con Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, Madame Sans-Gêne di Umberto Giordano e il Falstaff, il cui direttore fu il severissimo Arturo Toscanini, che le era già stato maestro in altre occasioni. Andò nuovamente a Varsavia, poi a Odessa, ritornò a Riga, a Mosca. A 56 anni chiuse la carriera di cantante (e con lei se ne andò una delle voci femminili più belle, più calibrate, più vibranti del panorama lirico del Novecento europeo) con I quattro rusteghi di Ermanno Wolf-Ferrari che la volle dirigere per l’addio.
Non apparirà inopportuno ricordare che, nella sua lunga carriera, la contessa Labia, come amava autoironizzare su se stessa, creò personaggi particolari come, ad esempio, la Giorgetta de Il tabarro pucciniano e come la protagonista di Terra bassa di Eugen F. d’Albert, opera che eseguì per oltre 500 sere nei teatri di tutto il mondo, o la figura principale della Carmen di Georges Bizet.
Intanto, già a partire dal 1930 Maria Labia aveva aperto una scuola di canto; l’attività didattica la trovò felice e assai premurosa; dapprima fu a Varsavia dov’ella visse fino al 1934 per otto mesi l’anno, poi a Roma presso l’Accademia musicale S. Cecilia, dove anche la sorella Fausta aveva insegnato.
Già da anni, dal 1908, ella aveva fatto costruire una villa in Val di Sogno, forse il posto più incantevole di Malcesine: qui veniva sempre quand’era di ritorno dai viaggi. Anche lì ella continuava la scuola. Vicino a lei abitava il generale Alberto Pariani (v. questo Sito) che le fu amico e assai spesso sodale. Durante la seconda guerra, questa sua casa fu più volte messa a soqquadro, ma Maria Labia era donna di grande temperamento e non s’abbatté mai.
Il grande soprano aveva sempre messo per iscritto le sue giornate in qualsiasi parte del mondo ella fosse: così pubblicò un’autobiografia (riportata in bibliografia) dove – con grande spirito di obiettività e con un sorriso molto spesso ironico – ricostruì la sua carriera non dimenticando la sorella Fausta, l’apporto della madre e delle altre due sorelle che si presero cura di lei e della sua formazione musicale. Il libretto godette della prefazione di Arnaldo Fraccaroli e della postfazione di Renato Simoni.
Maria Labia si spense a Malcesine, dove riposa, il 10 febbraio 1953. Nel Castello del paese, che dà sul lago di Garda, una sala porta il suo nome.

Bibliografia: Maria Labia, Guardare indietro: che fatica! (Frammenti di memorie), Verona, Bettinelli, [1950]; Alberto Gajoni-Berti, Dizionario dei musicisti e cantanti veronesi (1400-1966), Verona, Acc. Filarmonica, 1966, p. 45; Paolo Padoan, Voci venete nel mondo. I cantanti lirici veneti nella storia dell’opera e del canto, Taglio di Po (Ro), Arti grafiche Diemme, 2001, pp. 82-86; Antonio Rostagno, Labia, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 62, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana, 2004, pp. 789-791; Giovanni Villani, Labia Maria, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 466-467.

Giancarlo Volpato

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