Puntata 28 – “Realtà e fantasia – vero/falso”.

…a cura di Laura Schram PighiPoesia

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   Puntata 28 – “Realtà e fantasia – vero/falso”.

  Attorno all’idea di natura, paese e paesaggio nella letteratura italiana, esiste tutta una critica anche recente nella quale perdersi. Basta leggere di Giorgio Bertone, Lo sguardo escluso. L’idea di paesaggio nella letteratura occidentale (Novara, Interlinea, 1999).
Io, molti anni fa, mi ci sono persa parecchie volte, finché non ho letto di Charles Fourier, la Lezione di geografia (a cura di M. Quaini, Genova, Herodote, 1982). Questa opera notissima alla cultura italiana del primo Ottocento, mi suggeriva di cercare il paesaggio naturale nella “immaginazione del particolare”, nei singoli elementi, fiori, alberi, e animali, senza dimenticare il paesaggio urbano.
La natura come paesaggio, non si trovava in quella studiata dalla scienza, ma in quella immaginata dai letterati, che non ha molto a che fare con la scienza stessa. Là le narrazioni orientate dalle passioni dell’autore deformavano la realtà vera per introdurre il lettore in un mondo non reale. Infatti in un racconto che descrive una natura immaginata, la rottura delle dimensioni reali delle cose, come dello spazio o del tempo, crea un effetto di stupore o di ridicolo che apre al lettore un mondo immaginario dove tutto è possibile. Enrico Ghidetti in Notturno italiano (Roma, Editori Riuniti 1994) presenta una ricca antologia di racconti fantastici dell’Ottocento in un quadro preciso del clima culturale nel quale essi apparvero. Ma non ricorda il mondo delle favole.
La favolistica ha una tradizione antichissima (da Fedro ad Esopo a La Fontaine) e ne troviamo i documenti in tutte le culture europee, ma si deve all’estetica romantica se anche in Italia si cominciò a cercare il bello in ciò che noi immaginiamo. Le favole dei fratelli Grimm (scritte tra il 1812 e il ’15) furono una prima raccolta di racconti del folklore germanico e diedero origine anche in Italia ad una corrente di studi innovativi, aprendo le porte all’irruzione del fantastico in una società cresciuta sul mito della ragione come sola fonte di verità.
Per tutto il secolo si susseguirono anche in Italia le edizioni di favole, dai numerosi volumi di quelle siciliane di Giuseppe Pitré, fino ai tre tomi delle Favole e racconti veronesi di Ettore Scipione Righi (1833-1894), di recente ottimamente commentate e tradotte da valorosi studiosi veronesi (Vicenza, Colla, 2004). Ogni regione italiana per tutto l’Ottocento portò alla luce un proprio tesoro di favole, che fu a lungo accantonato, per essere  riscoperto solo a fine Novecento da Italo Calvino, il massimo “esploratore” nel mondo del fantastico.
Per avere una idea di quanto vasta e complessa sia la letteratura dell’immaginario, vi suggerisco di leggere un utilissimo manuale di Silvia Albertazzi che si propone di fare  Il punto sulla Letteratura fantastica (Laterza 1993).
Ma dove ci condurrà l’“immaginazione del particolare” indicata da Fourier?
Il primo a porsi questa domanda fu Angelo De Goubernatis (1840-1913 definito da Internet come “scrittore sconosciuto”) che scrisse in francese due volumi sulla Mythologie des plantes ou les légendes du règne végetale (1878-1882) e mise in circolo un linguaggio e una simbologia vegetale piena di simboli e misteri che veniva dal Medio Evo e arriverà fino ai giorni nostri. Una traccia evidente si trova in Le meraviglie del duemila di Emilio Salgari e in tutta la sua botanica immaginaria fatta di piante inesistenti che sono come afferma Pietro Citati nient’altro che  “strepitose etichette verbali”. Un altro specialista di Salgari, Giulio Nascimbeni, trova nelle pagine salgariane il “linguaggio di una piccola epica che non bada né deve badare al rigore scientifico: quello che conta non è tanto l’oggetto che descrive, ma la capacità di accendere intorno ad una parola una sorta di alone lunare.
La zoologia fantastica è ancora più massicciamente presente nelle pagine della prosa romantica a tutti i livelli di letterarietà specialmente nelle letture per l’infanzia. Vi troverete tanti formichini, pulcini e topolini ma in un nuovo ruolo rispetto ai loro antenati, saranno i protagonisti del racconto, una voce narrante che presenta un mondo visto dai margini, dalla parte degli esclusi. L’esempio più noto a tutti si trova nel corteo di animali come il Corvo, la Civetta, il Grillo parlante e nei quattro conigli neri, assieme ad un migliaio di picchi, e la lumaca domestica, e la balena e gli scolari asinelli tra i quali l’immortale Pinocchio.
Questi animali sono piuttosto parenti di quelli di Esopo, e di La Fontaine, e si ritrovano anche nelle favole di Madame D’Aulnoy che Collodi aveva da poco tradotte quando pensò al suo burattino, ma per tutto l’Ottocento ne troviamo sparsi in racconti e novelle per grandi, anche numerosi altri, benché di una razza diversa, ben più pericolosa, perché servivano per la satira dei letterati o dei politici.
L’Ottocento si apre con il capolavoro di questo genere di narrazione, anche se in sestine, il poema satirico di Gianbattista Casti (1724-1803) Gli animali parlanti (1802). G. Muresu, in una preziosa introduzione, ci presenta l’abate Casti come uno degli intellettuali più conosciuti del suo tempo, amico di Casanova, Metastasio e Da Ponte, pure lui grande viaggiatore, autore di notevolissima fortuna editoriale in tutta Europa. La parodia della letteratura del suo tempo, costituisce la novità del capolavoro del Casti. Ugo Foscolo gli dedicò un lungo saggio per esaltarne la lotta contro la tirannide, la guerra, e il clericalesimo e anche Giacomo Leopardi (1798-1837) lo ammirò per le stesse ragioni giudicandolo come un precursore nel suo stesso disprezzo verso “il secol superbo e sciocco”. Leopardi dedicò al Casti la traduzione di una opera attribuita ad Omero, la Guerra dei topi e delle rane. Il Discorso sopra la Batracomiomachia introdotto da un Discorso: è una feroce parodia dei generi letterari e dell’Iliade e raggiunge il massimo della comicità nella traduzione dei nomi degli animali, intere armate di topi e di rane che combattono guerre continue e inutili.
Al Riso leopardiano è stato dedicato qualche anno fa un  importante congresso internazionale
(Firenze,  Olschki 1998) che svela nel poeta dei Canti, un insospettato scrittore umorista tra i maggiori del secolo, e  un narratore di favole allegoriche frutto della sua meravigliosa immaginazione.
La fantasia che crea i robot, gli alieni o gli animali fantastici, dimostra di essere quella forza che letteratura e scienza hanno in comune, senza la quale non avrebbero la stessa identica “attitudine a costruire modelli destinati ad essere messi in crisi, una istanza progettuale, non statica, ma perennemente in corso di precisazione” (Claudio Milanini Calvino & il comico, in L’umorismo cosmi comico,  Milano, Marcos, 1994).

Laura Schram Pighi

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