Resi Giuseppe

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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Giuseppe Resi

Pittore, Giuseppe Resi nacque a Ronco all’Adige il 16 gennaio 1904. Sin dall’infanzia egli fu attratto dalla pittura e da tutto ciò che avesse a che fare con il disegno. Frequentò, quindi, la Scuola di disegno a San Giovanni Lupatoto ottenendo ben presto premi e lodi per la sua bravura. Dal 1921 al 1927 fu allievo dell’Accademia “G. Cignaroli” di Verona dov’ebbe maestri affermati e alquanto innovativi che non sempre egli accolse, più tardi, nell’esplicazione della sua arte. Andò pure all’Accademia d’arte di Venezia, probabilmente in cerca di qualcosa di diverso per dare – alla propria inclinazione – un senso nuovo e diverso: vi rimase per breve tempo. Passò, infine, alla scuola di Gaetano Miolato, pittore veronese dove, finalmente, il giovane Resi sembrò cogliere il senso del suo dipingere. Il maestro – così apparve per lui il Miolato – lo coinvolse, nel 1933, nella decorazione ad affresco della chiesa parrocchiale di Montecchio di Negrar. La strada di Giuseppe Resi era segnata: la pittura religiosa sarà – per molti anni – l’unica sua professione e poi, anche se egli dedicò al paesaggio e alla figura su cavalletto qualche attenzione negli anni più tardi, lo accompagnerà per tutta la vita.
Egli visse la Verona artistica del primo dopoguerra: conobbe tutti i grandi dell’epoca e guardò, certamente con curiosità ed attenzione, le loro bellissime realizzazioni; ma le opere di Casorati, dei Trentini, di Girelli, di Zamboni e dei molti che resero famosa e grande l’arte pittorica nella città scaligera sino ai primi anni della seconda decade novecentesca furono solamente oggetto d’attenzione e – ne siamo certi – anche di curioso ed appassionato insegnamento. Resi si legò solamente con pochi di loro: con Adolfo Mattielli, importante pittore che dedicò molto all’arte sacra, con Carlo Donati (certamente il più seguito dal nostro artista per l’affascinante ritorno all’antico), con Alessandro Zenatello.
L’esperienza con Miolato gli aprì definitivamente il percorso. Da allora – e quella del 1933, a Montecchio di Negrar, fu la prima opera conosciuta – per il ronchesano la strada era definitivamente segnata.
Le chiese parrocchiali veronesi di Roncanova, Palù, poi Macaccari accolsero – dal 1934 in poi – sue opere: affreschi, facciate, catini absidali, medaglie a soffitto, lunghe e larghe pale. Chiese, santuari, complessi religiosi divennero i luoghi del suo lavoro artistico. Uno degli impegni più pesanti e che gli procurò una certa fama e lo sdoganò – se così possiamo dire – dalla misconoscenza fu l’impegno biennale (1937-1939) presso la chiesa settecentesca di Casteldario in diocesi mantovana: affreschi, vetrate, tondi a soffitto, retrofacciate, lunette e altari lo lanciarono nell’agone “ecclesiastico” anche e grazie alla capacità di sapere utilizzare con maestria le differenti tecniche: affresco, tempera, olio, vetro.
Moltissime parrocchiali nella diocesi veronese accolsero sue opere, ma egli non disdegnò affatto di uscire dal ristretto cerchio del territorio; per cui viaggiò in Veneto, in Emilia Romagna, in Lombardia, nel Trentino, a Roma. Dipinse alcune chiese negli ospedali. Furono 48 le sedi religiose della diocesi di Verona nelle quali Giuseppe Resi lasciò qualche sua opere e 22 quelle nelle regioni italiane; le chiese e i conventi delle Suore Orsoline se lo contesero.
Uomo solitario, poco propenso per il carattere silenzioso ch’egli portò sempre con sé, Giuseppe Resi rifuggiva dagli incontri; raramente andava a sollecitare il suo lavoro e ancor più raramente amava discuterne con critici e giornalisti.
Nel 1939 si trasferì a San Pietro di Lavagno: vi rimarrà per molto tempo. Nella sua casa la presenza della moglie, Laura Contri, aveva una forte influenza. Maestra elementare, soggetta a trasferimenti, ella portò sempre con sé quest’uomo silenzioso e pressoché preso dalla pittura. Nel 1943 Resì realizzò nella parrocchiale della sua nuova residenza, un’opera (considerata tra le sue migliori) di grandi dimensioni (mt. 9 x 6) del Martirio di S. Pietro cui non furono sconosciute le forme michelangiolesche ch’egli certamente conobbe attraverso le fotografie.
Sempre nel 1943, per la prima volta nella sua vita, il pittore partecipò ad una mostra d’arte sacra. Fu invitato a Bergamo dove portò la tela di un Sacro Cuore ch’egli aveva eseguito per una chiesa e che poi il parroco non aveva voluto utilizzare. L’opera suscitò una forte diatriba tra i componenti la commissione e, alla fine, fu scartata perché di stampo tradizionale. Quella tela, ora, fa bella mostra di sé sulla sommità della Scala Santa del santuario della Madonna della Corona, uno dei luoghi più cari alla tradizione religiosa dei veronesi. Nel 1948 venne proposto all’artista un importantissimo lavoro consistente in un vasto ciclo di pitture a San Paolo del Brasile per conto dei Salesiani. Era la consacrazione straordinaria dell’attività di Resi; ma egli rifiutò per non allontanarsi dalla famiglia, per non dovere affrontare un viaggio così impegnativo. L’uomo, dolce e affettuoso ma solitario e probabilmente appagato nella sua ricerca interiore, prevalse – una volta ancora – sulla sua attività.
La sua lunga permanenza a San Pietro di Lavagno coincise, tuttavia, con un innovativo cambiamento delle sue abitudini. Finalmente iniziò l’attività di pittore da cavalletto: figure, paesaggi, luoghi. E dimostrò, anche qui, la sua innata bravura, il grande tatto nel cogliere le bellezze, le sfumature, i mille colori della vita e dell’ambiente che gli stavano intorno. Bellissimi furono gli scorci delle campagne, le contrade di quel suo paese di residenza come saranno quelle intorno a San Zeno di Montagna e in qualche luogo della Lessinia o i poetici tramonti sul Garda; dolcissime le figure, le tele e gli oli delle sue figlie, dei volti che ritrasse. E la sua casa di Lavagno, in parte all’interno di una bella villa padronale, divenne meta di sacerdoti (che furono i suoi datori di lavoro), di critici: egli non sarebbe andato da loro, perché uomo schivo e assolutamente lontano dal sollecitare attenzione alle sue opere. Preferiva non presenziare neppure quando, terminato il lavoro nelle chiese, avveniva l’inaugurazione di quanto era andato realizzando. I suoi paesaggi furono esposti – per una sola settimana com’egli volle – a Verona nel 1958: l’autore non andò neppure per non mettersi in mostra.
Intanto, da San Pietro la famiglia Resi si trasferì a Vago di Lavagno nel 1954 dove rimase per qualche anno; poi si portò definitivamente a Verona, in quel Borgo Trento che stava divenendo un quartiere importante nella formazione della città; vi erano ancora gli orti, le piccole case, gli ambienti antichi: Resi li portò tutti nelle sue tele come amò immensamente le case di sasso, le strutture rustiche, la laboriosità manuale dell’uomo. Alle grandi tele e agli affreschi delle chiese assommò l’attività da cavalletto: la scoperta tardiva lo aveva affascinato.
Nell’ottobre del 1967 motivi di salute bloccarono bruscamente e definitivamente la sua attività e cambiarono la qualità della sua vita; le ultime sue opere datano esattamente da quell’anno e furono quelle nella chiesa, di recente costruzione del Porto S. Pancrazio, un quartiere veronese.
Giuseppe Resi se ne andò il 18 aprile 1974 nel silenzio, com’era vissuto. Nell’ottobre dello stesso anno la comunità di Vago volle tributargli una mostra con alcuni cartoni delle sue opere. Il comune di Lavagno gli dedicò una via e così fece Ronco all’Adige. Il suo nome non passò inosservato: lo ricordarono coloro che si dedicarono ai luoghi delle sue residenze e chi si occupò della pittura nella Verona novecentesca. Nel 1999 presso il Museo Miniscalchi-Erizzo, in Verona, gli fu dedicata una mostra e un suo ritratto apparve, anche, nel 2018 a Soave in occasione della collettiva “Salviamo il ‘900”. L’elenco delle opere, con la successione cronologica, è ritrovabile nell’articolo della figlia Lidia all’interno del volume dalla stessa curato (v. Bibliografia).

Bibliografia: Anna Serra, Giuseppe Resi, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, v. II, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, Banca Popolare di Verona, 1986, pp. 441-442; Umberto G. Tessari, Giuseppe Resi, in Lavagno: una comunità e un territorio attraverso i secoli, a cura di Giancarlo Volpato, Lavagno, Comune di Lavagno, 1988, pp. 304-308; Lidia Resi, Gli affreschi di Giuseppe Resi: lettura delle immagini, in Il santuario della Beata Vergine dello Staffalo dei mori o dei tedeschi, a cura di Roberto Facci-Francesca Zerman, Verona, Studio Forma, 1995, pp. 101-107 e 111-115; Giuseppe Resi pittore (1904-1974), a cura di Renzo Margonari e Lidia Resi, Vago di Lavagno, “La Grafica”, 1999; Daniela Zumiani, Resi Giuseppe, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX),  a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 692-693; Angelo De Rossi, Le opere pittoriche de la Cesa Granda, in La Cesa Granda ovvero la parrocchiale di San Giovanni Lupatoto, a cura di Roberto Facci, San Giovanni Lupatoto, Comune di San Giovanni Lupatoto, 2010; Vera Meneguzzo, Il quadro dimenticato di Giuseppe Resi merita un restauro con la sua chiesetta [Cancello di Montorio Veronese], “L’Arena, 20 maggio 2014, p. 49.

Giancarlo Volpato

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