Jenna Lina Arianna

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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Lina Arianna Jenna

Scultrice, poetessa, Lina Jenna nacque a Venezia il 17 dicembre 1886 da una ricca famiglia d’origine ebraica (il padre Riccardo e la madre Ida Orefici) che, da Rovigo, si era spostata brevemente in laguna per approdare definitivamente a Verona nel maggio 1887. Qui visse sempre la primogenita che ebbe due fratelli: Ruggero, ottimo combattente nella prima guerra mondiale e poi morto ad Auschwitz e Marcella, che fu l’unica a salvarsi e fu la custode delle memorie e dei ricordi della tormentata famiglia.
Ottenuto il diploma magistrale, Lina Jenna frequentò i corsi di scultura all’Accademia Cignaroli. Contrasse qui le amicizie che condivise per buona parte della sua vita: erano gli anni del grande splendore dell’arte veronese e la giovane artista ne assorbì il vigore e, grazie alle sue doti, piano piano si impose – unica donna – in una larga messe di uomini: Felice Casorati, Eugenio Prati che fu indubbiamente il suo vero mentore e da cui apprese i segreti dell’arte scultorea, Ise Lebrecht, Giuseppe Zancolli, Ettore Beraldini, Guido Trentini, Mario Cavaglieri e altri.
Nello stesso tempo, si cimentava nella poesia che coltivò sempre. Furono gli anni straordinari in cui gli artisti veronesi – letterati, scultori, pittori – si riunivano: rimasero memorabili i loro incontri e vi partecipavano Sandro Baganzani, Carlo Umerto Zerbinati, Lionello Fiumi (che fu, forse, l’amico più fraterno). Nella sua bellissima casa di Via Emilei la Jenna teneva dei salotti culturali importanti e fortemente seguiti: vi partecipava, molto spesso, Veniero D’Annunzio, il figlio del vate.
Quando, nel 1913, pubblicò i suoi primi versi in un opuscolo per le nozze Forti-Lombroso, al suo nome Lina aggiunse quello di Arianna, in omaggio al mito che questa donna rappresentava ed ella si firmò sempre con entrambi (dell’aleatorietà che portava con sé quel secondo nome, ella nutrì la sua vita). Partecipò a tutti gli eventi che la storia culturale di Verona registrò in quegli anni ed ella, assieme a Clelia Lambranzi, la moglie del mitico direttore dell’ospedale psichiatrico, rappresentava quasi da sola il mondo femminile; la si trovava alle letture pubbliche alla Gran Guardia, alle feste di beneficienza della Croce Rossa, alle manifestazioni del Gruppo Veronese per la Rinascita dell’Arte, istituito nel 1929, all’inaugurazione della sede dell’Istituto di Cultura fascista nel 1930, ai festeggiamenti dei carnevali e del centenario di Cangrande.
Esordì in una mostra, a fianco di Casorati, Lebrecht, Zancolli e Cavaglieri, nel 1913 a Napoli assieme a tutto il gruppo d’avanguardia veronese; e questa cerchia l’accolse con calore. Nel 1921 fu alla XXXVII Esposizione d’arte della Società di Belle Arti di Verona, nel 1930 alla Rassegna femminile al castello Sforzesco di Milano. La Jenna non trascurò nessun evento: per questo si trasformò in Cenerentola, in Samaritana da Polenta, indossò le maschere veronesi, non mancò di partecipare a festeggiamenti. Non è escluso che la ricca e generosa borghese ebrea abbia aiutato in qualche modo gli squattrinati artisti del suo piccolo, ma felice mondo veronese. Partecipò, sempre e comunque, alla vita artistica fino alla metà degli anni Trenta. Lavorava all’interno del suo palazzo.
Andò ad abitare con Italo Donatelli, un ingegnere molto noto nella città per la sua riconosciuta bravura: con il professionista rimase qualche anno e nella casa di lui ella lasciò buona parte del proprio archivio personale fatto di poesie, di lettere e di qualche opera scultorea. Tutto ritornò alla sorella Marcella qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Dal 1933 al 1936 s’iscrisse al Partito Nazionale Fascista: una scelta difficilmente spiegabile ma che forse va capita nella volontà della Jenna di non sentirsi solo ebrea e, perciò, emarginata. Tuttavia, proprio nel 1936, probabilmente presaga di quanto stava maturando nelle scelte del regime, compose una breve poesia straziante i cui versi farebbero pensare, invece, all’imminenza dell’arresto: “Non compiangere, lettore,/il mio dolore:/- la mia passione -/perché, malgrado tutto, io adoro la vita/anche nell’infinita sofferenza: anche nell’Esasperazione/che, domani, può maledire/ciò per cui – ieri – gioiva./Felice di sentire che, soffrendo – sin quasi a morire-/io sono, malgrado tutto, così viva.”. Due anni dopo, nel 1938, s’abbatteva sull’Italia la famigerata legge razziale e per l’etnia ebraica la sorte fu segnata.
Lina Arianna Jenna si ritirò nella sua casa, visse con il padre del quale fu la custode indefessa e amorevole; non uscì per molto tempo.
Quella donna che aveva dimostrato una vitalità calda e generosa, che si era spesa per l’arte e non aveva mai disdegnato di vivere con artisti e letterati, cambiò totalmente la propria esistenza. Solitaria, del tutto avulsa da quanto accadeva, accudì il padre ammalato con un affetto senza uguali dopo che la madre se ne era andata nel 1930. Volle rimanere a Verona nel suo palazzo di famiglia nonostante la promulgazione delle leggi razziali e l’inizio della guerra; a nulla valsero i molti consigli di allontanarsi dal prevedibile pericolo e a chi la sollecitava “rispondeva con una stupefacente incredulità del pericolo”. Il padre morì il 10 marzo del 1943 e Lina Arianna decise, una volta ancora, di rimanere: apparve una scelta difficilmente capibile. Infatti, di lì a poco, il 2 giugno di quell’anno, fu arrestata dai tedeschi. Fu reclusa, per due giorni, al forte di San Leonardo e poi venne trasferita a Fossoli dove rimase fino al 26 giugno. Da qui fu deportata nel campo di sterminio di Auschwitz insieme al fratello Ruggero (che era stato arrestato negli stessi giorni a S. Zeno di Montagna) e che perì più tardi.
Nei primi giorni del marzo 1945 Lina Arianna fu vista ancora viva nel piccolo campo di Bergdorf, nei pressi del famigerato luogo di sterminio, e lì morì il 20 marzo 1945: erano i giorni dell’arrivo degli alleati.
La sorella Marcella, ch’era fuggita all’estero, s’incaricò del recupero di quanto fu possibile di entrambi i fratelli. Lionello Fiumi, grazie alla disponibilità del Donatelli, pubblicò le poesie di Lina Arianna Jenna nel 1954 (Liriche, Bergamo, Collana di Misura, con una prefazione di L. Fiumi, La poetessa assassinata, una nota bibliografica ed un ritratto dell’autrice).
Verona le ha dedicato una via. Ogni tanto, il ricordo della sua vita e della sua tragica fine ritorna negli interessi della gente.
Per chi desidera conoscere due poesie di L. A. Jenna può farlo leggendole nell’Angolo della Poesia di questo stesso Sito cliccando qui >>> POESIE 

Bibliografia: Lionello Fiumi, La poetessa assassinata, in Id., Li ho veduti così. Figure ed episodi nella Verona della mia adolescenza, Verona, Vita Veronese, 1952, pp. 57-64; Lorenzo Montano, Ricordo di Lina Arianna Jenna, “Bollettino della Società Letteraria di Verona”, 25-26 (1953-54), pp. 10-11; Gian Paolo Marchi, Verona 1914: ut pictura poesis, in Felice Casorati a Verona, a cura di Sergio Marinelli, Milano, Scheiwiller, 1986, pp. 127-132; L. A. Jenna, Campioni senza valore, a cura di A. Contò e S. Marinelli, Verona, Colpo di Fulmine, 1996; Liliana Picciotto, Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall’Italia 1943-1945, Milano, Mursia, 2002, pp. 66-71; Agostino Contò, Jenna Lina Arianna, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 462-463.

Giancarlo Volpato

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