Intervista a Giancarlo Volpato per la pubblicazione del volume “Il comboniano Antonio Maria Roveggio” a cura di Graziano M. Cobelli… – 32

…a cura di Graziano M. CobelliNovità

Cari Amici de “ilcondominionews”,
tutti noi conosciamo il valore
culturale a 360° del prof. Giancarlo Volpato, tra le tante cose, anche pubblicista in questo stesso Sito di cui sono Editore, e la straordinaria qualità delle sue molte e
importanti pubblicazioni effettuate in tanti anni di instancabile lavoro di ricerca e studio. Sono qui a depositare questi miei semplici e spontanei pensieri, perché solo poco tempo fa, esattamente l’11 Dicembre 2015, ha presentato al pubblico una sua Opera di immenso valore socio-culturale:

Antonio M. Roveggio: instancabile erede di Comboni (1858-1902)”,
Verona, Casa Editrice Mazziana, 2015, 796 p., 16 c. di tav., 21 cm.

Antonio M. Roveggio

un volume di poco meno di 800 pagine che so per certo quanto lo ha impegnato nella ricerca, per raccontare l’esistenza, brevissima ma intensa, di un grande personaggio del mondo cattolico e non solo. Io ho già questo libro ma non ho ancora iniziato a leggerlo, penso che lo farò prestissimo, prima però, ho sentito forte il desiderio di porre qualche domanda all’Autore, soprattutto sulle modalità delle ricerche e sulle eventuali difficoltà incontrate e condividere con voi l’intervista che segue:

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Può riassumerci brevemente chi era Roveggio?Giancarlo-Volpato

Antonio Maria Roveggio nacque a Porcetti (oggi San Sebastiano) di Cologna Veneta, il 23 novembre 1858. Appartenendo alla diocesi di Vicenza, egli studiò nel seminario di quella città e fu ordinato sacerdote da San Giovanni Antonio Farina, suo vescovo, nel marzo 1884. Affascinato dal messaggio di Daniele Comboni, volle entrare tra i missionari e fu a Verona il 4 dicembre dello stesso anno. Qui fece il noviziato che si protrasse per tre anni a causa dell’impossibilità di recarsi in Africa centrale per l’occupazione del Sudan da parte del Mahdi che aveva già deportato padri missionari, sorelle suore e fratelli laici. Per la loro liberazione il giovane sacerdote Roveggio offrì a Dio la propria vita. Lasciò Verona il 30 novembre 1887. Fu al Cairo, ad Helouan, El Obeid e in luoghi appena a nord del Sudan, dove era impossibile entrare. Era vescovo e vicario apostolico dell’Africa Centrale Mons. Francesco Sogaro, stimmatino e già parroco di S. Giorgio in Braida. Roveggio fu il padre spirituale, l’animatore, l’uomo della riconciliazione, il vero grande “direttore” della prima colonia antischiavista che il mondo ricordi. Riscattò i bambini e le donne con gli uomini, dette loro da lavorare, fondò le scuole, volle le suore accanto a sé. Quando Sogaro fu costretto a dimettersi su pressione di Propaganda Fide a causa delle difficoltà che aveva procurato tra i missionari e il suo quasi rifiuto di avere delle suore, egli fu scelto quale successore, nonostante le sue titubanze. Divenne vescovo e vicario apostolico della più grande diocesi cattolica del mondo di allora; fu ordinato a Verona nella domenica in Albis del 1895: non aveva ancora 37 anni. Da quel momento cominciò a girare per l’Italia e per l’Europa: per trovare fondi per le missioni, per fare capire all’Impero austro-ungarico – che proteggeva le missioni pure non avendo interessi coloniali – che anche un italiano poteva essere un buon pastore di anime. Andò in Austria, in Germania, in Francia: nei luoghi ove esistevano le associazioni che aiutavano la sopravvivenza delle missioni.
Costruì, anche con le proprie mani, la piccola cattedrale di Assuan dove fu costretto sino alla distruzione della Mahdìa nel 1896 con qualche coda sino al 1898; fu un pellegrino costante e indefesso tra le stazioni ove erano i padri e/o le suore. All’indomani della caduta del fondamentalismo arabo del Mahdi, andò in Sudan – come aveva fatto Comboni – e qui fondò alcune stazioni. Fece due viaggi sul Nilo per spingersi più a sud: fu osteggiato – larvatamente, ma senza pietà – dagli inglesi che approfittarono della sua bontà, del suo altruismo, del suo non credere mai nel male degli altri. Fu preso in giro – forse se ne era accorto – da tutti i britannici e da qualche austriaco. Da Khartoum, il 2 maggio 1902, prese il treno per il Cairo con l’intenzione di venire in Europa a perorare la causa missionaria. Distrutto dalla malattia e, assai più, dal deperimento fisico, morì in treno a Berber, in Sudan, sul far della sera di quel 2 maggio 1902: non aveva 44 anni.

Quali furono le attività più importanti da ricordare?

Come sacerdote ebbe due principi fondamentali: “noi siamo i fratelli di tutti”, indipendentemente dalla religione, dal colore della pelle, dalla condizione sociale. Ed egli applicò alla lettera. Il secondo fondamento: “noi dobbiamo vedere, nel prossimo, un uomo, una donna, un bambino; dopo, se si potrà, parleremo loro della nostra religione, del nostro Dio; prima dobbiamo riscattare la persona, renderla sociale, amica, e immessa nel ruolo che spetta: gli uomini lavorano, le donne imparano ad amministrare la casa e custodire i loro figli, i bambini devono andare a scuola”. Applicò alla lettera: aprì una farmacia, una piccola clinica, studiò un po’ di medicina. Lavorò con i suoi schiavi riscattati, pagandoli ogni sabato; pregò le suore di vestirsi da donne normali per diventare le maestre di quei bimbi (poiché gli inglesi, che comandavano da colonizzatori, non volevano suore cattoliche). La sua colonia antischiavista fu visitata da re (l’imperatrice d’Austria Sissi, tra gli altri) ed emiri arabi islamici che non lesinarono aiuti economici per l’ottimo lavoro. Frenò la probabile scissione dei missionari (che avvenne negli anni ’20 e durò sino al 1957), dette dignità alla congregazione delle Pie Madri della Nigrizia.

Quale ruolo ha avuto per i Comboniani e per le Comboniane?

Egli fu il primo sacerdote e il primo vicario apostolico della Congregazione dei Figli del Sacro Cuore di Gesù (conosciuti come Comboniani) e – con la grazia che tutti gli riconobbero – riuscì a conciliare l’attività di questi con i missionari precedenti che non vollero entrare nella Congregazione: in questo fu dolce, ma fermo. Egli fu il vicario-fratello di tutti, indistintamente. Anche le suore non avevano, prima, una Congregazione: fu durante il suo mandato di vescovo che essa nacque. Tutte le Pie Madri della Nigrizia riconoscono in lui colui che le amò, le fece ristrutturare, credette profondamente nel loro ruolo, nella loro profonda pietà e nell’altruismo verso chi non aveva nulla. Non tutti i Comboniani, invece, conoscono realmente Roveggio e molti non sanno molto di ciò che fece.

Perché si è occupato di Roveggio? Ha avuto ricompense? 

Il postulatore dei Figli del Sacro Cuore (colui che conduce le cause di canonizzazione) me lo chiese allo scopo di avere una biografia scientifica del missionario. Non ho incassato neppure un euro.

Come si è svolto il lavoro di ricerca?

Ho affiancato, per circa tre anni, il mio impegno di docente universitario con le ricerche in corso, con un’attività piuttosto indefessa, dedicata allo scopo: in archivi della Congregazione, di parrocchie, curie, seminario di Vicenza, Propaganda Fide, archivi austriaci e inglesi, scritti personali (lettere alla famiglia e ai sacerdoti, a coloro che aiutavano le missioni), biblioteche di ogni ordine e grado, diari (il suo personale e quella della colonia antischiavista della Gezirah, Cairo), letture di articoli e saggi, lettura della Positio che durò tra 1952 e 1954 (in quel periodo la causa di beatificazione, Positio nel gergo cattolico, era già avviata con le testimonianze di chi lo conobbe: poi si fermò, stranamente). Ho cercato di non trascurare nessuna informazione.

Vi è qualche insegnamento da trarre?

Ignoro se sia possibile. So assai bene, però, che dopo la sua morte anche gli inglesi, che l’avevano osteggiato, riconobbero la sua opera e la sua dedizione per la povera gente perché egli sapeva amare, perdonare e credere negli altri. Quando, due anni dopo, il suo successore trasportò le spoglie di Roveggio da Berber ad Assuan, lungo le strade (lo mostrano le fotografie) per chilometri i locali gridavano Abuna Antùn (Padre Antonio); oggi, in alcune tribù (dov’egli fu) il 2 maggio c’è una festa in suo onore: non importa se cristiani o islamici o animisti.

Graziano M. Cobelli

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