9. Il ponte

…a cura di Aldo Ridolfi

Poesia

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Ponte di Veja

Giuseppe Luigi Pellegrini, Abate e Conte, in escursione al Ponte di Veja

     9.  Il ponte

   Ma, e il ponte? Dov’è finita la ragione prima per la quale, sul far dell’alba, l’abate, la contessa, il figlioletto e la servitù hanno preso la via delle colline?
Non sarà che, preso dalle attenzioni per Dimice, il buon Pellegrini se ne sia dimenticato?
Certamente no, però bisogna ammettere che se la cava con una certa fretta. Egli costringe la descrizione del ponte tra l’episodio di Giare e la malsana idea di penetrare in una delle grotte che si aprono alla base dell’arco. Poi la riprende ragionando se trattasi di opera d’arte o capolavoro della natura. Insomma, il ponte, opera fantastica e colossale, dietro le quinte é presente dal primo all’ultimo verso, la sua fama e la sua mole incombono in ogni momento, ma senza diventare il protagonista assoluto del racconto. Ad ogni modo, a pagina 52, improvvisamente, eccolo comparire:

«Ma quale omai mi si discopre nova
di nove rupi varia scena, e quanta
mi sorge innanzi di ben quadri massi
altera mole, che gli opposti giunge
selvaggi monti, ed a grand’arco incurva
i fianchi alpini, ed il petroso dorso!
Veja sì è questa: è questo certo il Ponte»

    Già l’esclamazione sottolinea la sorpresa davanti ad una simile opera di cui aveva sentito a lungo parlare, ma che mai aveva ammirato di persona. Qualche verso più sotto, sinceramente affascinato dalle dimensioni del ponte, ma anche allargando la descrizione alla sceneggiatura che lo circonda, prosegue:

«Erge il frontal di candido macigno
giustamente nel mezzo: offre di sopra
d’ambi i lati il tragitto ampio; e di sotto
figlio d’ignobil non lontana selce
rompendo tra burroni discoscesi
la picciola onda, e mal fugace, geme
con roco suono un povero ruscello,
che ricco forse un dì del non suo flutto
seppe torrente minacciar le rive.»

    Dove è la natura tutta, e non solo il ponte, a suggerire emozioni. Si tiene lontano infatti da ogni descrizione quantitativo-scientifico di sapore illuministico e preferisce indugiare su «burroni discoscesi», sul «candido macigno» e sul «povero ruscello». Un resoconto “scientifico” si trova accennato nell’introduzione: «Sopra due pilastroni alti in circa 86 piedi… levasi grand’Arco elittico con regolar ordine di lastre della grossezza ad un dipresso di 20 piedi», mentre la corda misura dal lato di levante 114 piedi e da quello opposto 154. E tanto basti.
Ma la questione fondamentale l’abate la pone proprio sulla bocca di Dimice, è lei che coglie il tema principe del dibattito: si tratta di un’opera dell’uomo o di un capolavoro della natura? E per rispondere a tale nobile quesito, Pellegrini guarda a destra e a sinistra, considera il sotto e il sopra, non manca di valutare il contesto orografico e storico ansioso di fornire alla contessa una risposta all’altezza della domanda.
La risposta arriva dopo alcune pagine perché un susseguirsi incalzante di avvenimenti impedisce all’abate di fornire subitanea soddisfazione alla dolce Dimice. La sua risposta non pone dubbi:

«Io provando venia che opera dell’arte
non era il Ponte. E a qual mai pro?»;

e ancora:

«Meglio il pensare del maestro braccio
de la Natura artefice costrutto…»

   Chiarisce ancor meglio la nota 12: «Per arte non potea certo farsi che a gran dispendio… ma la situazione del luogo rendeva affatto vana questa supposizione», infatti, aggiunge, per transitare in quei luoghi alpestri era più agevole discendere a valle che dare luogo ad una simile colossale opera. E dunque non rimane altro che affermare essere «questa gran mole a fin condotta, siccome io credo, dalla Natura, è in tutte le sue dimensioni veramente meravigliosa»
La Natura, dunque, è l’artefice di siffatta opera ed essa merita, nel poemetto, una precisa personificazione:

«Ella del Tempo
preso in man lo scalpel le scaglie rudi
leva dapprima»

e la Natura si fa poi aiutare dalla forza delle acque:

«iberne piogge dopo
chiama ad ajuto e liquefatte nevi
a rafforzar contra quel saldo masso
l’urtante piena del torrente alpino.»

    Così si fa spazio anche a qualche riflessione geologica.
Portate pazienza, ma del Ponte bisognava pur parlare. Alla prossima puntata una straordinaria storia d’amore!

Aldo Ridolfi (continua)

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