31. PREISTORIA? SCIENZA DEL DUBBIO. “Archeo-news infuocate”

…a cura di Giorgio Chelidonio

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Esempio sperimentale di far scintillare pirite sfregandola contro la porzione centrale di un manufatto bifacciale in selce prodotto secondo la tecnologia propria di una popolazione neanderthaliana vissuta circa 50.000 anni fa nel Belgio e nella Francia occidentale.

http://www.lescienze.it/news/2018/07/19/
news/neanderthal_accendere_fuoco_
percussione_pietre_pirite-4048525/

Archeo-news infuocate

In questa soffocante estate padano-atesina sono recentemente circolate un paio di paleo-notizie “infuocate”:
–  i Neanderthal sapevano accendere il fuoco;
–  “focaccine” ben abbrustolite di 14400 anni fa circa, cioè almeno 4 millenni più antiche della prima agricoltura!
Notizie davvero sorprendenti che mi impongono di inserire nella serie di riflessione “focaie” una scheda a-cronologica. Ancora una volta lo studio della preistoria si rivela come “scienza del dubbio”: può bastare un nuovo rinvenimento, magari anche uno studio più approfondito su vecchi dati per sconvolgere certezze ritenute incrollabili. Ma ancora una volta la notizia “gridata” dalle pagine on-line andrebbe verificata nei suoi dettagli consultando più fonti o, se possibile l’articolo originale(1).
Ho fatto proprio così e fortunatamente il link(2) fornito dalla recensione apparsa su “Le Scienze” dà accesso all’intero articolo pubblicato su “Scientific Reports” della prestigiosa rivista “Nature”: lettura impegnativa e ricca di sottolineature dubbiose, perché chi fa ricerca scientifica spesso propone, correttamente, le nuove scoperte come da sottoporre ad ulteriori verifiche.
Per quanto riguarda la prima novità, l’abituale uso del fuoco da parte dei Neanderthal era documentato, già da un paio di decenni, dai focolari della grotta spagnola di Bolomor, datati a 250.000 anni fa circa e da quelli della grotta di Fumane (VR), datati a circa 50.000 anni; quest’ultimi circondati da pietre con probabile funzione anti-vento. Personalmente, alla luce di quest’ultime evidenze mi domandavo solo quali tecniche accensive avessero già acquisito, visto che il fuoco aveva permesso loro di resistere nelle colline veronesi quando sul loro orizzonte occidentale si affacciavano le lingue glaciali dell’Adige e del Garda, quest’ultima spessa non meno di 300 metri.
Inoltre, spulciando l’articolo di “Nature”, risulta evidente che nuove tracce, oltreché dedotte da uno studio preliminare, riguardano solo un certo tipo di manufatti bifacciali che furono prodotti da gruppi neanderthaliani francesi, documentati, per ora, solo in Dordogna.  Dunque, la suddetta “archeo-novità” è da considerarsi attribuibile solo ad una popolazione regionale e per un tempo che rappresenta appena 1/25° del tempo evolutivo finora attestato da focolari neanderthaliani.
Però, fra le pieghe dell’articolo, si scopre un dettaglio che riguarda la mobilitò dei Neanderthal: le usure accensive (prodotte, pare, da percussione obliqua con noduli di pirite contro la faccia e non i margini dei bifacciali) sono state rilevate anche sulla faccia dorsale di alcune schegge che erano state staccate da bifacciali per riaffilarne i margini consunti: quindi i suddetti manufatti erano un tipo di  utensili davvero multifunzionali: coltelli, riserva di schegge/coltello (più o meno sottili) ma anche, all’occorrenza, accenditori.  Questo sì che ci dà una ulteriore conferma della complessità delle strategie che hanno permesso la sopravvivenza dei piccoli gruppi di cacciatori neanderthaliani anche in condizioni ambientali davvero difficili.
A dirla tutta, nel 20016 era apparsa un’altra notizia accensiva collocata intorno a 60.000 anni fa circa: il rinvenimento, sempre nelle grotte della medesima regione francese, di un certo numero di masserelle di diossido di manganese: avendovi notato tracce di raschiatura intenzionale si sono fatte varie prove sperimentali, giungendo a concludere che la polvere di quel minerale riduceva a soli 100° la soglia accensiva di un fuoco. Dunque, non si sapeva ancora di una loro tecnica accensiva ma, deducendo un certo qual utilizzo di questi minerali facilitatori, diventava già allora più probabile ipotizzare che ne avessero già scoperta una. Del resto, pensando alla percussione di selce contro pirite si doveva anche considerare che questo solfuro di ferro si disgrega facilmente, fino a dissolversi, in condizioni ambientali umide, come documentato in ben più recenti siti neolitici anche italiani.

Il focolare di pietre basaltiche (risalente a 14.400 anni fa circa, sito “Shubayqa 1”, nel deserto nero della Giordania nord-orientale)
http://www.greenreport.it/news/scienze-e-ricerca/gli-esseri-umani-facevano-il-pane-4-000-anni-prima-di-diventare-agricoltori/

Non meno sorprendente, anche se datata ad “appena” 14.400 anni fa circa, la seconda novità: nel cosiddetto “deserto nero” (perché la sua superficie è letteralmente coperta di pietrame basaltico nerastro) della Giordania sono stati ritrovati i resti di “focaccine” di frumento cotte su un focolare, il cui piano circolare era stato costruito assemblando pietre basaltiche locali(3).
Questa archeo-sorpresa è duplice sia perché la suddetta focaccina è stata precisata come “simil-pane” impastato con farina ricavata dall’antenato selvatico del piccolo farro, ma soprattutto perché questo anticipa di oltre 4 millenni l’avvio delle tecniche alimentari che finora erano credute esclusive dei primi agricoltori neolitici. Infatti, a quel tempo il Medio Oriente era ancora abitato solo da cacciatori-raccoglitori non sedentari (facies culturale detta “Natufiano”)(4). Questo avvio precoce dell’alimentazione cerealicola era, però, in qualche modo intuibile sia dalla lunghezza evolutiva con cui i cereali selvatici hanno originato nuove specie domesticate (apparse circa 10.000 anni fa), ma anche da una scoperta avvenuta nel 2015: nel sito toscano di Bilancino (situato nel Mugello) sono conservate tracce di sfarinatura di radici di tifa, una pianta palustre(5 e 6). Gli indizi erano già emersi 20 anni prima: una macina e un macinello litici rinvenuti in un sito di 30.000 anni fa, traccia di un “accampamento” di cacciatori-raccoglitori (di sicuro Homo sapiens, perché i nostri paleo-parenti Neanderthal si erano già estinti 10.000 anni prima) inquadrabili nella facies culturale detta “gravettiana”)(7).
Dunque, rassegniamoci: anche in preistoria i “sacri testi del sapere consolidato” sono destinati a diventare obsoleti nel giro di pochi anni se non prima.

Links

1) https://www.nature.com/articles/s41598-018-28342-9

(2) http://www.lescienze.it/news/2018/07/19/news/neanderthal_accendere_fuoco_percussione_pietre_pirite-4048525/

3) http://www.greenreport.it/news/scienze-e-ricerca/gli-esseri-umani-facevano-il-pane-4-000-anni-prima-di-diventare-agricoltori/

4) http://www.treccani.it/enciclopedia/natufiano/

5) http://www.iipp.it/un-accampamento-di-30000-anni-fa-a-bilancino/

6) http://www.nationalgeographic.it/scienza/2015/04/27/news/in_toscana_la_farina_piu_antica_del_mondo-2583542/

7) https://it.wikipedia.org/wiki/Gravettiano

Verona, 24 Settembre 2018
Giorgio Chelidonio

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