27. PREISTORIA? SCIENZA DEL DUBBIO. “Due millenni di acciarini?”

…a cura di Giorgio Chelidonio

Per le tue domande scrivi a: gkelidonio@gmail.com

(clicca le foto)

“Acciarino romano” III-V secolo d.C.

Due millenni di acciarini?

Quando nel 1986 ho iniziato la mia ricerca sulle pietre focaie storiche della Lessinia …Internet era ben al di là da venire. I rari studi sul tema (ma anche qualche “paludato” studioso) continuavano a chiamare “acciarini” (ancora oggi qualcuno ci casca) le “folènde”(1), spesso semplici scarti di lavorazione sparsi in concentrazioni più o meno grandi (talvolta disseminate da recenti lavori agricoli) abbandonati perché “non vendibili” dagli artigiani del XVIII e XIX secolo. Un banale fraintendimento di uno scritto di Paolo Orsi, archeologo roveretano, aveva innescato questo qui-pro-quo facile da risolvere etimologicamente: un oggetto chiamato acciarino non poteva che essere d’acciaio(2). Ad un convegno ligure del 1988 un archeologo inglese(3) mi confidò che i pastori ungheresi del XIX secolo (che portavano l’acciarino appeso alla cintura) andavano a cercarsi le pietre focaie nei siti preistorici, riutilizzando perciò a scopo accensivo manufatti ben più antichi. Divenne, così, chiaro per la mia ricerca che accanto alle pietre focaie prodotte artigianalmente (ed esportate dai francesi già nella seconda metà del XVII secolo) c’era tutto un mondo di “fai da te” e di opportunismi accensivi. In quello stesso anno, mi fu persino raccontato che, in Lessinia, non tutti i fabbri di contrada erano “bravi” a dare la tempera all’acciaio, neppure a quello usati per produrre utensili dei tagliapietra e degli scultori.
Peraltro la varietà opportunistica delle pietre focaie usate manualmente mi era già stata rivelata dal contenuto di alcuni acciarini/borsello tibetani che avevo acquistato: c’erano semplici pietruzze (quarziti, diaspri, etc.) purché dure abbastanza da far scintillare la superficie dell’acciarino.
Quindi “mondi” variegati di pietre focaie locali del tutto inadatte ad essere classificate per forma o tecno-tipologia.
In quegli stessi anni una domanda aveva iniziato a frullarmi in testa: ma i Romani conoscevano gli acciarini? Fatto circolare il quesito fra colleghi e conoscenti, alcuni letterati cominciarono a riferirmi di rari testi antichi che citavano pietre ma non acciarini, tanto da farmi dubitare che l’impero romano si fosse basato su “conservatori di fuoco” (come suggerito dall’importante mito greco-romano di Hestia/Vesta). Porre la stessa domanda ad ogni archeologo classico che incontravo non dava risultati: spesso la risposta era “non saprei, non me lo sono mai chiesto”.
Eppure immaginare la Roma dei Cesari abitata da 1.700.000-1.200.000(4) residenti privi di capacità accensiva non mi pareva credibile. Solo nel 2003(5) vidi in libreria un tomo dal titolo intrigante: “Vita quotidiana nell’antica”: appresi così (pag. 424-425) che quella metropoli, spesso soggetta ad incendi devastanti, non ebbe un corpo di “vigili del fuoco” fino al 22 a.C., quando Augusto istituì un corpo di vigiles, dapprima composto da 500 schiavi ma che in pochi anni raggiunse un organico di 7000 liberti. Solo ad Ostia, al tempo dell’imperatore Adriano, c’era una caserma che ne ospitava 400. D’altra parte, esistevano già le candele (pag. 96-97) fatte con uno stoppino di papiro (o midollo di giunchiglia) trattato con zolfo e immerso in sego liquido o cera d’api; i greci invece non le conoscevano. Diffuso era l’uso di lucerne in terracotta alimentate ad olio d’oliva (di scadente qualità).

“Trapano da fuoco” del faraone Tuthankamon
Schema funzionale del “trapano da fuoco”

 

 

 

 

 

 

Ma per quanto concerne le tecniche accensive una decina di righe liquidava (a pag. 178), citando: la frizione lignea (senza precisare se ad archetto, il cosiddetto “trapano da fuoco”, le pietre focaie a percussione (di che genere?) fra loro o “contro un chiodo” (Plinio, NH, II, 239)(6) (ma “chiodo” in latino era “clavis” parola che non risulta nel passo citato). Inoltre, l’autore cita l’impiego di “specchi metallici concavi tenuti al sole” o “l’effetto di lente focale era ottenuto anche ponendo al sole una sfera di vetro riempita d’acqua” (Plinio, NH, XXXVI, 199). La sintesi proposta dal suddetto testo è ancor più sorprendente: “Poiché tutti questi metodi erano relativamente costosi, si stava molto attenti a non far spegnere il fuoco (usando carboni ardenti per accendere quello successivo” (Ovidio, Metamorfosi, VIII, 64).
Concludo, ribadendo la mia personale incredulità che un simile scenario accensivo possa aver sostenuto la vita di una grande metropoli e di un grande impero come quello romano.
E questo dubbio si sposa con una gran quantità di acciarini venduti on-line negli ultimi anni: digitando le parole chiave “roman fire striker” o “roman strike-a-light” (entrambi significanti  “acciarino romano” in inglese)(7) si aprono numerose pagine in cui sono raffigurati anche piccoli manufatti bronzei dotati, nella parte inferiore, di un listello di ferro definiti “vichinghi” o anche “romani”. Purtroppo, questa modalità mercantile (verosimilmente alimentata da scavi abusivi condotti con il metal detector) non fornisce informazioni sul dove questi manufatti siano stati rinvenuti, né un’attribuzione cronologica sufficiente.
Dunque, dopo oltre un trentennio di ricerche non mi resta che evidenziare questa incredibile lacuna, sebbene che nel più grande testo collezionistico di acciarini(8) siano presentati alcuni esemplari risalenti fino al V secolo a.C.. Aggiungo, però, che alcune recenti ricostruzioni interpretative dell’equipaggiamento dei legionari romani propongono (purtroppo senza indicare le fonti archeologiche)(9) che quei soldati fossero dotati di acciarini e/o di “trapani da fuoco”: questi ultimi manufatti, di difficile conservazione, possono aver avuto una probabile origine egizia, contesto culturale in cui questo tipo di strumenti è stato ritrovato anche in corredi funebri, come quello del faraone Tukhankamon(10). Ma lo studio dei “fire drill” egizi pare tuttora insufficientemente divulgato.

Links

1) https://www.academia.edu/4749253/Tracce_linguistiche_della_storia_del_fuoco_…_in_rete > «folènde» è definizione esclusiva (nella Lessinia medio-alta) per “pietre focaie” lavorate e per i loro scarti. Deriva da “piéra folènda” (la selce) verosimilmente per precisarne il carattere di focaia (da un “fogolènda”?). Come “folendàro” (campo in cui affiora la selce) è testimoniato almeno dal
2) Chelidonio , 2002: Quando le pietre focaie non erano acciarini. Tracce e appunti fra Paolo Orsi e Stefano de Stefani, in “Annuario Storia Valpolicella”, Centro Doc. Storia Valpolicella, pp. 119-124, Fumane(VR). https://www.academia.edu/3774926/Quando_le_pietre_focaie_non_erano_acciarini._Tracce_e_appunti_fra_Paolo_Orsi_e_Stefano_De_Stefani
3) 
John Nandris, London University/Institute of Archaeology. 4) https://it.wikipedia.org/wiki/Demografia_di_Roma
5) 
Weeber K.W., 2003: Vita quotidiana nell’antica Roma, Newton & Compton Editori, Roma. 6) https://archive.org/stream/cplinisecundina08plingoog/cplinisecundina08plingoog_djvu.txt 
Plinio Historia Naturalis – Libro II, 239
Praeterea cum sit huius unius elementi ratio fecunda seque ipsa pariat et minumis crescat a scintillis, quid fore putandum est in tot rogis terrae, quaeve est illa natura, quae voracitatem in toto mundo ayidissimam sine damno sui pascit? Addantur his sidera innumera ingensque sol, addantur humani ignes et lapidum quoque insiti naturae attrituque inter se ligni, iam nubium et origines fulminum. Excedit profecto miracula omnia ullum diem fuisse, quo non cuncta conflagrarent, cum specula quoque concava adversa solis radiis facilius etiam accendant quam ullus alius ignis…
7) Un esempio (attribuito al III-V secolo a.D., ma privo di indicazione del ritrovamento): https://www.vcoins.com/en/stores/ancient_coin_art/6/product/roman_zoomorphic_bronze_fire_starter__peacock_rare/12140/Default.aspx
8) 
Cacciandra V., Cesati A., 1996: Firesteels – Acciarini, Allemandi Editore, Torino. 9) http://www.gruppostoricoromano.it/zaino-tattico/ 10) https://it.pinterest.com/pin/405886985141145255/ + https://it.wikipedia.org/wiki/Tutankhamon + Booth C., 2011: Tuthankamon, il ragazzo dietro la maschera, Arnoldo Mondadori Editore, Milano.

Verona, 7 Maggio 2018
Giorgio Chelidonio

↓